Salii le scale piuttosto di fretta. Non proferivo parola da quando ero uscito dalla stazione di polizia. Entrai in casa togliendomi giacca e sciarpa e sentii Watson che chiudeva la porta. Dopo alcuni istanti di silenzio, mi parlò.
"Sherlock..."
"TRENTA MORTI!" Scoppiai. "TRENTA MORTI WATSON! HAI PRESENTE QUANTI SONO?! SONO TRENTA PERSONE INNOCENTI CHE HANNO PERSO LA VITA."
"Lo so, ero con te quando..."
"QUANDO NON HO POTUTO FARE NULLA PER SALVARLI, JOHN?!"
Ero fuori di me. Camminavo avanti e indietro per il salotto. Con la coda dell'occhio vedevo Watson che cercava di calmarmi. L'aveva sempre fatto. E quel dottore riusciva sempre a farmi tornare la ragione.
"Sherlock ti prego...." Sussurrò, avvicinandosi di un passo.
"NON POSSO RISOLVERE QUESTO CASO! NON DA SOLO!"
Le parole mi uscivano dalla bocca senza poterle fermare, come una cascata che porta i rami e le foglie cadute sulla sua acqua in fondo con lei. Le mie mani stavano cercando di arrivare al cranio.
"Sherlock tu non sei solo..." Disse John, serio. Ma io non riuscivo a sentirlo.
"NON CE LA FACCIO JOHN! NON POSSO DA SOL-"
"TU NON SEI SOLO!" La sua voce, squillante, mi interruppe. Rimasi a bocca aperta. Lui si avvicinò, a passo sicuro, e mi prese la testa tra le mani. Erano calde, nonostante fuori avesse nevicato.
"Tu-non-sei-solo!" Ripeté, scandendo bene ogni parola e avvicinandosi al mio volto.
"Ci sono io con te. Ci sono ora, e ci sarò sempre." Concluse.
Eravamo lì, a respirare la stessa aria, l'uno il respiro dell'altro. Io stavo perdendomi nei suoi occhi, verdi, come un prato dell'Irlanda dopo un temporale. Mi avevano dato sempre conforto. Mi avvicinai d'istinto un pochino di più, forse troppo. Le mie labbra sfiorarono le sue con un tocco delicato, dolce, improvviso. Mi allontanai da lui, stupito da me stesso. Lui era più scosso di me. Non riuscivo a guardarlo negli occhi: c'era dubbio e shock in quelle sfere verdi che tanto adoravo. Faceva male veder tentennare la persona che ti è sempre stata accanto. Cosa diavolo avevo appena fatto?! Non aveva...senso! Ricominciai a camminare avanti e indietro, con le mani che grattavano nervosamente la mia nuca e un angolo del labbro inferiore intrappolato tra i miei denti. John mi guardava, ma i suoi occhi erano persi nel vuoto. Quanto avrei voluto tornare indietro, solo per non causargli quei problemi che stavano affliggendo la sua mente...e la mia.
Riuscii a vedere Watson che tirava fuori dalla tasca del suo giaccone una moneta, tirandola poi in alto. La fermò sulla sua mano che chiuse, senza guardare il risultato. Abbasso le palpebre e non fece più nulla. Io, che mi ero fermato per vedere ogni suo movimento, l'osservai sconcertato.
Chissà a cosa stava pensando. Perché aveva tirato la moneta? Probabilmente per scegliere tra la possibilità di uscire dalla porta senza dire nulla o di rivolgermi la parola. Ma allora perché non aveva visto il risultato? Visto che ti sei dato ai giochini sciocchi, tanto vale scoprire cosa il "fato" ti ha suggerito o, in molti casi, obbligato. Apri quella dannata mano, Watson! Fa qualcosa!
Nulla. Sta ancora lì, immobile, come se fosse morto.
Un'immagine di John esanime nelle mie braccia arrivata al mio subconscio non aiutò la situazione, così mi avviai verso la cucina per bere, ma qualcosa mi fermò. John mi aveva afferrato un braccio. Mi tirò a se e mi baciò con foga. Mentre ci baciavamo, mi spinse verso la scrivania che afferrò dietro di me. Una mia mano gli accarezzava la guancia, mentre l'altra giocava con i suoi capelli.
Era una sensazione bellissima: il suo odore nelle narici, il suo sapore in bocca... Lui si stringeva a me come se avesse paura di perdermi. Le nostre lingue esploravano l'una la bocca dell'altro. Si assaggiavano, si gustavano, senza mai averne abbastanza. Lo spinsi, finché non cadde sul divano, dall'altra parte della stanza. Mi sedetti adagio sulle sue gambe, senza staccarmi dalle sue labbra. E come potevo? Era una voglia così morbosa, innaturale, che si stava soddisfacendo.
Avevo la schiena incurvata. Parecchio.
La nostra differenza di altezza era sempre stata motivo di scherni che andavano puntualmente a colpire Watson. Io l'adoravo invece.
Un brivido mi percorse quando John mi tolse la camicia dai pantaloni e iniziò ad esplorare la mia schiena, centimetro per centimetro.
Nella mia mente ormai non c'era più nulla: nessun ispettore Lestrade, nessun incidente, nessun morto, nessuna signora Hudson che sarebbe potuta entrare in qualsiasi momento. Nulla del genere. L'unica cosa che riuscivo a realizzare era il divano, Watson, John che cercava di spogliarmi. Tutto qui.
Gli tolsi il maglioncino e la camicia che indossava sotto e lui fece lo stesso. Raddrizzai la schiena in modo tale che i nostri petti nudi si toccassero.
Mi sembrava tutto così irreale... Come ci eravamo finiti li? Da cosa era iniziato? Non riuscivo a pensare ad una risposta. Non riuscivo a pensare proprio a nulla.
La verità era che non mi importava. In quel momento capii una cosa: non volevo perdere John. Era l'unica persona che ammirassi e a cui tenessi veramente. Era diventato troppo importante per me per poter continuare una vita normale senza di lui. Ancora però, non riuscivo a capire che sentimento fosse. Ammirazione? No, c'era anche dell'affetto. Che fosse.... Amore?La mattina dopo mi svegliai piuttosto presto. Erano le 7:30 e stavo morendo di fame. La sera prima avevo saltato la cena per...ovvi motivi. Mi girai nel letto e vidi John che ancora dormiva beato. Aveva il collo segnato da chiazze rosse e i capelli scompigliati. Sorrisi, cercando di sistemarglieli un po'. Mi alzai e sistemai la coperta in modo che mi coprisse buona parte del corpo ma John si svegliò.
"Sherlock...la coperta..." Riuscì a biascicare, ancora per metà nel mondo dei sogni.
"John mi serve! Non posso girare per casa nudo!" Gli risposi.
"Non sei l'unico nudo!" Ribatté John. Risi di gusto, rimettendomi a letto. Era straordinario come tutte le volte che ridessi fossero grazie a Watson.
Gli lasciai un bacio sulle labbra.
"Che vuole fare dottore? Si alza o le devo portare la colazione a letto?" Dissi scherzando. Lui mi sorrise.
"La seconda opzione mi ispira un sacco, sapete?"
"Dovrei avere la coperta però!" E gliela tolsi completamente.
"Holmes! Maledizione, fa freddo!" Esclamò riprendendosi il pezzo di stoffa. Contrariato dal quel risveglio un po' brusco, si girò dandomi le spalle. Io lo abbracciai, appoggiando il mio volto sul suo collo e inspirando il suo odore.
"Hai un buonissimo profumo, lo sai?" Gli sussurrai.
"Sherlock..." Mi disse, un po' serio.
"Dimmi" risposi, con dell'angoscia dentro.
Esitò.
"Ricapiterà ancora?" Mi chiese. Rimasi stupito e sconcertato: dal suo tono, sembrava non avesse apprezzato.
"Dipende...hai ancora intenzione di bloccarmi prima che io vada a bere?" Gli risposi sorridendo. Dentro di me speravo che avesse intenzione di farlo ancora, ancora e ancora.
Lui ci pensò e in quegli attimi ero in preda al panico. Il mio battito cardiaco era accelerato. Ecco, in quel momento sarei potuto morire d'infarto. John mi sorrise e mi baciò.
"Si, ho intenzione di farlo ancora." Ricambiai il sorriso.
"Magnifico..." Sussurrai, prima di baciarlo ancora.Si.
Lo amavo.
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You're not alone | Johnlock
FanfictionOne shot Johnlock "È una sera innevata d'inverno. Alla centrale di polizia Sherlock Holmes, in compagnia del suo fidato compagno John Watson, viene a conoscenza di un incidente che ha causato parecchi morti. L'ispettore si sente terribilmente in col...