CAPITOLO 8

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Stavo davvero male. Ero appena scesa dal pulman e mi stavo incamminando verso casa. Aprii il cancello e attraversai il vialetto. Di solito a ritorno da scuola non andavo mai a pranzo a casa mia, ma andavo da mia nonna, la persona a me più cara, persino più dei miei genitori. Aprii la porta e come al solito mia nonna corse ad abbracciarmi. Scaraventai lo zaino sul divano e mi diressi al bagno dicendo a mia nonna che sarei tornata in meno di un minuto. Ero davvero molto triste, avevo fisso nella testa il pensiero che Alessio potesse amare una vipera come Anita. E più ci pensavo più stavo male e mi saliva il vomito. Iniziai a piangere disperatamente fin quando non trovai un vecchio temperino. Corsi nello studio di mio nonno, aprii un cassetto e trovai quello che mi serviva; un cacciavite. Smontai il temperino e presi entrambe le lamette. Iniziai a tagliarmi, ogni taglio che facevo mi faceva stare meglio, era strano come una lametta mi facesse dimenticare tutto il dolore. C'è chi beve per sentirsi meglio, c'è chi si droga. E poi c'ero io che mi tagliavo. Quel giorno feci dei tagli profondi e persi molto sangue, mi sentivo stupida ma infondo era l'unico modo che avevo per sfogare il mio dolore. Nascosi quelle lamette nella tasca dei miei jeans, sciacquai il polso, coprii i tagli con la mia felpa e poi tornai in salotto. Era come se tutto fosse tornato come prima. Non ero stata me stessa per tutto il giorno, poi mi chiusi in quel bagno per cinque minuti, tolsi la "maschera" ovvero la mia felpa per rivelare chi ero in verità, un errore. Poi rimisi la felpa, uscii dal mio rifugio (l'autolesionismo) e tornai a vivere una vita che non mi apparteneva.

QUEI TAGLI? È STATO IL GATTO.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora