VI La rivelazione

816 34 1
                                    

Il giorno dopo, Antonius si alzò al canto del gallo. Ravvivò il fuoco che dormiva stanco sotto la cenere, soffiandovi piano sopra. Aggiunse poi dei ramoscelli secchi, che presero subito fuoco. Dopo aver macinato un pugno di grano, lo impastò con dell'acqua presa da un orcio di coccio posto lì accanto. Su un tavolaccio divise l'impasto in piccoli panetti, che poi stese a cuocere su una pietra resa bollente dalle fiamme. Camilla si svegliò al profumo delizioso che si diffuse immediatamente nella stanza.

«Ta', sei tu?»

«Figlia, preparati. Dobbiamo andare.»

«Dove? Che succede, padre? »

«Non preoccuparti. Andiamo e lo vedrai.»

Consumarono assieme a della frutta due delle focacce calde, e misero da parte le altre nel sacco. Si incamminarono di buona lena verso sud, tra le querce, accompagnati dal cinguettio degli uccelli. In silenzio, costeggiarono il lato est dell'ultimo dei monti Ausoni. Camilla, da buona camminatrice qual era, precedeva suo padre. Era alta per la sua età, longilinea, e aveva lunghi capelli neri che le ricadevano sulle spalle. Indossava la sua tunica di sempre, che ormai cominciava a starle corta. Stava davvero crescendo. Grazie alla vita all'aperto, ai lavori che Antonius e Arisia non avevano mai lesinato di assegnarle, ai giochi e alla sua predilezione per la corsa, i muscoli erano ben delineati, le braccia forti e il polso fermo.

Dopo aver percorso una decina di stadi, deviarono verso est. Giunti ai piedi del monte, si dissetarono alle acque sorgive di un ruscello. Dopo una breve sosta, iniziarono a salire. Montenero non era molto alto e, dopo un altro miglio circa, la pendenza cominciò a digradare.  A quel punto si inoltrarono in un bosco di alte querce. La selva era fitta e stranamente silenziosa. Qua e là, dal terreno umido e ricco di humus sbucava qualche roccia. Camminarono ancora verso sud per circa uno stadio e, facendo molta attenzione, oltrepassarono un tratto privo di vegetazione, simile a una pietraia. Le pietre uscivano dal terreno come se fossero state piantate di taglio, spigolose, affilate e taglienti, e non cedevano al passaggio. Facevano parte di un unico massiccio roccioso che le intemperie avevano eroso in modo bizzarro. Alla fine della formazione rocciosa sbucarono in una strana radura. Gli alberi intorno, disposti a distanza regolare, formavano un cerchio quasi perfetto. Al centro si trovava una grossa roccia squadrata lunga circa otto piedi, larga altrettanto e alta un piede. L’enorme tavola di calcare poggiava su un'altra roccia che sbucava dal terreno, squadrata anch’essa. Sulla pietra più grande giaceva la carcassa di un animale sgozzato con le viscere che fuoriuscivano dal ventre. Più in là  erano ancora visibili tracce di un grosso falò, mentre per terra, sotto l'altare - perché di un altare si trattava- erano disposte delle statuine di terracotta che raffiguravano la dea Artume. Questo era il nome che i numerosi commercianti etruschi stanziati nella vicina Fregellae attribuivano ad Artemide, la dea cacciatrice, chiamata Diana dai latini. Altre statuine giacevano sparse al suolo. Rappresentavano cervi, cani, e altre figure votive.

A quella vista Camilla esclamò:

«Padre, dove siamo? È questa la nostra destinazione?»

Antonius annuì.

«Questo è il tempio della dea Diana. È giunto il momento che tu sappia la verità a proposito della tua infanzia.»

Le raccontò tutto sulle sue origini, e alla fine aggiunse:

«Vedi quell'altare di pietra? È dedicato a Diana, dea delle selve e tua protettrice, alla quale il tuo vero padre ti ha consacrato. Sono sicuro che è stata lei a proteggerti e aiutarti nello scontro con il cinghiale. Bada bene, ciò non sminuisce i tuoi meriti, ma ti carica di responsabilità. Dovrai sempre rendere onore alla dea ed esserle riconoscente.»

L'attenzione di Camilla, però, non era certo rivolta ad Artemide.

«Padre, io non conosco questo re Metabo e non voglio conoscerlo. Tu sei mio padre, tu e mia madre siete la mia famiglia, e io non ne voglio un'altra!»

«Vieni, Camilla, sediamoci. Non hai fame? Mangiamo e parliamo un po’, dài.»

Si sedettero e Antonius riprese il discorso.

«Camilla, ho viaggiato molto da giovane. Vivevo in un luogo lontano da qui. Ho navigato i mari, ho visto mondi lontani, ho lottato e versato sangue, e mai e poi mai avrei immaginato di finire qui, a fare il pastore tra queste montagne. Eppure eccomi qua. Gli dei mi hanno guidato lungo strade tortuose per giungere, alla fine, fra le braccia di tua madre. Mi hanno anche regalato te quando meno me lo aspettavo. Ora, io so che questo è il mio posto. Figlia mia, noi non decidiamo niente. È il fato che ci guida. Tu devi vivere la vita per la quale sei stata destinata. Tu sei nata Regina, hai un destino di gloria e di onore che ti aspetta. Il tuo vero padre ha promesso di tornare, appartieni a lui e appartieni alla dea. - Fece una breve pausa e, non convinto dall'espressione ostile della fanciulla, riprese - Dimmi, piccola mia: le altre ragazze giù al villaggio fanno ciò che fai tu?»

«Ma che c'entra, Ta'? Quelle sono delle bambinette, buone a nulla.»

«E con ciò? Tu non sei una pastorella come loro. Qualcuna corre quanto te? Anzi, c'è qualche ragazzo, anche più grande di te, che riesce a batterti? Mi sembra di no, dico bene? Non ti obbediscono forse tutti? - si interruppe un momento per fissare Camilla negli occhi.- E tu, questo lo chiameresti normale? Ti rendi conto? Tu non hai fatto niente per essere così, ma lo sei, e ti piace. Hai mai visto una fanciulla della tua età costruire delle lance o un buon arco?»

«Ma va’, Tà, non lo sanno nemmeno impugnare.» Disse Camilla, ridendo di cuore.

«Lo vedi, figlia? Nel tuo cuore tu hai già le risposte. Vuoi rinunciare a tutto questo e metterti a conciare le pelli o a lavare tuniche e stracci al fiume tutti i giorni, come fa Xeni? A spezzarti la schiena raccogliendo erba selvatica? Il tuo vero padre può garantirti un altro destino. È un vero guerriero, ti insegnerà a cavalcare e a tirare con l'arco e con la spada. Ascoltami, ti prego: seguilo. Poi, in fin dei conti, il tuo regno non è lontano: ci verrai a trovare, e noi verremo a trovare te.» concluse Antonius, soddisfatto delle argomentazioni addotte.

« Davvero potrò andare a cavallo?» chiese entusiasta Camilla.

«Ma certo, anzi, ne avrai uno tutto per te, bello, bianco e con una lunghissima criniera.»

L'idea del cavallo piacque moltissimo a Camilla, che prese a sognare ad occhi aperti.

Antonius, comprendendo il momento favorevole, cambiò discorso, contento di quella prima vittoria. Decise di non insistere oltre, nell'attesa che la figlia si abituasse all'idea di seguire un giorno il suo vero padre.

Aveva affrontato l'argomento con la morte nel cuore, mascherando la propria tristezza. Sentiva ormai avvicinarsi il momento del distacco e non voleva che quel giorno cogliesse Camilla impreparata, facendola soffrire più di quanto fosse inevitabile.

Il Sacro fuoco della Regina II edizioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora