1

54 7 5
                                    

DEEP BREATHE
capitolo uno;

"Non lo disse ad alta voce perché sapeva che a dirle, le cose belle non succedono."
-Ernest Hemingway

Non percepivo più la realtà, mi sembrava di essere finita in una dimensione parallela, dove un torpore mi avvolgeva e mi stringeva al petto come se mi dovesse proteggere e custodire dalla distruzione. Udivo i rumori ovattati come se fossi immersa in un'enorme bacinella d'acqua e vedevo il mondo più spento e cupo.
Volevo dare un nome a questo istinto strano che mi portava a chiudermi a riccio su me stessa come se le persone all'esterno potessero solo farmi male; ero giunta alla conclusione che non fosse qualche strano difetto psicologico, ma auto conservazione.
Non capivo più il motivo di trovare uno scopo alle mie giornate, volevo solo che trascorressero, ed in fretta. Temevo che i miei più grandi incubi diventassero la causa della mia morte emotiva e sensoriale. Ero terrorizzata dall'apatia; la osservavo con costernazione e diffidenza, come si potrebbe guardare una losca ombra che si muove tra le fronde fruscianti, in una foresta, nel bel mezzo della notte.

Avevo da poco superato lo shock di quello che mi avevano raccontato i dottori una volta che mi fui risvegliata su quell'odioso letto d'ospedale piena di contusioni e graffi distribuiti per il volto in corrispondenza della portiera e dell'airbag. Era normale che fossi in questo stato pietoso, o almeno, era quello che si divertiva a propinarmi Mr. Jackson ad ogni seduta una volta a settimana per un'ora e un quarto in cui sospiravo ad ogni secondo che passava sperando di potermi presto rinchiudere nella mia personale bolla di sapone.

"Come stai, Jocelyn?" Chiedeva sempre con gli occhiali bianchi calati sul naso e un taccuino rosso tra le mani tra le cui pagine era incastrata una matita sottile con la mina di media durezza, il mio terapista. Io sospiravo pesantemente e scuotevo la testa facendo scendere qualche breve lacrima di frustrazione e dolore.

"Spero ogni giorno che sia un brutto sogno dalla quale prima o poi mi sveglierò." Rispondevo sempre premendo le labbra in una sottile linea e lasciando andare un sospiro bollente che volteggiava nell'aria disperdendosi nella stanza silenziosa. I seguenti minuti in genere trascorrevano tra dei faticosi sospiri da parte mia e qualche consiglio da parte sua su come elaborare il lutto; consigli che ovviamente erano del tutto inutili, non sapevo neanche perché si sforzasse di illustrarmeli.

A casa la situazione non era migliore, anzi, i miei parenti non facevano altro che parlarmi in modo calmo e pacato per evitare che mi spezzassi, e il mio quasi ragazzo, Travis, si era limitato a qualche breve messaggio di pronta guarigione seguito da dei veri e propri insulti quando le sfocate dinamiche dell'incidente erano giunte anche a lui per vie traverse; i pettegolezzi mi avrebbero fatto ammattire prima o poi, non li avevo mai sopportati. Trovavo che chi li mettesse in circolazione fosse solo e triste, e la sua vita non lo soddisfacesse affatto; purtroppo erano molte le persone in questa situazione, mi facevano quasi tenerezza.

Trascorrevo tutto il mio tempo in camera da letto abbuffandomi di schifezze per rimediare alle prime due settimane di digiuno completo e piangendo tutte le lacrime che possedevo fissando il soffitto o sonnecchiando fino allo stordimento.

Avevo continuato così giorni, settimane, mesi... neanche io sapevo quanto era passato effettivamente, fino a quando mia madre non mi aveva ordinato di alzarmi dal letto sul quale passavo il novanta percento del mio tempo, farmi una doccia e andare al supermercato in bicicletta. Neanche lei mi avrebbe fatto andare ancora in auto dopo il tauma che avevo subito; in fin dei conti c'ero anche io su quella cabriolet nera lucida, e ne portavo il simbolo sottoforma di ingombrante gesso che mi fasciava quasi interamente il braccio destro. Avrei dovuto togliere a breve anche quello, e allora avrei finalmente realizzato che era tutto reale, che avrei dovuto fare a meno della sua costante presenza nella mia vita, perché la morte la impediva.

Deep breathe Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora