È una sera come un'altra, l'autunno sta arrivando ed inizi ad essere confuso tanto quanto il tempo fuori.
Un minuto piove, quello dopo splende il sole e, mai come quest'anno mi sento esattamente come l'autunno: sempre più spoglio, tutto muore lentamente.
Sono l'autunno da quando lei se n'è andata.
Sono seduto su questo sgabello da ore ormai, i bicchieri che sono passati tra le mie mani sembrano essere stati infiniti.
Nella sala di questo hotel si possono vedere le persone più disparate: la snob ingioiellata come un albero di Natale, il vecchio decrepito con la ragazza ventenne che potrebbe giocare a bambole con la nipote di lui, uomini di affari che dopo una giornata pesante si buttano sui divani damascati sperando che possano essere inghiottiti per non dover più pensare ai soldi persi in qualche investimento sbagliato.
Poi ci sono io, che bevo per dimenticare il solito amore perduto, finito con una stupida frase ad effetto.
"Ti auguro il meglio", mi disse, ma quel meglio senza di lei non è mai arrivato, o forse l'ho sempre chiuso dietro a qualsiasi porta che mi si sia aperta davanti.
Avrei voluto prenderla per le spalle quel giorno, e pregarla di restare, ma non potevo.
Doveva spiegare le ali e pensare a se stessa, al suo futuro, quel posto per il quale ha lottato tanto.
Mi capita spesso di passare davanti alla vetrina della libreria in centro e vedere il suo sorriso stampato su un cartonato piazzato accanto a torri costruite con delle copie del suo ultimo libro.
È sempre stata brava con le parole, sapeva farmi un discorso e rivoltarmi come un calzino, se ne aveva voglia e, forse il problema è stato proprio questo: era così innamorata delle parole da non concentrarsi sulle azioni.
Quante sere, dopo cena, cercavo qualsiasi tipo di contatto, ma lei doveva scrivere un capitolo troppo importante per essere rimandato.
Quel libro era fondamentale a suo dire, i capitoli dovevano essere scritti alla perfezione.
Avrei voluto almeno metà della sua dedizione per la scrittura, nella nostra storia, eppure non riuscivo proprio ad arrabbiarmi, così mi sdraiavo sul divano guardando programmi scadenti fino a tarda notte attendendo che lei spegnesse il pc, ma la maggior parte delle volte mi addormentavo prima.
Un giorno arrivò la chiamata tanto attesa, quel giornale per il quale aveva sempre sognato di lavorare, la voleva nella redazione.
Ricordo ancora i suoi grandi occhi illuminarsi come una vetrina nel periodo natalizio: si mise una mano davanti alla bocca, incredula ma senza mai perdere il controllo, come faceva esattamente per ogni cosa, sapeva sempre gestire tutto.
Ero contento per lei, ma dentro di me sapevo che sarebbe stato il punto di rottura.
Quel posto richiedeva il suo trasferimento dall'altra parte della città, ed io non potevo muovermi dalla casa nella quale vivevamo.
"Possiamo provare con una relazione a distanza" , cercò di convincermi.
Sapevo che non ci credeva nemmeno lei, ma apprezzavo il tentativo.
Dopo poche settimane dal suo trasferimento, decidemmo di interrompere la nostra storia.
Non so se "interrompere" sia la parola giusta, perché dentro di me non ho mai capito se abbiamo messo dei puntini di sospensione oppure un punto di chiusura.
La sentivo piangere dall'altro capo del telefono, e lo stesso facevo io senza però farmi sentire.
Per me i suoi sogni, la sua felicità e la sua vita, erano più importanti di tutto il resto e, anche se io non potevo fare parte di tutto questo, lei lo ha sempre meritato. L'amore è anche questo, no?
Ho avuto la tentazione di chiamarla più volte, ma ho sempre resistito.
Fino a questa sera.
Ho composto il suo numero utilizzando il telefono della mia camera d'albergo.
"Pronto?" Appena il mio timpano ha percepito la sua voce, ogni centimetro della mia pelle ha iniziato a tremare.
Non riuscivo ad emettere nessun suono.
"Pronto? C'è nessuno?" Le mie mani erano completamente sudate.
"Ehm, ciao, sono io. So che non dovrei chiamarti, che non erano queste le premesse" la mia voce si incaglia nelle mie paure "ma sono in città e ho pensato che mi piacerebbe vederti" dico tutto d'un fiato.
Dall'altra parte solo il silenzio.
"Va bene. Dove ti trovi?" chiede pacatamente.
"Al Plaza, riesci a raggiungermi?"
"Penso di sì. Prendo un taxi dopo la riunione, ci vediamo lì"
Nemmeno il tempo di rispondere e ha riattaccato. Anche ora, seduto al bancone del bar, ripenso a quella breve telefonata.
Ha capito chi ero senza nemmeno dirglielo, come se non avesse mai dimenticato la mia voce.
Il mio sguardo continua a rivolgersi nervosamente verso l'ingresso, fino a quando non la vedo arrivare.
Cammina elegantemente indossando un abito rosa che contrasta perfettamente con la sua pelle, i capelli raccolti in ordine le lasciano scoperto il viso.
Mi guarda e si avvicina con passo tranquillo.
"È libero?" chiede scherzosamente indicando lo sgabello accanto al mio.
Le rispondo a tono e lei si accomoda.
Il suo profumo mi inonda l'olfatto, sfondando ogni rancore possibile.
"Signorina, posso portarle qualcosa?" chiede il cameriere.
"Un Cosmopolitan, per favore"
Sorrido alla sua risposta, i suoi gusti non sono cambiati per niente: ricordo ancora le sbronze che si prendeva quando uscivamo, le volte in cui la portavo a casa in braccio mentre rideva ad alta voce sulle scale, svegliando l'intero vicinato.
"È troppo azzardato chiederti perché mi hai chiesto di vederci?" domanda.
"Volevo solo farti i complimenti di persona per il tuo ultimo lavoro" rispondo.
Il cameriere arriva e posa il bicchiere di fronte a lei, che beve subito.
Alza il sopracciglio mentre sorseggia il suo cocktail.
"Scommetto che non hai letto nemmeno una riga, dei miei libri" dice sorridendo consapevolmente.
"È vero" ridiamo "ma sai che sono contento per te" ammetto.
Mi ringrazia e continua a bere, mentre ordina già il secondo.
"Vacci piano, scrittrice" le dico.
"Dopo la riunione di questa sera dovrei berne almeno cinque per riprendermi. E comunque non cambiare discorso, ti ho fatto una domanda"
La odio quando è così curiosa.
"Avevo voglia di vederti, tutto qui" dico abbassando il tono di voce.
Sorride. "Sono passati quasi due anni, dall'ultima volta" cerca di contare sulle dita.
"Già. Troppi, non credi?"
Sospira, girando il bicchiere tra le mani curate.
"Ti manco?" chiede sfacciatamente voltandosi verso di me.
Prendo il bicchiere di rum di fronte a me e ne ingerisco di rigore il contenuto.
"Non ci siamo nemmeno lasciati vedendoci, ovvio che mi manchi qualcosa di te" rispondo.
Mi fissa.
"Se non ti fossi trasferita non sarebbe finita così, lo sai"continuo
"Hai chiesto un incontro solo per scaricarmi addosso le colpe?" chiede cambiando il tono di voce. Beve di nuovo.
"Assolutamente no, ne stavamo solo parlando"
Resta in silenzio un attimo.
"Sai, quando ho alzato la cornetta sapevo fossi tu, perché è quello che spero ogni volta che qualcuno mi chiama: che dall'altra parte ci sia tu. Lo spero ogni singola volta di ogni fottuto giorno. Quando qualcosa di questa nuova vita va male penso alla nostra storia, penso a quanto devo solo stringere i denti e aspettare che passi, perché ho sacrificato qualcosa di troppo grande ed importante per mollare."
Le prendo la mano e stringo forte, facendo intrecciare le nostre dita.
"Sì, mi manchi" inizio "Mi manchi da quando hai chiuso la porta del nostro appartamento per l'ultima volta. Ho passato notti intere pensando ad un modo per non sentire la tua mancanza, per poi capire che non esiste. Dovevo solo imparare a conviverci. Questa sera, quando hai risposto alla mia chiamata, volevo riattaccare. Mi bastava sentire la tua voce. Poi qualcosa è scattato inconsciamente, probabilmente nemmeno il mio istinto può fare a meno di te"
È tutto così assurdo, essere seduti qui dopo anni ad aprirci su cose del passato così grandi ed importanti.
"Siamo ancora troppo sobri per fare discorsi di questo genere, non trovi?"cerca di sdrammatizzare. Alzo le spalle, "Io sono abbastanza ubriaco per poter fare questo".
Mi avvicino lentamente a lei e la bacio delicatamente sul collo, sento la sua pelle diventare elettrica sotto la mia bocca.
Le mie labbra hanno fame, la mia lingua cerca risveglio nel sapore della sua pelle.
Fa un respiro profondo lasciandomi fare.
"E tu? sei troppo sobria per salire in camera?" sussurro nel suo orecchio.
Lei poggia la sua guancia contro la mia: "paghiamo questo fottuto conto e portami dove vuoi".
Sbatto la porta della stanza con un calcio, mentre con una mano le sciolgo i capelli e con l'altra le stringo il fianco.
Le sue dita aprono sapientemente i bottoni della mia camicia, che mi toglie in tempo zero.
La zip del suo vestito scende come se non aspettasse altro, permettendomi di vedere lo spettacolo che avevo in testa da mesi.
La sdraio sul letto con poca delicatezza, avventandomi sulla sua pelle.
Alcune cose non cambiano mai: lei risveglia in me le stesse cose di anni fa e farla mia riempie ogni centimetro della mia mente.
La luce del giorno entra dalla finestra perforandomi le pupille.
Allungo il braccio e lei non c'è.
Non mi aspettavo di trovarla, sono sincero.
Dopo una notte del genere, dove ci siamo quasi scambiati le anime, non poteva restare.
Un biglietto sul comodino attira la mia attenzione.
Lo prendo, mi stropiccio gli occhi e lo leggo:"Si torna sempre dove si è stati bene, prima o poi. Grazie della magnifica serata. Se non hai impegni per il prossimo weekend vorrei invitarti io...
Al mio matrimonio.
Per sempre tua."
STAI LEGGENDO
CLOSER // One shot
Short Story"Quando qualcosa di questa nuova vita va male penso alla nostra storia, penso a quanto devo solo stringere i denti e aspettare che passi, perché ho sacrificato qualcosa di troppo grande ed importante per mollare" Si torna sempre dove si è stati bene...