Ore: 8:35«Signorina Rolsveet, mi faccia la cortesia di sedere composta.»
Elyenne sapeva che la Rolsveet non era altro che l'ennesima oca nuova della scuola, perciò poco si interessò al richiamo del vecchio professore di storia e continuò a giocare con la matita, picchiettando più volte la punta contro il legno duro del suo banco: a nessuno diede fastidio quel rumore.
Il professore spiegava incessantemente un capitolo che Elyenne aveva già studiato, ma che quei polli della classe non avevano capito. Sbuffò irata.
La matita continuava a picchiettare, e qualcuno cominciava a muoversi nervosamente a causa del rumore costante e fastidioso.
Ghignò mentalmente, soddisfatta.
«Rolsveet, santo cielo! Si svegli!»
Sbuffò esasperato l'insegnante e facendo ridere tutta la classe, eccetto Elyenne.
Elyenne provava una certa compassione per quel pover uomo.
Insomma, non era capace di far capire agli alunni le sue lezioni, e gli argomenti spiegati da lui, erano più facili se detti in turco. Inoltre per sua disgrazia, aveva un accento calante, come un'adolescente apatico che fa' fatica anche a rispondere.
"E per non parlare del suo naso, è così...piccolo."
Scrollò il capo e ridacchiò, il volto nascosto da un ciuffo castano.
La matita picchiettava, ancora.Ore: 10:22
Le due ore di storia erano finite, e l'unica cosa che Elyenne trasse da quella lezione, fu che la signorina Rolsveet, che in seguito scoprì si chiamasse Julie, era crollata nel mondo dei sogni alla fine della prima ora di lezione e che nemmeno i richiami e le urla esasperate del professore riuscirono a svegliarla.
La stima che Elyenne serbava nei suoi confronti cominciava a nascere.
In classe evitavano Elyenne come la peste, e lei non poteva esserne più che felice; dopotutto, le piaceva stare sola con la sua vocina interiore.
La matita continuava a picchiettare.
Puntò il suo sguardo fisso nel vuoto, il picchiettio della matita l'aveva fatta entrare in una sorta di trance pacato; tant'è che non si accorse della lezione di geometria, cominciata da un quarto d'ora scarso.
Quando si ridestò, notò lo sguardo della professoressa scrutarla indispettita. Elyenne le lanciò uno sguardo carico di rammarico, annuendo. Facendole capire che sarebbe stata attenta: inutile dire che la professoressa poco ci credette.
Strinse la matita nella mano e presto cominciò a sentire le lunghe unghie nere perforare il palmo con lentezza. Digrignò i denti, non ci capiva assolutamente niente.
Odiava la geometria e chiunque l'avesse inventata. Controllò l'orologio, ancora un'ora e mezza e poi sarebbe potuta andare a pranzo.
Poggiò la fronte sul legno freddo e venne scossa da un brivido lungo la schiena. Aveva freddo. Lei era fredda.
Chiuse gli occhi e la sua vocina interiore cominciò a canticchiare una strofa che ricordava:I spoke to the devil today, and he swears he's not to blame.
And I understood cuz i feel the same.
La matita picchiettava e la campanella suonava.
Ore: 12:35
Nonostante si trattasse del quarto giorno di scuola, l'istituto era popolato solamente da quattro gatti e ciò non le dispiacque affatto, piuttosto, sperò che continuasse ad essere così anche per il prossimo anno.
La gente la infastidiva: era allegra, gioviale sempre senza pensieri e delle volte...stupida, sì.
Le dava fastidio quando la fissavano, quando le parlavano male dietro.
Le dava fastidio il fatto che nonostante tutto quel caos di gente in quell'istituto, lei fosse sola come un cane.
"O peggio." Rispose la vocina nella sua testa. Elyenne le avrebbe trovato un nome, un giorno o l'altro.
Elyenne era più sola di un cane, e sorrise fra se, guadagnandosi diverse occhiatacce confuse.
Non sorrise perché era pazza.
Sorrise perché lei sapeva bastarsi, da sola.
E questo la fece sentire unica, lei, Elyenne Roth, si sentiva amata da se stessa e dalla vocina.
Arrivò in mensa ed estrasse dal suo zaino nero e scolorito, tempestato di toppe e di spille, un sacchetto contenente un sandwich preparato da sua madre. Aveva una fame da lupi, e quando stette per dare un morso al panino, eccola lì, puntuale come un orologio: Kathleen Scott, la tipica ragazza viziata. Bastava questo per descriverla, sembrava quasi perfetta ma a detta di Elyenna la perfezione non esiste, e Kathleen stessa ne dava la dimostrazione.
Quest'ultima si tirò indietro i capelli biondo platino con un gesto repentino e altezzoso, per poi lucidarsi una delle sue unghie smaltate di un qualche colore di tendenza.
Elyenne la guardò impassibile, mentre quella, assieme ai quarterback la schernivano chiamandola 'tricheco' oppure 'elefante marino'. O solo gli dèi sapevano che altro.
Alzò gli occhi al cielo, mordendosi l'interno guancia e trattenendosi astiosamente nel rivoltarsi a quelle parole.
Guardò il panino per un secondo. Insalata, pomodoro, tonno e molti altri ingredienti e sostanze vi erano state ammucchiate all'interno in modo disordinato: per sua madre non c'era tempo per pensare a lei, suo fratello più piccolo era la priorità della famiglia.
"Elyenne non ascoltarli, mangia e fregatene, staremo ben-Cosa stai facendo? Dannazione Elyenne, fermati! Non puoi darg-" Ma Elyenne si era già alzata ed aveva lanciato il panino nel cestino. Non avrebbe mangiato quello schifo e di certo non le avrebbe fatto male perdere qualche chilo.
Glielo ripetevano tutti da parecchio tempo, ormai.
"Elyenne, asc-"
Elyenne non voleva ascoltare la sua vocina in quel momento. Chiuse tutte le sue barriere mentali e pensò alla foresta, al fiume dove andava quando si sentiva sola. Alla neve fredda e agli animali che se ne stavano senza problemi nella loro breve e spensierata vita.
Strinse la spallina dello zaino e si avviò verso l'uscita della scuola. Vide Julie Rolsveet accerchiata da alcuni ragazzi che la stavano letteralmente mangiando con gli occhi, sapeva fin da subito che era quel genere di ragazza.
"Certo, con una magliettina del genere, anche mia nonna avrebbe attirato l'attenzione di quella massa ormonale impazzita. Non farti abbattere da simili sciocchezze, Elyenne. Sai che ci sono cose più importanti a cui pensare."
Sproloquiò la sua vocina, facendola ragionare. Sorrise mentalmente dandole ragione.
Si mordicchiò nervosamente un labbro e lentamente si avviò verso casa sua. Distava un paio di chilomentri più a sud della scuola, ma camminare non le gravava e malgrado l'aria un po' pungente sul volto, era piacevole.
Camminava ormai da un quarto d'ora e stava consultando la sua vocina per sapere cosa ne pensasse dei nomi che poteva darle. Inutile dire che era testarda, e cestinò ogni singola proposta di Elyenne, che sbuffò stizzita.
'Che ne dici di...Yetha?' Propose speranzosa Elyenne.
'Che razza di nome è? Quello per un cane o magari per un criceto?'
Avvilita, Elyenne si ritirò nei meandri della sua mente per pensare.
'Ci sono! Ti chiamerai...' cominciò la castana ridacchiando.
'Cosa? Come?' Rispose impaziente l'altra.
Elyenne tacque, le piaceva far crepare di ansia la sua vocina. Si morse il labbro e ridacchiò scuotendo appena la testa. Stava impazzendo, ne era sicura. Insomma, un nome al suo ego? Neanche nei manicomi.
'Ti chiamerai...'
'Oh insomma, come?!'Continuò quella ormai al limite della suspense.
'Akishe!' Rispose soddisfatta per quel nome, insomma, le si addiceva.
La vocina, ora battezzata come Akishe adorò quel nome. Ed Elyenne dovette chiudere le barriere mentali pur di non sentirla ripeterlo come un mantra.
Ora sola, si ritrovò davanti alla porta di casa, suonò il campanello ed attese che la porta venisse aperta, ma questa non lo fece.Ore: 15:34
Nessuno si era fatto vivo fino a quell'ora.
Aveva rinunciato con il suonare al campanello, dal momento che alla porta non vi aveva aperto nessuno nonostante i continui tentativi.
Fissò con gli occhi ridotti a due fessure, la strada deserta che si affacciava sulla sua casa. Quante macchine vi erano passate sopra? Quante persone avevano percorso quella strada?
Si strinse maggiormente nel suo giacchetto nero sgualcito, cercando in tutti i disperati modi di far penetrare il minor freddo possibile, con scarsi risultati. Sentiva il freddo arrivargli fin dentro le ossa e non dovette attendere ancora molto affinché i denti cominciassero a battere.
Dove erano andati tutti?
Quella non era la prima volta che si trovava in una situazione simile. Sua madre usciva, e a lei non diceva nulla. Dopotutto, a lei cosa importava di Elyenne? Se c'era o non c'era, non faceva la differenza.
Sospirò affranta. Possibile che a Settembre facesse tutto quel freddo? Maledetto Canada.
Sentii un rumore e si voltò di scatto, con gli occhi ora più aperti.
La boscaglia dietro casa sua era fitta, quindi sapeva che aguzzare la vista avrebbe dato scarsi risultati.
Si alzò facendo passi cauti e calcolati, avvicinandosi sempre di più al cespuglio. Qualcosa vi si dimenava dentro.
Scostò lentamente i rami e nessuna sorpresa.
Due occhi la scrutarono curiosamente ed ingenuamente allo stesso tempo, il piccolo muso puntato verso il suo viso.
Uno stupido cerbiatto, niente di più e niente di meno.
Gli snodò i rami dalla piccola ed esile zampa per poi chiudere il cespuglio, lasciando il cerbiatto a fare il suo corso.
Ogni settimana ne era uno.
Delle volte, quando c'era suo padre a casa, questo prendeva il fucile, lo caricava in spalle e...SPAM! Un nuovo tappeto per la camera e carne di cerbiatto per cena.
Ma ora suo padre era interessato alle 'cerbiatte' e nonostante le speranze che quella povera illusa di sua madre nutriva, Elyenne sapeva che non sarebbe tornato mai più a casa.
Sospirò ancora affranta e si passò una mano fra i capelli, scostandoli dal volto e grugnendo leggermente.
Quella vita cominciava a pesarle sul cuore ma era in quei momenti che le pesava veramente troppo la consapevolezza di essere sola.Ore: 16:13
Vide sua madre parcheggiare nel viale di casa.
La notò sistemarsi un po' i capelli per poi avvolgersi maggiormente con la sciarpa ed uscire dal veicolo.
Sua madre aveva perso molti chili, era una donna davvero molto bella, al contrario di lei che, beh, era un mostro. Appunto per questo, tutti si complimentavano con sua madre per quanto bello fosse suo fratello, e non si sarebbe neanche finta sorpresa se qualcuno non sapeva della sua esistenza. Sua madre non aveva mai fatto nulla per elogiarla in qualcosa, si limitava solamente a ripetere quanto fosse un disastro. Ma andava tutto bene.
La guardò con gli occhi ridotti a due fessure e non appena se la ritrovò davanti non disse una sola parola.
Non aveva voglia di parlarle da ormai un anno.
Una volta che la porta della casa fu aperta, Elyenne vi si precipitò dentro come se sotto i piedi avesse dei carboni ardenti.
Si chiuse in camera sua, sbattendo la candida porta con una forza tale che essa stessa chiuse un occhio ed arricciò un po' il naso per il forte rumore.
Si buttò a peso morto sul letto, cliccò sulla riproduzione casuale della sua playlist preferita e subito sorrise alle note che le invasero la testa ed il cuore:Angie, Angie when will those dark clouds disappear?
Angie, Angie where will lead us from here?Si addormentò quasi istantaneamente.
I sogni erano pacati.N.A
Heilà! Comincio con il dire che questa è la mia primissima storia su Wattpad, e spero davvero che vi piaccia. Pubblicherò al massimo due capitoli al giorno, perché il tempo a mia disposizione è limitato.
Mi raccomando, se vi piace lasciate un commento!
Vi lascio alla lettura del prossimo capitolo!💙
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I FOUND MYSELF
FantasyElyenne è una diciassettenne dai pensieri cupi e complicati. L'odio che serba nei confronti della sua famiglia è reciproco, e si ritrova senza amici con cui sfogarsi. Ben presto però scopre di non essere poi così sola come pensava, perché accanto a...