Bianca's POV
Sono tornati. Di nuovo.
Sono appena entrata a casa dopo una lunga e faticosa giornata, e neanche il tempo di entrare, me li ritrovo davanti, aspettavano me.
Mia madre, in piedi, di fronte a loro, prima che si accorgessero della mia presenza, mi guarda con quei suoi occhi. Occhi che mi parlano, e io li capisco. Esito un po' sull'uscio di casa, indecisa sul da farsi, ma subito sono fuori, ho ricominciato a correre.
Stessa scena di tre giorni fa.
Io corro, loro mi inseguono.
Stavolta sono equipaggiata al freddo, il gelo non ostacola più di tanto la mia corsa, il mio maglione mi protegge, così come la lunga sciarpa rossa che mi scalda il collo e che svolazza dietro di me, come se fosse la mia scìa.
Non mi rendo conto del tempo che ho passato correndo, nè della strada che ho percorso, come la scorsa volta mi sono affidata all'istinto, ho vagato senza meta. Ma in qualche modo i miei piedi mi hanno portato allo stesso luogo di pochi giorni prima, e alla stessa maniera, poco prima che mi prendessero sono riuscita a salire quelle scale fino a quel balconcino malandato.
La finestra è aperta. Entro.
Il calore di quella stanza mi fa immediatamente scordare ciò che ho passato fino a pochi attimi prima, mi catapulta in una nuova realtà completamente diversa da quella in cui faccio la parte della ragazza in fuga, l'aria qui dentro mi tranquillizza.
Appena l'adrenalina passa mi rendo conto di non essere sola.
-Di nuovo tu!
Stavolta sono io a prendermi lo spavento, perchè rotolando dalla finestra non mi ero minimamente accorta che il proprietario della casa, in cui avevo per la seconda volta irrotto, era beatamente sdraiato nel suo letto.
-Non si usa bussare?- Si tira su con la schiena fissandomi con curiosità.
I capelli scuri e arruffati gli coprono mezzo viso, indossa una semplice tuta e una maglia. Al suo fianco il telefono con le cuffie attaccate.
La situazione è ancora più imbarazzante della prima volta.
Faccio una risata nervosa contenuta -Tataan!- recito un'entrata di scena allargando le braccia, questo lo fa sorridere, poi torna più confuso di prima. E come biasimarlo.
-E' esagerato cercare di capire perché continui ad entrare a casa mia?- si mette seduto, lo sguardo fisso su di me, cerca di studiarmi, di capirmi. Osserva ogni mio movimento, mentre io a contrario suo, non riesco a guardarlo minimamente negli occhi, la situazione è troppo strana, ma non posso farne a meno, così la tensione mi porta a vagare per la stanza mostrando interesse per ogni cosa che vedo all'interno di essa. Uhm, come questo salvadanaio a forma di ranocchia, carino.
-Mi hai sentito?- sì, ma faccio finta di niente. Annuisco soltanto.
Prendo in mano il salvadanaio in porcellana squadrandolo da cima a fondo. Lo scuoto due volte ma lui, dopo aver sbuffato pesantemente si alza e me lo toglie di mano, rimettendolo a posto.
-Allora? Cosa fai di nuovo qua?- Ahh le domande. Odio le domande.
Alzo lo sguardo verso di lui e noto che è accigliato, forse è davvero arrivato il momento di dire qualcosa, se non voglio che mi rispedisca fuori.
-E' complicato- alzo le spalle e poi le rilascio, come se su di esse si concentrasse tutto il peso della mia vita.
-Bhe è meglio che io riceva delle spiegazioni, perché non mi sembra normale, che tu- mi indica - entri di soppiatto nella mia abitazione, senza che io non ne sappia il motivo, ma la cosa più assurda e che io neanche ti conosco- stringe gli occhi a fessura, concentrandosi sul mio volto. Fa un passo avanti, la sua vicinanza mi spinge a guardarlo come lui fa con me, mi accorgo che ha gli occhi azzurri. Un mare tormentato con in mezzo una piccola pallina nera che si restringe fino a scomparire, in confronto a tutto l'azzurro, vivo, che la circonda.
Sì, un bel colore non c'è che dire, il taglio dei sui occhi li incornicia divinamente, ma non mi lascio impressionare né intimorire da questo.
-In effetti è strano- ammetto grattandomi in collo senza un apparente motivo, è più un gesto legato al nervoso, al fatto che ora, come poche volte nella mia vita, non so che fare. Mi trovo impreparata.
-Ti rifaccio le stesse domande che ti ho fatto l'altra volta- no, no, no, non ricominciare con le domande, la scorsa volta mi aveva chiesto il nome e il motivo della mia "visita" - e a cui non hai risposto. Com...- a cui io nono ho volutamente risposto, passando da un argomento all'altro.
-Avevi ragione- lo interrompo.
Sembra disorientato dalla mia presa di parola -Su cosa?- chiede.
-Ci siamo già visti.
-Ah. Eh. Ah e infatti, sì- incespica sulle parole -dove?
Faccio un sorriso tirato -A scuola.
Mi guarda stranito, come se stessi parlando in una lingua aliena -A scuola? Impossibile!- E invece sì -Io non vado più alle superiori.
Il tempo di rendermi conto di quello che ha detto che sgrano gli occhi e... esito a far uscire le parole dalla bocca, nel frattempo sento le guance avvampare -Neanch'io vado al liceo, ma per chi mi hai preso? Ho più di vent'anni io!- mi sento offesa nel profondo.
-Cosa? Davvero?- non ci crede neanche -Ti facevo molto più piccola-
-Sì, è un equivoco piuttosto frequente- sollevo un angolo della bocca per un secondo, odio quando mi danno della ragazzina, ci tengo alla mia età, e forse non dovrei prendermela, ma è più forte di me.
Lui ride -Ma Davvero? Cioè di preciso quanti anni hai? Vai all'università?
-Ventidue, e sì, studio all'università- rispondo scocciata.
-Siamo coetanei!- sembra felice di questa scoperta -E tu dici che frequentiamo la stessa uni?- ahhh una persona che abbrevia le parole. Un'altra cosa che odio.
-Sì, forse, mi sembra di averti visto lì, nei paraggi- ero partita col presupposto di non dire niente, invece sto già parlando troppo, per questo mi freno un po' e non dico esattamente le cose come stanno.
-Alla "Sapienza"?
-Sì, là.
-E che facoltà frequenti?
-Adesso vuoi sapere troppo.
-Non ti piacciono le domande. Ho capito.
-Sei perspicace- spero che sia anche così intelligente da starsene zitto e smetterla di mettermi in difficoltà.
-A me invece piace così tanto fare domande- stringe un pugno sul petto, lo dice come se fosse addolorato per me ad ammetterlo. Segno che non smetterà di tormentarmi, perché non è ciò che vuole.
Vago con lo sguardo alla ricerca di un'orologio, lo trovo appena sopra la trave superiore della porta. E' passato un bel po' di tempo, non sono molto sicura, ma credo di avere il via libera per potermene tornare a casa.
-Ora devo andare.
-Così presto?- ignoro la sua faccia, che non capisco sia realmente deluso o mi sta solo prendendo in giro, e mi avvio verso la mia scappatoia.
Mi segue.
Mi guarda mentre porto una gamba fuori dal davanzale, sono quasi del tutto uscita quando mi ferma dicendomi -Qualcosa mi dice che tornerai, e se succederà non potrai sottrarti al rispondere alle mie domande.
Non appena sono interamente fuori, avverto immediatamente il cambio di temperatura, i brividi mi pervadono la pelle, e il vento della sera mi accarezza i capelli, che a causa della corrente si frappongono tra me e lui, che si trova dall'altra parte del muro, al sicuro nella sua disordinata ma accogliente e calda stanza.
Mi guarda con la consapevolezza che mi rivedrà di nuovo.
Io, francamente, spero di no.
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Lascia la finestra aperta
ChickLitOgni giorno a quell'ora lei era lì. Così come me, l'aspettavo. Abbiamo due ragazzi, uno l'opposto dell'altro, il bianco e il nero, il sole e la luna, ognuno con i suoi problemi. Il loro primo incontro è stato frutto del caso, e gli altri? Come si sp...