15.Tutto dentro

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Il mio carattere. Un carattere difficile. Un carattere complicato da capire, irascibile, decisamente troppo confusionario. Lo stesso carattere che mi portò a non dire nulla per un anno. I mesi passavano così, ogni volta che lo vedevo sentivo un brivido percorrermi il petto e colpire il cuore come una freccia che silenziosa taglia l'aria.
Io e Fabio non ci salutavamo più. Io avevo smesso di salutare lui, e lui aveva smesso di salutare me. I nostri guardi si scambiavano sempre fugaci, veloci. Il mio imbarazzo evidente mi faceva arrossare le guance, e invece di provare a riallacciare un'amicizia con lui, parlargli, fammi coraggio a chiedergli come andava, come trovava le medie, come procedeva il calcio, io di fronte a questo ragazzo che un tempo avevo creduto di odiare, scappavo. Lo osservavo come si osservano i tramonti. In silenzio e da lontano, senza pretesa. Lo guardavo mentre lui era di profilo, mentre era girato, mentre rideva. Io lo fissavo. Ma appena lui si accorgeva della mia presenza, il mio sguardo si scostava verso il muro, verso il pavimento, della serie "che belle queste piastrelle che ha sto pavimento, chissà come le hanno costruite".
Continuavo a illudere me stessa dicendo che era solo una cotta, che tutto sarebbe passato, tutto sarebbe finito. Ebbene, non è finito per niente.

Comunque, che ci crediate o no, iniziai la terza media che nessuno (a parte me) sapeva che cosa provavo io per Fabio. La mia estate l'avevo trascorsa spensierata, ma in realtà non vi era stato giorno in cui non avevo dedicato a lui almeno mezz'ora prima di dormire per pensarlo, per ricordarlo, per riportare alla mente i momenti in cui era lui a cercarmi quando eravamo amici. Non si può neanche immaginare quante volte avevo pensato a cosa fare e ogni volta mi convincevo che non dovevo né volevo assolutamente dirgli che...oh, mi ero innamorata di lui.

Il primo giorno di scuola entrai in classe, che questa volta era stata piazzata al piano terra. All'interno dell'aula io e i miei compagni trovammo la nuova professoressa di matematica che dapprima sembrava severa, ma in seguito si rivelò molto gentile e disponibile verso di noi.
Trovai Simona fuori dalla porta dell'aula. Le corsi incontro.

Io:"Heii"
Simona:"Ciauuu!" La sua voce così acuta mi attraversò i timpani e non immaginate la voglia che avevo di abbracciarla dopo tre mesi passati senza vederci. Le sue braccia mi cinsero e io la strinsi fortissimo a me. Volevo dirle tutto, volevo sfogarmi, chiederle un consiglio su cosa fare con questa cosa. Ne avevo un casino bisogno. Ai miei genitori non lo volevo dire, perché temevo che avrebbero sminuito il problema che io mi sentivo pesare sul dorso, e poi mi vergognavo ad esprimere questo mio stato d'animo alle mie amiche, perché pensavo mi avessero potuto prendere in giro. Non mi era più capitato di "amare qualcuno" dai tempi dell'asilo. Per cui, Ambra che si innamora? Domani vedremo gli unicorni.
Simona:"Allora, come stai?" Poi, con il suo solito tono di sarcasmo:
S:"Scusa, mi stai soffocando ahahah"
Io:"Ah...mi dispiace" e lentamente liberai la mia amica da quella morsa a tenaglia delle mie braccia.
Lei rise e insieme ci piazzammo in un banco che era esattamente attaccato alla finestra e al termosifone contemporaneamente.
La nuova professoressa ci riferì come lei avrebbe alternato le verifiche alle interrogazioni, su cosa si basava il test d'ingresso di matematica e poi dopo mezz'ora iniziò subito a rivedere le figure piane in vista del test.

Facendosi attendere anche troppo, la campanella dell'intervallo finalmente suonò. Così mi alzai dal banco con gli occhi fissi nei pensieri e immobile. Senza guardare Simona che era in piedi di fianco a me, le presi di scatto un polso. La tirai verso di me con forza, sempre immobile. Sono sempre stata di poche parole e molto istintiva.
Simona:"Cosa c'è?"
Esitai qualche secondo, poi, con il tono basso come quello che usano i personaggi di un film, le dissi:
Io:"Ti devo parlare".
Lei mi guardò e capì al volo. Annuì e mi suggerì di andare a parlarne nel nostro solito posto vicino al bagno, e di fare in fretta in modo che la nostra compagna Francesca non sentisse. Non solo perché non mi fidavo di lei, ma perché per ora preferivo che lo sapesse il minor numero di persone possibili.

Ci avviammo verso il bagno e ci facemmo strada tra tutta la gente che si trovava in corridoio in quel momento, controllando che Francesca non ci seguisse. Ci fermammo vicino al muro.

Simona:"Dai spara".
Io:"Sai già che cosa ti voglio dire?"
S:"Forse sì. Vuoi dirmi chi ti piace?"
A quella domanda rimasi a dir poco di stucco. La bocca semiaperta era simbolo che ero rimasta stupita da come avesse fatto a capire tutto.
Dopo l'iniziale sorpresa però, mi ripresi, lanciai un'occhiata di circospezione in giro assicurandomi che nessuno di nostra conoscenza avesse potuto sentire, e infine avvicinai la faccia al suo orecchio. Le bisbigliai piano:
Io:"Non dirlo a nessuno, me lo devi promettere. Comunque non so se lo conosci, si chiama...Fabio".
S:"Fabio?" Esclamò ad alta voce con fare ingenuo. Appena pronunciò quel nome le tappai la bocca con una mano. Lei rise per il gesto che avevo fatto, ma io ero seria.
Io:"Vuoi un altoparlante?!"
Simona si levò la mia mano dal viso e stringendola da amica mi rassicurò:
S:"Stai tranquilla non lo dirò a nessuno. Però me lo puoi fare vedere quando passa?"
Io:"Certo. Ma guai a te se mi fai gesti strani quando arriva e specialmente non indicarlo. Intese?"
S:"Va bene. Ora respira, chissà cosa avrai mai detto, sembra che hai fatto uno sforzo immane per dire una cosa normalissima".

Era vero. Per comunicarle questa "incredibile notizia" ero diventata tutta rossa. Sul serio. Avevo le guance che scottavano e gli occhi pieni di paura fissi per terra come al solito.

Io:"È che...io mi vergogno a dire certe cose...ehi ma quello...oddio!!" La situazione precipitò all'improvviso quando vidi Fabio con alcuni suoi compagni di classe che uscivano dalla palestra che si trovava di fronte alla mia classe, al piano terra, e che ora stava venendo verso di noi probabilmente per salire le scale a cui io e Simona eravamo praticamente attaccate. Simona mi guardava allibita mentre io le dicevo di andare via ma lei restava lì, e allora io cercavo di nascondermi tra la gente che c'era nel corridoio. Lui passò e salì le scale, mi vide e per un attimo mi rivolse uno sguardo mentre io fingevo di ignorarlo per evitare certe figure.
Appena se ne fu andato, alzai imbarazzata la testa e squadrai la mia amica con aria implorante.
Io:"Ti prego torniamo in classe".
Simona:"Era lui, vero? Quello alto e castano chiaro di capelli".
Io:"Sisi bene ora andiamo via". Conclusi con fare sbrigativo.
S:"Bene allora ho indovinato! Ahaha"

S:"Bene allora ho indovinato! Ahaha"

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