Prologo: L' origine del Male

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"Il ragno si fa bello perché ha preso una mosca; qualcuno perché ha preso una lepre; un altro, una sardella con la rete adatta; un altro, un cinghiale; un altro, un orso; un altro, dei sàrmati. Non si tratta pur sempre d'assassini, se fai attenta indagine su quello che ne muove il pensiero?"
Marco Aurelio; Pensieri

- Fatemi passare! Levatevi di mezzo, supidi idioti!-.
La tranquilla mattina nella Ventesima strada a Blackdoom City era stata totalmente stravolta.
Adesso, Micheal Pooves, un uomo basso e tarchiato, più vicino ai cinquanta che ai quaranta, stava correndo come un folle, più forte che poteva, spingendo e scacciando via chiunque si trovasse sulla sua strada.
I suoi passi erano pesanti, forzati, aveva già il fiato corto e la fronte zuppa di sudore.
Non faceva neanche molto caldo, Marzo era iniziato da circa due settimane, portando con sè un piacevole fresco che aveva fatto dimenticare agli abitanti di Blackdoom il torpore invernale e le frequenti nevicate; Pooves però non si trovava affatto a suo agio con gli sforzi fisici.
Fumatore incallito e amante degli alcolici, l' uomo non avrebbe mai potuto correre così in situazioni normali: era spinto da una forza sovrumana, una scarica eccezionalmente potente di adrenalina che gli permetteva di continuare a muoversi, senza fermarsi.
  - Levatevi, toglietevi dal cazzo!- diceva, senza mai smettere di imprecare.
Aveva fatto cadere almeno una decina di persone, il marciapiede quel giorno era davvero affollato, fra cui due bambini e un' anziana signora.
Alcuni avevano persino cercato di placcarlo, si era pure beccato un cazzotto in pancia e un altro in piena faccia.
Nonostante il dolore intercostale e il naso sanguinante, l' uomo non intendeva fermarsi.
Stava scappando, fuggiva da qualcosa di altamente pericoloso, se non addirittura mortale.
Era il suo istinto di sopravvivenza a guidarlo, la paura di morire.
C' era qualcosa, in mezzo a tutte quelle persone, che di certo non era umana.
Sembrava esserlo, e di certo aveva le sembianze di un uomo, ma all' interno, nel profondo, nascondeva una verità mostruosa e letale.
Ogni tanto si voltava, cercando di capire se avesse seminato il suo aguzzino.
Negativo, il tenebroso viso compariva ogni volta: dietro a un passante, accanto ad un auto, dentro un negozio.
Il suo misterioso stalker non sembrava volersi fermare per nessuna ragione.
-Cazzo, cazzo, cazzo!- urlava ogni qual volta poteva. Il numero di persone
sull' affollato marciapiede si stava facendo sempre più piccolo, se voleva nascondersi, doveva farlo il prima possibile.
Con un ultimo spintone si infilò in una rete di vicoletti.
Continuò a scappare, girando l' angolo ad ogni incrocio o bivio.
Doveva seminarlo, a tutti i costi!
Passarono almeno dieci minuti, poi si ritrovò con le spalle al muro.
Aveva raggiunto un vicolo cieco
dall' aspetto abbastanza deprimente.
Blackdoom City era incredibile: da zone in e ben curate, come la Ventesima, si arrivava in pochi minuti a luoghi poveri e decadenti, come i Nighthill Quarters.
Nighthill non era certo il luogo ad adatto per un uomo codardo come Pooves: i quartieri erano soprattutto frequentati da spacciatori, prostitute e scippatori, e si vociferava vi abitassero vagonate di stupratori e pedofili.
La feccia della società, insomma.
Il vicolo era piccolo, ma abbastanza largo da contenere tre cassonetti infilati per lungo. C' era immondizia ovunque, nonostante un cassonetto si trovasse proprio lì, posto a un lato del vicolo, sul fondo.
Preservativi, siringhe, bottiglie rotte, sacchetti di ogni genere: sembrava di trovarsi a una sorta di Fiera
dell' Epatite.
Lungo i muri dei palazzi che costituivano l' ossatura del vicolo si trovavano numerose finestre, la maggior parte delle quali erano sbarrate o distrutte.
Che dire, un posto accogliente.
Pooves doveva andarsene, voleva andarsene, ma qualcosa glielo impedì.
  - No... N... NOOO!-.
  Il grido di terrore esplose nello spazio angusto, rimbombando di parete in parete fino a raggiungere il cielo.
Pooves era pietrificato dalla paura, ciò che aveva davanti lo faceva sentire morto dentro solo con uno sguardo.
Indossava un giubbotto nero, completamente abbottonato, con pantaloni, guanti e scarpe anch' esse dello stesso colore.
Riusciva quasi a mimetizzarsi nel buio con estrema facilità ad ogni zona d'ombra su cui passava.
Era alto, forte e dallo sguardo magnetico.
Erano gli occhi a spaventarlo.
Sotto dei ciuffi di capelli corvini, scuri come la notte, circondati da una pelle più bianca del gesso, si celavano due occhi azzurri.
Erano chiari, fin troppo, tanto da sembrare inanimati.
L' uomo, sulla trentina, sembrava quasi un automa, una specie di macchina, o chissà quale tipo di mostro, proprio a causa di quegli occhi.
Non stava sorridendo, nè tantomeno appariva arrabbiato, anzi, era totalmente rilassato.
Il sudore stava grondando da qualsiasi parte del corpo di Pooves, era sicuro di essersela fatta addosso.
  -Cosa... cosa vuoi da me!-.
Il tono era infantile, lamentoso e pieno di paura. Avrebbe potuto benissimo mettersi a piangere, lì, in quel vicolo.
Nessuno se ne sarebbe accorto né tantomeno interessato.
L' uomo in nero accennò un sorriso, pieno di soddisfazione.
Pooves era certo di aver visto delle zanne in mezzo a quei denti.
Aveva ragione allora: era un mostro, qualcosa che sicuramente non doveva esistere se non nei libri e nelle favole.
Per la prima volta, l' uomo parlò.
Sembravano passati secoli da quando Pooves si era messo a correre per la Ventesima come un folle, eppure si trattava di solo una decina di minuti.
  - Sai cosa hai fatto, Pooves. Sai già perchè sono qui-.
Le sue parole suonavano fredde, prive di alcuna emozione. La voce, invece,era più umana di quanto ci si potesse immaginare: era giovane, forte e soprattutto viva.
Passi lenti, calmi e letali risuonavano nel vicolo: l' uomo si stava avvicinando ancora.
Teneva le mani nelle tasche del giubbotto, gli occhi fissi su Pooves.
Il bersaglio andò nel panico: si diede ad un' inutile fuga verso il fondo del vicolo.
Quando raggiunse il muro, cominciò a grattare su di esso con tutta la forza che aveva in corpo, spezzandosi le unghia mentre il sangue iniziava a colare dalle dita e le lacrime dagli occhi.
Una scena patetica.
Fece così per circa qualche minuto, mentre il suo inseguitore lo osservava, ora con le braccia incrociate e la testa leggermente inclinata verso destra.
  - Ti stai divertendo?-.
Sentendo nuovamente la sua voce, Pooves scattò, grattando in modo più frenetico.
  - Io non mi sto divertendo affatto, se lo vuoi sapere- continuò l' uomo.
Mentiva, c' era una nota di piacere nella sua voce.
Si avvicinò ancora, stavolta con maggiore cautela.
I suoi passi erano sempre più felpati, quasi come non toccasse il marciapiede.
  - Andiamo Michael, il tempo dei giochi è concluso-.
  - Non... non ne sarei così sicuro!-.
Si trovava a circa un metro e mezzo da lui quando Pooves tirò fuori la pistola.
L' uomo in nero rimase fermo per qualche secondo, poi scattò indietro con le mani in alto e il volto terrorizzato, mentre Pooves sobbalzava per lo spavento.
Riprese la finta sicurezza che aveva fino a qualche secondo prima, afferrando saldamente l' arma.
L' indice, però, poggiato debolmebente sul grilletto, continuava a tremare.
  - Aspetta... hai una pistola? Ok amico, senti, mi dispiace... era solo uno scherzo ok? Solo uno...-.
Pooves non volle ascoltarlo.
Il rimbombo dello sparo si disperse in lungo e in largo, si udì perfino una donna urlare.
Pooves si accasciò a terra, la pistola era ancora calda fra le sue mani.
Lo aveva colpito? Lo aveva ucciso?
Il proiettile lo aveva preso in pieno petto, era sicuramente morto.
Ma lui era innocente, era totalmente innocente, giusto?
  - Sono innocente... sono innocente- si ripeteva.
Stava scappando, stava scappando dal suo inseguitore, si è solo difeso, giusto?
  - Mi sono solo difeso, solo difeso-.
Come avrebbe potuto spiegarlo alla polizia? Cosa avrebbe detto agli agenti riguardo alla pistola non registrata? Avrebbero finito per sospettare di lui anche per quella cosa...
Il suo respiro si faceva sempre più affannoso.
Aveva già avuto un infarto, tempo prima, probabilmente stava per averne un altro proprio in quel momento.
  - Io sono... sono solo una vittima!- esclamò terrorizzato.
Ci fu un attimo di totale silenzio.
Non riusciva a sentire nient' altro che il suo respiro, il suo cuore battere
all' impazzata.
Quell' attimo, fu come manna dal cielo per Pooves.
Gli diede il tempo esatto per rivivere la sua misera, inutile vita.
Snobbato da tutti nei primi anni di infanzia, aveva poi sposato una donna che non lo amava e che lui, non amava.
Avevano avuto due figli per i quali provava una profonda indifferenza.
Era stata una vita pietosa, senza uno scopo.
Forse era stato proprio questo a renderlo ciò che era adesso.
Forse, anni di sofferenza ed eccessivo dolore avevano reso l' uomo un mostro.
L' attimo si concluse con una risata.
Forse, Pooves se l' aspettava, forse aveva capito che era finita da un pezzo.
Per questo aveva rivissuto
quell' enorme e triste flashback.
Era la fine.
Gli occhi color grigio topo si tinsero di terrore, ripresero a lacrimare copiosamente, non la smettevano più.
A ridere non era stato lui.
Il cadavere, il corpo dell' uomo morto di fronte a lui, era stato preso da una forte ilarità.
Pian piano si alzò: lo aveva colpito e lo aveva ferito, il sangue che colava dal giubbotto fino a terra lo dimostrava eccome.
  - Bella mira per un tizio insulso come te,- rispose l' uomo in nero -ma ci vorrà ben più di questo per eliminarmi.-
Si avvicinò ancora a Pooves, ormai paralizzato con la schiena poggiata sul muro, con grande sicurezza.
  - Sai perchè ho riso, Mickey?-
Si avvicinò ancora: la sua bocca era a pochissimi centimetri dall' orecchio destro di Pooves.
  - Ho riso perchè adoro come tu stia continuando a professarti innocente anche dopo che hai cercato di uccidere un uomo.-
  - Tu... tu mi hai attaccato.-
L' uomo in nero sorrise, si allontanò iniziando a camminare intorno a lui.
Il sangue non la smetteva di gocciolare, stava quasi formando un semicerchio che descriveva il suo percorso, avanti e indietro.
  - Questo è vero, ma dimmi: al di là del mio tentato omicidio, ti consideri davvero senza alcun peccato?-
Pooves non rispose, l'uomo si fermò.
-Allora?-
Ancora silenzio. Un freddo venticello aveva iniziato a soffiare per il vicolo. Pooves, nonostante fosse ben coperto, sentiva il ghiaccio nelle vene.
L' uomo sorrise nuovamente.
  - Me lo aspettavo, sei solo un codardo-
Lasciò perdere le domande e partì deciso.
Afferrò Pooves per il collo, sollevandolo e sbattendolo al muro.
  - Persino in punto di morte continui a negarlo? Continui a professare la tua innocenza davanti alle vittime che hai mietuto? TUTTI QUEI POVERI BAMBINI!-
La rabbia stava prendendo il sopravvento, l' uomo tornò calmo.
  - Scusami, mi scaldo un po' troppo a volte. Come stavo dicendo, dopo tutti i fottuti bambini che hai ucciso, ti reputi ancora una brava persona?-
Pooves non rispondeva, e non avrebbe comunque potuto: l'uomo stringeva la mano destra intorno alla sua gola con gran forza, non riusciva quasi a respirare.
  - Chi... chi...-
  - Eric Alphen, Maya Browns, Cindy Wise, Paul Hikes... tutti morti per causa tua-
  - ...- Pooves non aveva nulla da dire, non sembrava nemmeno obiettare.
  - Ho tutte le prove necessarie per incastrarti sui primi due omicidi, non so come tu abbia trasportato il corpo di Paul Hikes alla discarica in così poco tempo, ma tutti i corpi presentano marchii simili... e lo stesso modus operandi del Killer del Timbro... dico bene?-
L' uomo in nero era preso da una frenetica parlantina, non avrebbe smesso di parlare, non ora che aveva di fronte a sè l' uomo che aveva inseguito per una settimana.
Era pronto, poteva vantarsi e raccontare della sua indagine, Pooves era l' unico a cui potesse davvero raccontare ogni cosa.
  - Tutti morti in modo totalmente diverso ma accomunati dai simboli sulla schiena... tranne Cindy, lì ti sei tradito. L' hai annegata, nei suoi polmoni è stata rilevata l' acqua del fiume Tanboun, a pochi kilometri da casa tua. Inoltre, Eric viveva nel tuo quartiere, così come i nonni di Paul.
Certo, tutte insieme queste sembrano delle semplici coincidenze, ma i miei testimoni hanno confermato ogni mio dubbio.-
Si aspettava una risposta, una risposta che non ci fu, aveva persino allentato la presa al collo.
  - Non vuoi sapere chi ti ha incastrato?-
  - ...chi- un' unica parola uscì in un soffio sottilissimo e quasi impercettibile.
L' uomo avvicinò il suo volto a quello di Pooves.
  - I bambini.- rispose assumendo un ghigno soddisfatto.
Pooves emise un verso soffocato di terrore.
  - Loro mi hanno detto tutto ciò di cui avevo bisogno. Non hanno esplicitamente detto il tuo nome, non possono farlo, sai, regole dall' alto; ho ricevuto prove sufficienti per capire che fossi tu però.-
  - Cosa diavolo sei!-
Stavolta l' urlo uscì forte e chiaro, come se la paura e la rabbia di Pooves fossero riusciti a penetrare la stretta dell' uomo e uscire dalla sua gola.
L' uomo lo lasciò cadere a terra, Pooves si rialzò.
  - Vuoi sapere cosa sono? Non chi? Bene.-
Si voltò: gli bastò un lieve movimento del braccio e tutte le tracce di sangue sparirono. Poi schioccò le dita, attirando fra le sue mani la pistola di Pooves.
  - Io non sono umano, o meglio, lo ero, ma adesso non lo sono più. Ho avuto l' occasione di ritornare, ma in cambio sono... diverso, adesso. Non lo augurerei a nessuno, nemmeno a te, ma era l' unica alternativa che avevo per... beh, lasciamo stare, non credo siano affari tuoi.-
Strinse di più il collo di Pooves.
  - Sono diverso, adesso. Sono vivo, ma non totalmente... sono bloccato, bloccato a metà fra la vita e la morte e tu sei ciò che mi serve per restare qui un altro po'!-
Lo sollevò nuovamente, Pooves non era mai stato così spaventato.
Gli occhi azzurri erano l' unica cosa che riuscisse a vedere.
Occhi animaleschi.
Occhi famelici.
  - Non ti farò del male, non troppo... ho solo bisogno della tua anima.-
Poggiò la mano destra sulla sua bocca, mettendosi la pistola in tasca.
  - Il mio nome è Nathan Miller, e tu sarai la mia prima vittima.-
Esercitò una forte pressione sul volto di Pooves.
Urla strazianti, folli, animali, uscirono dalla bocca tappata di Pooves.
Iniziò a sentire un formicolio misto ad un forte, immenso bruciore, che partiva dal cuore e si diffondeva ovunque.
Quando raggiunse il cervello, pochi secondi dopo, fu tutto finito.
Il corpo, morto, si accasciò per terra.
Aveva la bocca aperta, gli occhi vitrei e le sue vene erano diventate tutte completamente nere. Sembrava morto da almeno tre mesi, invece se n' era andato da nemmeno un minuto.
Gli occhiali si trovavano a pochi metri da lui, scheggiati e inutilizzabili.
L' uomo in nero, Nathan, così aveva detto a Pooves di chiamarsi prima di ammazzarlo, indietreggiò di qualche passo. Era in preda a un' esplosione di endorfine: quell' anima che gli entrava in corpo era stata un vero e proprio orgasmo, dovette trattenere alcune urla di goduria.
"La prima anima non si scorda mai, dà sempre tanto, tantissimo piacere", così gli aveva detto.
Ritornò in sè e si apprestò a modificare la scena del crimine.
In pochi secondi la scena di un omicidio divenne un suicidio.
Prima di tutto fece sparire il suo sangue: sarebbe stato stupido modificare alla perfezione un omicidio lasciando il proprio DNA in bella mostra.
Mise la pistola nella mano destra di Pooves, con uno schiocco un foro di entrata e di uscita comparvero sul suo cranio, insieme ai numerosi schizzi di sangue.
Posizionò gli occhiali in modo che sembrassero essersi scheggiati in seguito a un balzo causato dallo sparo.
Infine, estrasse il proiettile dal suo petto, lo pulì per poi sporcarlo con frammenti di cervello e sangue di Pooves e lasciò ai suoi poteri il compito  di sistemarlo secondo le giuste posizioni balistiche, poi modificò le condizioni del corpo, in modo che apparisse molto meno "morto", più "fresco".
Controllò il Contatore sul suo polso sinistro: aveva ottenuto circa un mese con l' omicidio di Pooves, ma tutto ciò che aveva fatto sino a quel momento gli era costato 7 ore.
Bene, era molto tempo, ma sapeva che utilizzando i poteri lo avrebbe sprecato tutto in pochi giorni.
Ebbe a malapena il tempo di calcolare il Tempo guadagnato e quanto ne avrebbe perso per tornare a casa, quando una sirena iniziò a suonare in lontananza.
Se lo aspettava, non potevano non aver chiamato la polizia, non potevano non aver udito lo sparo e le urla.
  - D' accordo, si va a casa-.
Uno, due, tre passi... sparì nell' ombra per ritrovarsi subito lì.
Era dentro l' appartamento, davanti alla porta d' ingresso.
Per arrivare subito lì gli ci erano volute 16 ore del Contatore.
In pochi minuti aveva perso praticamente un giorno di vita.
Lo sapeva, che gli sarebbe costato molto, glielo avevano già detto.
  - Nathan? Sei tornato?-
Una voce familiare lo accolse a casa, proveniva dal bagno.
Solo lui poteva accorgersi della sua presenza, nessun umano l' avrebbe percepita, si era praticamente teletrasportato senza fare alcun rumore.
  - Sono io- rispose.
Aprì il frigo e si sedette sul divano mentre si gustava una birra ghiacciata, il miglior modo per digerire un' anima, e accendeva la tv.
Di lì a poco avrebbero parlato di Michael Pooves e della sua misteriosa morte, non sarebbe stato difficile per la polizia collegarlo agli omicidi a quel punto.
Ma a lui non importava.
Aveva appena ucciso un uomo, era diventato un criminale, ma non si sentiva per nulla in colpa.
Anzi, non penssva nemmeno di aver sbagliato. La morte di Pooves gli aveva dato tempo, tempo che gli sarebbe servito per continuare a vivere e indagare su Fey.
Ma non era questa la cosa importante.
Ora si trovava a casa, ce l' aveva fatta, era finita, non ci sarebbero stati ulteriori problemi.
Per ora.

...Cosa? Che vuol dire "tocca a te"?
Io sono il protagonista, non vengo pagato per racconta... quanti soldi? Davvero? In questo caso...
Scusa se ho distrutto la tanto amata quarta parete che divide lettore e personaggi, ma mi è stato chiesto di sostituire il capo qui sopra per un po'.
Parlo del narratore, ovviamente, colui che ha deciso di raccontare questa storia.
Ma veniamo a noi.
Io mi chiamo Nathan Miller, e tutti gli eventi futuri e passati che leggerai mi vedranno quasi completamente al centro di ogni cosa.
Non volevo ripetere di nuovo la parola "protagonista" e invece ho finito per creare una frase enorme e priva di alcun elemento intrigante... non sono bravo con le parole, non lo sono mai stato: questo non fa di me un buon narratore eh?
Comunque sia.
Poichè la nostra storia ha come vero inizio un bruttissimo evento avvenuto circa otto mesi prima l' omicidio di Michael Pooves, ho ricevuto l' incarico di raccontare come meglio posso ciò che accadde in quei mesi, per poi passare il testimone al vero narratore per ritornare a me che bevo una birra e guardo il notiziario.
Ti racconterò, lettore, ciò che mi ha portato ad essere quello che sono adesso.
Scoprirai come sono diventato un Taker, o Mietitore, se preferisci.
Leggerai della mia Origine.
L' Origine del Male.

The Taker Tales: Eternal CurseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora