prologo

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Era un giorno autunnale, la stagione dei pensieri, dei come e dei perché.
Dalla finestra si poteva ammirare l'incantevole e malinconico paesaggio tipico della stagione,
le foglie in caduta libera lasciavano gli alberi spogli, privi di personalità.
Lasciavano il loro posto sicuro per scontrarsi contro il duro e sporco terreno, per finire con l'essere calpestate da chiunque le incontrasse sul proprio cammino, come se nulla fosse.

Faceva sia caldo che freddo, era la stagione dei dubbi e delle indecisioni, e purtroppo;
mi rappresentava a pieno.
Non era ancora inverno, ma si iniziava già a tirare fuori dai cassetti i maglioni larghi e caldi per difendersi dal freddo, e dagli sguardi inopportuni su quelle cicatrici che rappresentavano gli sbagli commessi durante un periodo di subbuglio interiore, durante un periodo sbagliato che tutti avrebbero definito momentaneo, ma che era durato invece fin troppo a lungo.

Non era ancora inverno ma c'era già chi beveva la cioccolata calda sotto le coperte davanti ad un film, un libro, o semplicemente con delle cuffiette nelle orecchie a fargli compagnia,
al posto delle persone.
Per cercare di dimenticare almeno un po' il mondo circostante al di fuori di quelle coperte che fanno sentire tutti così sicuri e protetti;
anche se, qualsiasi tentativo di dimenticarne l'esistenza era più che vana.

La stagione in cui si pensa,

la stagione in cui si possono ammirare le numerose gocce d'acqua picchiettare e scivolare giù come fossero lacrime,
sui finestrini delle automobili, degli autobus, dei treni, o sulle finestre delle case;
ed infiltrarsi nella vita delle persone con un leggerissimo suono a cui raramente qualcuno avrebbe prestato attenzione,
perché ormai i dettagli, non li guardava più nessuno.

C'era addirittura chi scommetteva su quale goccia d'acqua sarebbe scivolata giù dal finestrino per schiantarsi contro il duro, freddo e grigio asfalto, per prima.
Su quale goccia cedesse per prima, scontrandosi così contro il suo triste ed inevitabile destino.

Constatai inoltre che alcuni individui, anzi, molteplici; tutto ciò non erano soliti farlo solo con le gocce d'acqua, ma anche con le persone a sé circostanti.

Fin troppi individui trovano gusto nel veder cadere altre persone, nel vederle scivolare via, nel vederle schiantare contro il duro, freddo e grigio asfalto.

Dunque, la domanda che mi posi fu, sempre e costantemente: e se a cadere, se a schiantarsi fossero loro, ci troverebbero ancora così tanto gusto? O si fermerebbero a riflettere?

Inizialmente questo dubbio preferii lasciarlo al Karma;
credevo profondamente in esso.
Credevo che la ruota girasse per tutti, che alla fine di tutto, chi avesse fatto del male, ne avrebbe ricevuto altrettanto,
e per chi avesse fatto del
bene sostanzialmente, sarebbe valsa la stessa logica.

Constatando però il quadro generale della mia situazione, oggettivamente; di bene non ne vidi mai molto.
Anzi, non ne vidi nemmeno l'ombra,
e pensandoci, non mi sembrava di aver mai fatto qualcosa di così terribile per cui il fato, l'universo o qualsiasi cosa credessi esistesse e mantenesse almeno un po' l'ordine nel mondo, dovesse punirmi così malamente, e soprattutto, per un periodo così dannatamente lungo.

Fu lì, in quell'esatto momento che mi accorsi che ciò in cui credevo non era altro che un modo alternativo per aggrapparmi agli specchi.

La speranza che ciò accadesse davvero, che i cattivi venissero puniti ed i buoni venissero premiati, mi serviva per continuare ad andare avanti,
per credere che in fondo il mondo potesse diventare, nonostante tutto, un posto migliore dove crescere dei figli e vivere una vita serena.
Per non buttare la mia vita nel cesso, come avevano fatto i miei genitori,
ma soprattutto, mi serviva per non decidere di farla finita sparandomi in testa.

Alle volte mi convinsi di essere io quella che non meritasse di stare bene, di essere felice, e probabilmente era così, io il bene; non me lo meritavo.

Quello che le era accaduto, doveva succedere a me, non a lei.

Come una goccia di pioggia; in tenera età mi ritrovai a dover affrontare il mio triste ed inevitabile destino, e così capii.
Capii che alla fine, i cattivi non venivano mai puniti.
La scampavano sempre, in un modo o nell'altro, ed i buoni dovevano restare a pagare gli effetti collaterali delle loro azioni ed a raccogliere i pezzi ormai andati in frantumi, come nel mio caso.

La stagione in cui si pensa no?

C'è chi scommette sulle gocce di pioggia e c'è chi invece, come me, è stufo del mondo nel quale siamo costretti a vivere,
un mondo dove se si è troppo grassi non si va bene; ma se si è troppo magri, non si va bene comunque.

"Oh mio dio, ma l'hai vista quella? Quasi quasi è più grossa di una balena haha.
Te la immagini in spiaggia?"

"Oh mio dio, ma l'hai vista quella?
Che schifo, mi pare uno scheletro, scommetto che le si possano contare senza alcun problema le costole; roba da pazzi. Mamma mia che schifo, ha la gamba quanto un mio braccio. Ma mangia?"

No, no che non mangio e quel poco che mangio lo vado a vomitare, se mi dai della grassa e grossa balena da mattina a sera.

Viviamo in un mondo dove non si è mai quello che si è realmente, per paura di venir giudicati e derisi, di conseguenza ognuno di noi, lentamente si crea una sorta di maschera, un muro davanti a sé.

C'è chi lo fa per scarsa autostima, chi lo fa per paura, chi lo fa perché si sente più al sicuro mostrando ciò che non è, e chi lo fa semplicemente per nascondersi.

Nascondersi da cosa?

Nascondersi da una società che il mondo non lo porta avanti, ma che lo lascia lì, ai bivi.
Dov'è sempre stato d'altronde.
Nascondersi da chi apparentemente è più forte di noi, perché se là fuori ti mostri debole, ti fanno a pezzi.

E c'è chi la pioggia, l'aspetta.
L'aspetta per togliersi finalmente quella maschera di finto menefreghismo e piangere insieme a lei.

Poi invece, c'ero io.

Fragili come petali di rugiadaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora