Uso degli avverbi nella scrittura

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Qualunque aspirante scrittore che abbia sfogliato un manuale di scrittura moderna avrà notato una vera e propria demonizzazione degli avverbi con suffisso -mente. Obbedire a una regola senza comprenderne la reale finalità è un po' come allacciarsi la cintura di sicurezza solo per evitare una bella multa. Con questo articolo vorrei spingervi a una riflessione in merito all'avverbio di modo e alla sua presunta deprecabilità.

Urge fare un piccolo passo indietro. La condanna degli avverbi deriva in primis dallo "show, don't tell", l'abusatissima raccomandazione che dovrebbe spronarci a rivelare cose, fatti e personaggi attraverso dialoghi e azione piuttosto che con la semplice descrizione.

L'estremizzazione di questo concetto ha portato a una scrittura sempre più cinematografica, divenuta troppo spesso asettica e poco interattiva. A pensarci bene, è proprio l'interattività a costituire la più netta differenza tra il linguaggio dei libri e quello del cinema. Un libro lascia al lettore l'onere e il piacere di immaginare un personaggio sulla base delle peculiarità descritte dall'autore, mentre il cinema impone i suoi tempi, suoni e colori. È quest'ultimo – che piaccia o meno – il modello verso cui romanzi e racconti moderni si stanno evolvendo.

Fatta questa doverosa premessa, diventa facile comprendere per quale motivo i guru della scrittura moderna diffidino dall'utilizzare gli avverbi di modo. Questi sono generici, sintetici e a dirla tutta anche un po' cacofonici. Ma siamo proprio sicuri che il male sia costituito esclusivamente dall'avverbio?

Facciamo un esempio:

Antonio camminava lentamente.

L'ingenuo divoratore di guide di stile penserà che basti sostituire il demone-avverbio con un espediente non troppo originale. Eccolo:

Antonio camminava con lentezza.

Cos'è cambiato? L'avverbio non c'è più, ma siamo sicuri che la seconda frase sia più idonea della prima? Assolutamente no. Ecco svelato il più grosso fraintendimento dei diktat del "bello scrivere". Il problema non è insito nell'avverbio, piuttosto nel come esprimiamo il complemento di modo.

Potremmo cedere alla pigrizia e attingere a un avverbio di modo, al pari di un single svogliato che per non cucinare acquista soltanto pasti precotti. Ma se vogliamo rendere la passeggiata del nostro Antonio un po' più memorabile di quelle di chiunque cammini lentamente dobbiamo impegnarci un po' di più:

Antonio camminava osservando le vetrine. I passanti, come tanti automi bramosi di recarsi al più presto chissà dove, lo superavano senza risparmiargli spallate o spintoni. Lui non si era nemmeno accorto di aver dimenticato a casa l'orologio.

Di contro, parlando di una canzone vincitrice al Festival di Sanremo, potremmo scrivere:

"Al Festival venne premiata una canzone che parlava d'amore, tematica piuttosto usuale nelle manifestazioni canore".

Ma se le mie intenzioni fossero quelle di rimarcare la banalità del solito testo a sfondo sentimentale, nulla più di un avverbio in -mente potrebbe venirmi in aiuto:

"La canzone, rigorosamente d'amore, vinse il Festival".

Con questi esempi ho voluto semplicemente spiegarvi come l'integralismo stilistico spesso possa risultare fuorviante. I consigli dei mostri sacri della letteratura vengono troppo spesso ridotti a decaloghi approssimativi ai quali l'aspirante scrittore – bramoso di farne tesoro – rischia di ottemperare senza averne compreso appieno lo spirito.

Non è detto che un tipo di scrittura meno "raccontata" venga apprezzata da tutti. È fondamentale però che la sensibilità di chi scrive stabilisca dove ci si possa concedere un avverbio senza impoverire o imbruttire la narrazione.

La solitudine dei numeri primi, libro che ho mollato dopo mezzo capitolo trovandolo insopportabile, contiene più di trecento avverbi in -mente, tra cui ben quarantaquattro "lentamente". Ebbene, il libro di Paolo Giordano ha vinto il Premio Strega e il Campiello.

Lo stesso Stephen King, che lancia un vero e proprio anatema contro gli avverbi di modo, ne ha utilizzati centinaia proprio nelle opere che l'hanno portato alla notorietà, alla ricchezza e... al potersi permettere di impartire lezioni di scrittura.



da pennablu.it

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