«Mi vergognerei a uscire di casa...»

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«Dolcezza, ho bisogno delle tue dita d'oro» disse Gabriel entrando nell'ufficio di Charlie.
«Dimmi tutto.»
«Devi farmi una stima del giro di affari che potrebbe avere uno studio podologo in questo paesino.» Le allungò un foglietto con scritto il nome del paese.
«Sono 2.014 persone» disse Charlie, dopo un paio di cliccate.
«Togli le famiglie con un reddito basso e poi i maschietti dai 25 e le ragazze dai 15 anni in giù.»
Le dita di Charlie volavano sulla tastiera. «Ci vorrà un po'.»
«Tanto non abbiamo alcuna fretta, non è vero pasticcino?» disse Gabriel, sedendosi in braccio a Sam e circondandogli il collo con le braccia.
«Guarda che c'è la sedia per i clienti» lo rimproverò Sam, passandogli, tuttavia, un braccio intorno alla vita.
«Ma io non sono un cliente» replicò immusonito, «e poi c'è la nostra Charlie a fare da chaperon
Sam sbuffò mentalmente: a quanto pareva, anche se coabitavano, a Gabriel non era per niente passata la fregola di saltargli addosso anche sul posto di lavoro. Per fortuna si stava limitando a giocherellare con i suoi capelli.
Sam avrebbe trovato oltremodo imbarazzante se avesse cominciato a baciarlo davanti a testimoni e se fosse entrato Raphael? «Magari potrei imparare come fa Charlie a...»
«Uff... te lo spiegherà un'altra volta!» lo interruppe Gabriel, continuando ad accarezzarlo.
Charlie li guardò divertita, poi tornò a smanettare furiosamente. «Ecco qui!» disse dopo un po'.
Gabriel si alzò a malincuore e andò alla scrivania della ragazza. «Bene, bene» disse esaminando lo schermo, «il potenziale giro di affari si è assottigliato e di molto... Quindi una battuta non può aver causato grossi danni... Me lo puoi stampare per favore?»
Mentre eseguiva l'ordine, Charlie chiese: «Ragazzi, vorrei ricordarvi che fra due settimane c'è il Gay Pride. Venite, vero?»
«È vero!» esclamò Gabriel, dandosi una manata in fronte. «Me n'ero totalmente dimenticato! Sammy, scommetto che per te sarà la prima volta.»
«A dire il vero, preferirei non venire...» Già sentiva nelle orecchie i commenti sprezzanti del padre.
«Ma non puoi!» disse Charlie. «Più gente viene e meglio riusciamo a far sentire le nostre ragioni.»
«Charlie ha ragione» rincarò Gabriel. «Se questo fosse un paese normale, non avremmo bisogno di ricordare agli altri che anche noi abbiamo dei diritti; come se i mancini dovessero sfilare per esercitare il loro diritto a usare la sinistra... Ora che ci penso fino a qualche decennio fa anche essere mancini, era considerata una devianza da correggere "per il loro bene" magari dagli stessi bei tipi che ora si oppongono all'amore gay, sempre "per il nostro bene".» Sbuffò disgustato.
«No... sul serio... non me la sento...» biascicò Sam a disagio.
«D'accordo Sammy, se non vuoi venire, non insisto, ognuno può esercitare il suo Libero Arbitrio come meglio crede.»
L'aveva chiamato "Sammy" questo voleva dire che non si era arrabbiato...
«Un vero peccato però, sarebbe stato divertente.» Gabriel scrollò le spalle e afferrò i fogli. «Lo sapevi che molti vedono il Gay Pride come un'occasione per rimorchiare e che i bisex cuccano il doppio?» detto ciò, uscì dall'ufficio.


Ma perché si era lasciato convincere? A dire il vero Gabriel non aveva neanche insistito, ma era bastata quella battuta sui bisex, perché Sam perdesse la capacità di ragionare: immaginare il suo fidanzato che si strusciava addosso a qualcun altro gli aveva scatenato il suo istinto possessivo e così eccolo lì a partecipare per la prima volta a un Gay Pride su un carro, (s)vestito da gladiatore, imbarazzato al massimo, insieme a Charlie e Jo (alias Xena e Olimpia) che non smettevano un attimo di abbracciarsi e baciarsi e ovviamente a Gabriel con le sue ali posticce.

Quella mattina, Gabriel dopo aver indossato il costume (ali, perizoma e calzari) si era esaminato allo specchio: «Sammy, sii sincero. Che cosa ne pensi?»
Sam l'aveva guardato con occhio critico; inutile negarlo, il suo fidanzato non aveva proprio un fisico scolpito: i pettorali non erano definiti, per non parlare della sua pancetta...
Forse se gli avesse detto che non era appropriato che un avvocato si conciasse così, Gabriel avrebbe rinunciato all'idea di partecipare...
Poi Sam l'aveva fissato nei suoi dolcissimi occhi ambrati e non aveva resistito, l'aveva baciato e gli aveva detto: «Ti trovo bellissimo!»

«Forza Sammy! Questa è una festa non un funerale!» esclamò Novak, girandogli intorno, alzando le braccia sopra la testa e scuotendo il lato B.
Sam non riusciva proprio a divertirsi: aveva notato che c'erano alcuni tizi vestiti da vichinghi e motociclisti che guardavano nella loro direzione con fin troppo apprezzamento per i suoi gusti...
"Adesso basta! Non siamo qui per essere rimorchiati!" Sollevò Gabriel e lo baciò davanti a tutti. "Chiaro il messaggio?"

«Ma guarda quelli! A casa loro possono fare tutte le porcherie che vogliono, per quel che mi riguarda, ma perché devono ammorbarci con questa carnevalata? E neanche si vergognano!» John Winchester era decisamente disgustato dalla cronaca televisiva sul Gay Pride che si era svolto quel pomeriggio in California.
Dean e il padre erano seduti sul divano, bevendo birra e facendo zapping, finché non erano incappati in quel servizio del telegiornale.
La telecamera continuava a inquadrare i vari manifestanti fino a riprendere quelli sul carro: c'erano degli esseri, che non si capiva se erano uomini o donne, vestiti da ballerine brasiliane, due ragazze una bionda e una rossa vestite da guerriere («Che spreco!» commentò Dean) e un tizio di schiena con indosso soltanto un perizoma leopardato e un paio di ali abbarbicato a un altro più alto, vestito da gladiatore.
«Che schifo!» esclamò John disgustato, «ma perché 'sti due finocchi non possono slinguazzarsi rinchiusi in casa? Se fossi il loro padre, mi vergognerei a uscire...»
Finalmente i due si staccarono...
Dean sputò la birra che stava bevendo: il gladiatore era Sam!


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