Raccogliere un'eredità non è mai cosa semplice. Tocca fare a pugni nel cuore dei tifosi con il ricordo del tuo predecessore. E, si sa, la memoria umana è un po' bastarda, un po' infame. Tende a enfatizzare le cose del passato, tende ad abbandonarsi ad una naturale nostalgia per quello che non c'è più, andato, sparito.
E' per questo che chi, nel calcio, è chiamato a raccogliere un'eredità pesante, è costretto a lottare contro due demoni. Quello del presente, che ti chiede attenzione, concentrazione e determinazione per rimanere attaccato alla realtà, per non perdere il contatto con il campo. E quello del passato, con i mormorii della gente, con i pensieri, con il fantasma del tuo predecessore che proprio non ne vuole sapere di andarsene via dalle tue spalle. Resta lì, con un sorriso beffardo sul volto, sperando di vederti annaspare. E' per questo che raccogliere un'eredità significa lottare per mettere a tacere quelle voci, quei fantasmi del passato.
Figuratevi se poi il fantasma di cui sopra ha marchiato a fuoco il suo nome nel cuore dei tifosi di una delle squadre più prestigiose al mondo. E, oltretutto, è anche un fuoriclasse di livello mondiale.
Non è stato semplice per Paulo Dybala raccogliere l'eredità di Carlos Tevez. Non è stato semplice scrollarsi di dosso il sorriso storto e beffardo dell'Apache, volato a prender gloria a Buenos Aires ma rimasto ad aleggiare sullo Juventus Stadium. Non è stato semplice, per nulla, ma nessuno dubita che ci sia riuscito, Paulo, a scacciarlo, quel fantasma. Nessuno dubita che oggi Paulo Dybala ha rovesciato le carte in tavola e si è preso il cuore dei tifosi della Juventus. Con tanti saluti all'Apache.
In realtà, prendersi il cuore dei tifosi bianconeri è stata una delle cose meno difficili che siano riuscite a Paulo Dybala. Che nella sua vita ha dovuto imparare presto a fare i conti con una vita ruvida almeno quanto i difensori che oggi provano ad abbatterlo quando lui, con i calzettoni abbassati alla Sivori, se ne va via in dribbling, sinuoso ed esplosivo. No, non è stato semplice nemmeno arrivare fin qui, per Paulo Dybala.
Dybala. Un cognome non esattamente sudamericano. Infatti, il nonno paterno ha origini polacche. Quello materno, invece, ha radici italiane. Anche per quello abbiamo cullato per un po' il sogno di vedergli vestire la maglia azzurra, prima che l'albiceleste lo convocasse. Ma Paulo Dybala era una stella destina a brillare. Sin da piccolo, sin da quando gli affibbiano il soprannome che si porterà appresso fino ad oggi: la Joya. Già, perchè veder giocare, quel ragazzino di Laguna Larga, era uno spettacolo, una gioia per gli occhi.
Paulo è molto legato al padre. Al punto da ascoltare tutti i suoi consigli. Anche quando le squadre più importanti di Argentina si battono per il suo cartellino, quando lui è solo un ragazzino. Il padre, però, dice di no. Dice che è meglio che il piccolo Paulo resti vicino casa, meglio che resti all'Instituto de Cordoba. Nel 2008, però, il padre di Paulo viene improvvisamente a mancare. Dybala si trova smarrito, perso, senza guida. E' costretto ad andare a vivere nella foresteria dell'Instituto. Da quel momento, in Argentina, diventerà el pibe de la pensión.
"Mio padre aveva un sogno: che uno almeno dei suoi tre figli diventasse calciatore. Non c'è riuscito Gustavo,il maggiore, e neanche Mariano, che tutti dicono fosse più forte di me, ma che è stato vinto dalla nostalgia di casa. Perciò io dovevo farcela: per onorare la memoria di papà ed esaudire il suo desiderio. Lui mi aveva accompagnato a ogni allenamento,un'ora di macchina da Laguna Larga, dove vivevamo, a Cordoba. Quando papà morì, chiesi alla società di farmi tornare a casa. Per 6 mesi giocai nella squadra del mio paesino, poi rientrai nell'Instituto. E dato che non c'era più nessuno che poteva portarmi avanti e indietro dall'allenamento, mi trasferii nella pensione della squadra. Non fu facile: ero rimasto orfano da poco e avevo la famiglia lontano. Mi chiudevo in bagno a piangere, ma non ho mollato. E oggi so che papà è orgoglioso di me."
Ma Paulo è forte, non accusa il colpo. Ci mette l'anima, il doppio di quanto facesse prima. Lo deve al padre, lo deve ai suoi sacrifici. Fa l'esordio in Primera B Nacional nel 2011-12: 8 gol nelle sue prime 12 partite, 17 in 40 presenze stagionali. E' speciale, quel ragazzo.
Il Palermo di Maurizio Zamparini mette gli occhi su di lui, nell'aprile del 2012 lo porta in Italia per 12 milioni di euro. In tempi di spending review, una cifra importante per un bambino all'epoca nemmeno ventenne. Il fantasma con cui Dybala deve fare i conti nella sua prima stagione palermitana è quella della cifra appiccicata al suo cartellino. A lungo, quei 12 milioni, vengono messi sul banco. A dimostrare che quell'oggetto misterioso che ancora non si è messo in luce forse non li valeva, tutti quei soldi.
Paulo, come è sempre stato abituato a fare, lavora. Poi, quando l'infortunio di Fabrizio Miccoli si abbatte sui rosanero,lui si fa trovare pronto. Segna due gol alla Sampdoria alla sua seconda partita da titolare, ma il Palermo alla fine di quella stagione retrocede in serie B. La stagione 2013-14, in B, non è indimenticabile. Segna 5 gol in 30 presenze, qualcuno comincia a storcere il naso. Si, il ragazzo non è male, ma tutti quei soldi li vale? Non fa la differenza, dicono. E' uno come tanti, insinuano.
Per questo, quando si presenta ai nastri di partenza della stagione 2014-15, di nuovo in serie A,Paulo sa di non poter più sbagliare. E' entrato nell'età in cui le promesse non valgono più. E' entrato nell'età in cui le promesse vanno mantenute. E Paulo le promesse le manterrà: 13 gol, una stagione da protagonista e critica definitivamente zittita. Si, quei soldi li valeva tutti.
E' qui che la sua storia si intreccia con quella del connazionale Carlos Tevez. Quando l'Apache fa capire che non sa se rimarrà a Torino, Beppe Marotta si attiva. Porta 32 milioni (più 8 di futuri bonus) da Zamparini e regala la Joya ai tifosi della Juventus. Ricomincia il valzer. 40 milioni, non sono troppi? E' da Juventus quel ragazzo?
Massimiliano Allegri la stagione sembra volerla iniziare con altre intenzioni. Paulo Dybala, per lui, non è ancora pronto. Gli viene preferita l'esperienza di Mario Mandzukic e la freschezza di Alvaro Morata. I tifosi iniziano a mormorare. Chi contro Allegri, colpevole di "non vederlo". Chi contro la dirigenza che lo ha comprato a peso d'oro.
Lui intanto aveva timbrato il cartellino già alla prima apparizione, in Supercoppa Italiana contro la Lazio. Gli è servito un po' di tempo per prendersi la Juve. Ma, piano piano, Paulo scala tutte le gerarchie. Entra in campo determinato, abbassa la testa, e quando decide di accelerare, o va in porta o lo buttano giù con le cattive.
In pochi mesi, la Juventus è ai piedi del pibe de la pensión. Già, i piedi. Quel sinistro è migliorato ancora, quel sinistro è diventato letale. Oggi ha sbloccato la partita contro l'Hellas con una punizione mancina (l'ultimo gol bianconero su punizione in campionato? Firmato Andrea Pirlo) che si è andata ad infilare dove nessun portiere poteva osare arrivare. Veloce, preciso al millimetro, una freccia avvelenata scoccata con la freddezza del predestinato. Quello stesso sinistro che poi ha dipinto una pennellata d'autore dritta sulla zucca di Leo Bonucci per il 2-0.
Si, quel fantasma dell'Apache è volato definitivamente via. Oggi, a Torino, c'è solo la Joya.
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Paulo Dybala, La Joya Bianconera
RandomQuesta storia è su Dybala, spero che vi piaccia