Capitolo 2

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"Guarda che a me puoi dirlo, sono o no tua amica?".

Alzai gli occhi al cielo: "Ti sto dicendo la verità, sono andata a sbattere contro un palo. Non mi ha picchiata nessuno".

"Va bene ma come si fa a prendere in pieno un palo?".

Evitai di rispiegarle da capo il mio incidente con il cane di mia nonna e mi convinsi ancora di più che avrei dovuto coprire l'ematoma con più fard. Avevo messo dell'acqua fresca sopra invece che del ghiaccio, ma ormai era troppo tardi per ripensamenti.

Facevo la strada per andare a scuola con la mia amica Anna, mi era venuto piuttosto naturale dal momento che casa sua non era lontana e in ogni caso sarei dovuta passare da lì. Si faceva trovare all'angolo tra la sua via e il corso dove prendevamo il pullman che tre giorni su cinque arrivava in un eroico ritardo. Era un dato di fatto, ma non importava quante volte lo provassi paragonando l'ora di arrivo che risultava sul sito dei trasporti a quella alla quale si era mostrato il mezzo perché il rimprovero mi toccava sempre subirlo. Era bastata una volta che mi presentassi dieci minuti più tardi che tutte le mattine di conseguenza era colpa mia se arrivavamo in classe al suono della campanella o poco dopo. Le sue lamentale però duravano relativamente poco perché erano intervallate da commenti su quanto fosse stanca così, scese dal pullman, quella consapevolezza aveva la meglio tirando fuori il discorso sulla voglia di ritornare indietro. Almeno, io lo chiamavo così perché era quello che pensavo costantemente mentre lei iniziava a parlare di argomenti riguardanti le ore di scuola che ci attendevano, oppure calava il silenzio dal momento che erano previste verifiche o interrogazioni. In quel caso Anna era il tipo di persona che ripassava la mattina prima, durante e dopo colazione e mentre mi aspettava per strada. Faceva una pausa da quando mi incontrava fin dopo il mezzo, giusto per avere il tempo di sgridarmi, dopo di ché riprendeva la sua concentrazione sull'argomento di studio. Non volevo immaginare come sarebbe stato traumatico per me fare lo stesso e nemmeno ci provavo, continuando a fare come ero solita, quindi ascoltare in classe, rileggere il giorno prima e ascoltare il monologo della mia compagna che ripeteva a memoria la lezione nel tratto dalla fermata del bus a scuola. Per fortuna quella mattina non avevamo alcun tipo di compito in classe, avremmo addirittura fatto solo tre ore per via di un professore mancante, quindi, avendo più tempo a disposizione, eravamo piuttosto puntuali e Anna era così tranquilla da non nominare la scuola nemmeno una volta.

"Avresti dovuto vedere il regalo di mia nonna" sorrisi e lei ricambiò, divertita.

"Un regalo imbarazzante?".

Non ci fu bisogno di rispondere perché la risata che ne venne fuori bastò a far intendere.

In classe diedi il mio "Buongiorno" generale ricambiato non troppo energicamente da qualcuno, notando che, anche se fossero le dieci inoltrate, la vitalità dei miei compagni era la stessa che risultava con entrata ad orario standard. Gli zaini venivano utilizzati da circa un terzo come cuscino o solamente come barriera tra loro e il mondo esterno, ma ciò non voleva dire fossero i soli a sonnecchiare perché era incluso anche chi appoggiava la testa sulle braccia conserte o teneva lo sguardo fisso sul vuoto. Alcuni si sforzavano a chiacchierare in modo credibile, facendo finta di essere svegli, e poi c'era chi, come la mia compagna Gaia sembrava così attivo da farmi chiedere come facesse a reggere quel dinamismo tutte le mattine. Io non mi schieravo dalla parte di nessuna categoria in particolare, semplicemente, a seconda del mio risveglio decidevo se fingermi morta o dare qualche segno della mia presenza.

Appoggiai lo zaino sul banco e, andando a sedermi, infilai la mano sotto il colletto del mio vicino che sussultò al contatto, esclamando un "Oouh, ma dai!" abbastanza infastidito. Notò chi lo aveva disturbato e con uno sbuffo riaffondò la testa sulla felpa raggomitolata tra le braccia: "Hai sempre le mani ghiacciate" protestò con parole attutite dal cotone dell'indumento.

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