Capitolo quattordici

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Una settimana dopo...

La mia camera è già un disastro e sono qui da pochi giorni.
Le magliette sporche son accatastate in un angolo, quelle pulite sulla poltrona blu accanto alla scrivania.
Su di essa, vecchie pratiche e nuove, albergano creano un gran caos, alcune hanno sommerso la tastiera del computer.
Il letto è sempre disfatto, anche se la cameriera passa ogni giorno a rifarlo, io lo vedo ordinato solamente la sera, qualche secondo prima di addormentarmi.
La valigia non è ancora del tutto disfatta, perciò in bagno manca il phon e qualche crema, mi sta molta fatica rimetterle a posto.

A parte il disordine, la Norvegia è davvero bellissima. Regna una calma assoluta, nessuno sembra avere fretta, le persone sono cordiali e allegre, costantemente sorridenti.
Mary mi ha portato a visitare le piccole città nascoste dietro le vallate, alcuni laghi dentro ai boschi e l'azienda, wow l'azienda.
Non assomiglia affatto a quella di New York, dove tutti andavano per la loro strada, sempre cupi e ripiegati su se stessi.
No, qui le persone si fermano a salutarti, domandoti come va e se gli dici che hai del lavoro arretrato, loro si offrano addirittura di aiutarti.
Non sono abituata a questa realtà, molto spesso mi viene da chiedermi se la persona che ho davanti sia falsa, ma la cosa bella è proprio questa.
Loro sono fatti così.
Ed adoro il loro modo di essere. Mi stanno insegnando molto.

Qualcuno bussa alla mi porta, ma so già chi è.

<Arrivo Mary.> Devo finire di prepararmi, sono ancora scalza, ma almeno non sono nuda.
Apro velocemente la porta, appoggiando la testa contro di essa e sorridendo alla visione di due ciambelle, accompagnate da caffè caldo.

Mary mi porta la colazione tutte le mattine, mangiamo in camera mia e poi la sua auto viene a prenderci, scortandoci in ufficio.
Durante il tragitto, mi spiega gli affari da sbrigare e mi aiuta anche con il mio comportamento.
Presume che inizialmente fossi troppo flessibile, mi ha detto che per dirigere un'azienda ci vuole il pugno di ferro e che se un impiegato sbaglia, va punito in qualche modo, come fosse un bambino, che deve imparare le buone maniere.

<Hai una luce brillante oggi.> Mi squadra dall'alto al basso, muovendo la mano in cerchio davanti a me.

<Perché sono pronta a dimostrati che sono la persona giusta per questo impiego.> Le apro la porta, facendole segno di entrare e lei non esista a posare i suoi tacchi bianchi, oltre la soglia.

<Già lo so.> Mi riprende, voltandosi improvvisamente verso di me e porgendomi una ciambella. La sfilò dalla sua mano, mordendola ferocemente.
La mattina è il momento in cui sono più affamata, questa ciambella è buonissima, ma non si può comparare alle piadine bruciate di Al...
Un sorriso sorge spontaneo sul mio volto, quando il suo nome risuona nella mia testa e svanisce piano piano, chiedendomi adesso che cosa starà facendo.

Quando sono salita sopra al taxi, ho visto con la coda dell'occhio, che Alex era dietro la tenda e mi stava guardando, ha alzato la mano verso di me, salutandomi un'ultima volta e se in quel momento non ci fosse stata Mary, sarei scoppiata a piangere.
Lo so, questa decisione è stata mia, so che non ho il diritto di starci male, ma nonostante tutto amo Alex, è sempre stato così e sempre lo sarà, non posso evitare di pensarla.
Ogni minimo dettaglio, mi ricorda di lei.
Andare avanti è difficile, quasi impossibile, l'unica cosa che mi tiene in piedi, è la voglia di dimostrare quanto valga.

<Gli azionisti sono già impressionati dal tuo lavoro. E dalla tua bellezza.> Mi fa l'occhiolino, confidandomi che Gerald, uno degli azionisti appunto, ha espresso una certa attrazione nei miei confronti.

<Vorrebbero fare una cena, alla quale siamo entrambe invitate. Che ne dici?> Domanda, portando alla bocca un piccolo pezzo di ciambella con la glassa rosa.

<Cerro per me va bene.> Ho già finito la mia colazione minuti fa, ho appoggiato il caffè sul tavolino, per infilare le scarpe.
L'assordante suoneria di Mary, ci avverte che è ora di andare.

<Andiamo. È tardi.> Butta via la sua colazione e mi afferra per il polso, riesco appena in tempo a prendere la borsa.

ALEX:

<Andiamo Vause!>

<Ho detto no.> Ripeto, con voce più dura stavolta.

<Solo una.> Mi implora Nicky, unendo i palmi delle mani e pregandomi.

<Cazzo no! Scegli qualcos'altro. Non cucinerò le piadine.>

Non posso cucinarle. Mi ricordano Pip... Insomma, lei.
Il suo nome non può neanche sfiorare i miei pensieri, o una fitta, lacera il mio stomaco.
Tutte le volte che ho provato a cucinare le piadine, lei si sedeva sullo sgabello e anche se era un pasto immangiabile, lei ripuliva anche le briciole bruciate, pur di non criticarmi.

Sorrido, pensando a che cosa starà facendo, starà bene? Sarà sicuramente a lavoro, da lei adesso sono circa le due del pomeriggio, mentre qui a New York, è sorto da poche ore il Sole.
Nicky, negli ultimi giorni, sta dormendo da me, perché fortunatamente ha litigato anche lei con Stella, la quale sembra aver scoperto le visite segrete della riccia, all'italiana Morello.

<L'hai più sentita?> Chiede Nicky, spiazzandomi di brutto.
Sto tagliando il pane, quando mi pone questa domanda e il coltello scivola dalle mie mani, colpendo il legno.

<No.> Rispondo secca. Mi giro di spalle, facendo finta di lavare la prima cosa che trovo.
Non posso affrontare una conversazione su di lei adesso.
È passata solo una settimana, la ferita non solo è aperta, ma continua a sanguinare.

<Potresti scriverle.>

<No.> Rispondo nuovamente <Non voglio scriverle. Io e lei abbiamo chiuso, se le scrivessi mi farei ancora più male. Se è una storia chiusa, è chiusa.> Sollevo le spalle. Nemmeno io credo alle mie parole.
O meglio, al fatto che forse non la rivedrò più.. Può essere.
Ma non è vero che è finita, fra noi non finirà mai, anche se distanti anni luce.
I sentimenti che abbiamo l'una per l'altra, tutte le situazioni che abbiamo affrontato insieme, le pugnalate che ci siamo inflitte... Ogni cosa, ci ha cambiato, segnandoci nel profondo.

La ritroverò in ogni piccolo gesto, anche quando mi illuderò di averla dimenticata, ci sarà qualcuno che imiterà i suoi movimenti, o che avrà il suo stesso taglio di capelli, o ancora, qualche risata mi ricorderà la sua, cercherò il suo sguardo in mezzo alla folla, ricordandomi che certe storie, non si chiudono mai.

<D'accordo. Allora stasera usciamo.> Non è una proposta, ma un ordine.

<Non credo proprio.> Mi giro verso di lei, tenendo le mani sul bancone.

<Ahhh... Si. E non puoi ribattere, ti porterò fuori da casa, anche perché... Vivi ancora nella sua casa.> Si guarda attorno, notando l'arredo ben pensato, le fotografie di famiglia e i fiori che illuminano l'ambiente.

<Sto ancora rimettendo le ultime cose...> Mento. Sono rimasta qui, solo per poter dormire con il suo cuscino.
Poi Nicky è venuta a trovarmi e non se ne è più andata, non l'ho fatta entrare nella nostra stanza. Dormiamo nella camera degli ospiti, non sopporterei di non sentire il suo profumo.

<Stasera usciamo. Senza discutere.> Sbatte il pugno sul tavolo, come sentenza finale.

È deciso.

Alex e Piper 2 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora