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Bianco e nero.                                                                                                                                                                   Una combinazione di colori ipnotica e spesse volte fastidiosa. Questi sono i colori che caratterizzavano questo edificio: sembra di essere in un ospedale psichiatrico dove i dottori sono tutti vestiti di nero e hanno molto poco di sano. Fra quei dottori insani vi ero anche io, con un abito che mi invecchia di minimo dieci anni:una camicia bianca nascosta da una giacca nera, una gonna a tubino anch'essa nera che arriva appena sopra il ginocchio, calze rigorosamente nere, come le scarpe con un leggero tacco che dovevo indossare. Ero una delle poche ragazze che lavorava all' interno di questa struttura; le donne fungevano solo da segretarie: individuavano la persona che doveva essere uccisa,descrivevano i vantaggi della sua morte e consegnavano tutto a me, il mio compito era uno dei più delicati e rischiosi dopo quello dei sicari, dovevo individuare l'abitazione della persona bersagliata, le sue abitudini, chi frequentava abitualmente e soprattutto l'aspetto fisico, in modo da non assegnare un armadio a una matricola inesperta, altrimenti addio guadagno.L'organizzazione per cui lavoro conta circa una ventina di sicari, numero notevole, come è notevole la paga di ognuno di loro, anche se questa varia a seconda dell'incarico. Il capo di tutto ciò è mio padre, non penso che lui si sia mai sporcato le mani e in più stravede per un paio di ragazzi. Infondo i sicari che lui "assume" hanno tutti fra i sedici e i trent'anni di età. Io vagavo fra le varie sale a portare le informazioni riguardanti le vittime assistendo, la maggior parte delle volte, a scene di litigi fra i vari sicari per ottenere l'incarico, oppure, prima ancora di entrare, sentire vari rumori di spari e insulti, scoprendo poi a terra il manichino pieno di buchi ed un ragazzo in preda all'ira più totale causata dai sicari più anziani a causa degli insulti verso il novellino. L'ultimo fascicolo lo dovevo portare ad un ragazzo che lavorava per mio padre da circa sei anni, il mio stesso tempo; lo cercavo nelle varie aule del piano, ma non c'era, allora decisi di chiedere alle segretarie se per caso lo avessero visto, ma nessun esito positivo da parte loro. Con i nervi a fior di pelle mi diressi a passo svelto verso l'aula dove stava il capo; entrai spalancando la porta ed emettendo un forte boato che fece girare tutte le persone presenti in sala, compreso mio padre, verso di me. "Non vedi che sono nel bel mezzo di una riunione !?" sbottò mio padre, trattenendosi dal tirare un pugno sulla scrivania. "Sì, lo vedo ... ma ..." dissi io con la voce appena tremante, ma senza terminare la frase a causa di mio padre, che mi prese per il braccio e mi trascinò fuori, chiudendosi la porta alle spalle sbattendola."Cosa devi dirmi di così importante per interrompere la riunione ?""Oh, scusa ...finisci pure la tua riunione, penso che sia più importante di una perdita di quasi duecento mila dollari" sbottai io incrociando le braccia al petto tenendo il fascicolo stretto in mano. A quelle parole mio padre mi guardò con sguardo di fuoco, sapevo che a lui non piaceva parlare di perdite economiche. "Non è colpa mia se Riku non è qui". Come sentì il nome del sicario, mio padre si calmò e accennò un leggero sorriso. "Non importa, potrai darglielo questa sera e spiegargli tutto con calma siccome verrà a cena da noi, e già che ci sei ...cerca delle informazioni su questa donna" disse mio padre porgendomi un foglio con il nome di una donna scritto sopra, ovviamente non da lui; io spalancai gli occhi e presi il foglietto incredula a ciò che avevo sentito, e senza aggiungere una parola mi allontanai, andando verso l' uscita dell'edificio. Una volta messo la borsa in spalla vi misi il fascicolo e il foglio con il nome,andando spedita verso casa. Mentre camminavo per il viale, ripensavo alla domanda che mi ero fatta circa un paio di anni prima, ossia cosa provano i ragazzi ad uccidere; mio padre mi negava sempre la possibilità di fare come gli altri e uscire ad uccidere siccome ero una ragazza. Entrai in casa e sospirai,cacciando quel pensiero dalla mia testa e andando in camera, togliendomi immediatamente quella divisa orribile e mettendo degli abiti più comodi: un paio di jeans chiari, un maglione color panna che mi lasciava scoperta una spalla e un paio di scarponcini beige. Presi il portatile e scesi in salotto, accanto al camino spento, ma che emanava ancora quel calore sufficiente a non farti sentire il freddo del mese di novembre. Lo accesi e cercai informazioni sulla donna. "Mh ... Scarlett Snow ...quarantotto anni ... vedova di un milionario morto a cinquantasette anni per un tumore ai polmoni ... vive al 5365 Park Eveniu impiegata alla National Bank ...frequenta il "Sweet Room Cafè" e il "Beauty Saloon" ... qualche volta frequenta un piccolo casinò fra la dodicesima e la trentesima, bello questa mi piace ... se solo potessi ucciderla di persona ..." sbuffai e scrissi tutte le informazioni trovate su un foglio; poi presi la mia macchina fotografica, la misi nella solita borsa a tracolla decorata con Jack Skellington e uscii di casa dopo aver spento il pc, chiudendola a chiave. Nonostante i vari luoghi fossero abbastanza lontani, decisi comunque di andare a piedi. Mentre camminavo osservavo le varie persone, più coppiette che altro, che si abbracciavano, si stringevano e si baciavano; nel guardale provavo un certo disgusto, ma anche una lieve tristezza. Cercai di mettere la mia attenzione su altro, ma nulla fino a quando raggiunsi il bar frequentato da ella; scattai un paio di foto all' esterno del locale e successivamente entrai per chiedere al barista e ai vari clienti se conoscevano la donna, e se sapevano verso che ora veniva di solito. Uscii e feci lo stesso con gli altri luoghi, ovviamente tranne la casa dove questa abitava:feci solo un paio di foto all' esterno inquadrando le varie vie di accesso."Uff, manca solo il casinò e ho finito, meno male" pensai incamminandomi verso l'ultimo luogo. Da fuori non sembrava nulla di che, ma vedendo l'interno si cambiava idea in poco tempo. Girai per i vari tavoli, osservando i numerosi giocatori chiedendo loro di se conoscessero la donna e se sapessero a cosa preferiva giocare. Una volta finito, mi avvicinai al bancone: i baristi erano tutti giovani, avranno avuto la mia età o poco più e chiesi della donna; mi dissero che Scarlett era una che la maggior parte delle volte vinceva quasi il doppio di quello che scommetteva e che poi offriva a tutti da bere. Mi dissero anche che a volte si vantava delle vincite, le cifre variavano dai cinquemila ai cinquantamila dollari. Ringraziai i baristi e uscii dal locale. Mi diressi verso casa con passo svelto e un sorriso stampato sulle labbra. Come entrai vidi mio padre seduto al tavolo, con lo schermo fisso sul pc. "Ho trovato tutto ciò di cui avevi bisogno!" dissi con un tono notevolmente allegro. "Fammi indovinare ... la donna frequenta anche un casinò" disse alzando appena lo sguardo; io annuii e gli lasciai sul tavolo il foglio con le informazioni. Mi avviai in stanza quando mio padre mi prese il polso bloccandomi e dicendomi di vestirmi bene, perché saremmo andati in un ristorante molto rinomato. Io annuii appena e salii in camera di corsa togliendomi i vestiti e prendendo l'occorrente per fare una doccia; una volta fatta e messo l' intimo tornai incamera aprendo l' armadio e prendendo poi un abito nero stretto fino alle ginocchia che poi si allargava arrivando a terra, mettendo poi un paio di scarpe con un tacco abbastanza alto. Mi pettinai i capelli color miele e feci uno chignon, mettendo una collana con un diamante come ciondolo; presi la borsetta e andai in salotto con il vestito che formava un piccolo strascico sul pavimento. Mio padre era vestito come sempre: con la giacca e i pantaloni grigio scuro, con le sue solite scarpe nere da uomo d'affari. Quando mi vide mi sorrise, io ricambiai e ci avviamo alla porta. Fuori vi era una limousine ad aspettarci ed il conducente aveva appena aperto la portiera. "Prego signori" disse lui con tono gentile.Salimmo e subito chiuse la portiera. Partimmo dopo un paio di minuti. Durante il viaggio mio padre mi porse una scatolina dicendomi che il contenuto apparteneva a mia madre, io la aprii e sorrisi: erano un paio di orecchini non troppo elaborati, con al centro un piccolo diamante incastonato. L'indossai subito e lo abbracciai, lui ricambiò;capitava raramente che mi abbracciasse oche mi parlasse di mia madre, a volte mi piaceva immaginare come ella potesse essere stata. I miei pensieri svanirono quando sentii il rumore della portiera aprirsi. Prima di scendere mio padre mi disse che se il sicario avesse chiesto il mio nome io avrei dovuto rispondere "Irimi". Io annuii abbastanza confusa e scesi dal veicolo seguita da mio padre, poi entrammo ed un cameriere ci accompagnò al nostro tavolo, dove vi era seduta anche un'altra persona. Come vide mio padre si alzò dalla sedia per salutarlo, era un ragazzo che sembrava avesse circa la mia età: indossava un paio di pantaloni neri, una camicia bianca ed una giacca nera. Ci sedemmo al tavolo ed un cameriere ci porse il menù del ristorante e ordinammo la cena. Durante la cena mio padre ed il sicario parlarono dei vari incarichi, fino a quando il ragazzo non mi rivolse la domanda accennata prima da mio padre. "Io sono Riku e, tu come ti chiami ?"mi chiese con tono cortese guardandomi. "Irimi" risposi io con voce stranamente timida. Il ragazzo accennò un leggero sorriso, tornando poi a parlare di affari con il capo. Una volta terminata la cena mio padre disse al giovane che sarebbe venuto a casa nostra dal momento che io dovevo anche consegnargli il fascicolo della persona da assassinare. Riku non osò ribattere e seguì me e mio padre alla limousine che ci riportò a casa. Una volta arrivati scendemmo dall'auto ed entrammo in casa. Salii in stanza e presi il fascicolo da consegnare a Riku e tornando subito giù,porgendoglielo. "Siccome questa mattina non c'eri, ecco a te il fascicolo della tua vittima" dissi io leggermente snervata. Il ragazzo prese il fascicolo con un'espressione seria in volto, salutando poi il capo ed uscendo di casa. Io sbuffai appena lui uscì e salii in camera mia, mettendomi una maxi-maglia e un paio di pantaloni di una tuta, spegnando la luce e buttandomi sul letto, addormentandomi dopo un paio di minuti stringendo il cuscino.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 02, 2016 ⏰

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