Capitolo 3

29 5 0
                                    

"Sono io, scendi" dissi non appena mi rispose al citofono. Sapevo dove si trovasse il locale, non era la prima volta che ci andavo, dall'ultima serata trascorsa lì erano passati circa tre mesi ed era un posto che avevo da sempre frequentato con Gaia. Il tragitto era semplice: fare un tratto a piedi, prendere un pullman e poi la metropolitana che ci avrebbe lasciate praticamente davanti. Il difficile consisteva nel fare i primi passi con Anna che non dava segni di voler scendere da casa. Betta sapeva dove stavamo andando e non fu una sorpresa per lei, si limitò solo a dire "Oh, c'è anche Anna?", poi mi salutò dicendomi di non fare tardi. Era assolutamente una frase di circostanza dato che non era mai successo nulla le volte che avevo trasgredito sull'orario, cosa che invece non era per la madre della mia amica. Era una donna che, seppur conoscevo la figlia da anni, non avevo ancora avuto modo di capire a pieno visto che capitava poche volte che la incontrassi. Il suo lavoro la teneva lontana da casa quasi tutto il giorno, ma affidava la figlia al marito che era costretto a tenerla d'occhio secondo le direttive dettatagli. Le regole erano intransigenti sulle uscite, soprattutto quelle la sera e la compagnia. L'unica cosa che non preoccupava i due genitori era l'andamento scolastico della figlia che davano per scontato fosse eccellente e infatti era proprio così. Per quell'incontro al locale, quindi, sarebbe stato detto che fosse un innocente passeggiata tra amiche in zona e sarebbe stato meglio che Anna fosse stata convincente, altrimenti non ci sarebbe stata alcuna possibilità dicendo la verità.

Faceva freddo, ma era abbastanza il piumino che indossavo, era quella la convinzione con cui era uscita da casa. A quanto pareva, però, avrei dovuto mettere il giubbotto foderato perché, dopo il primo quarto d'ora ferma ad ammirare il portone, cominciai a non sentire più le dita di mani e piedi.

"Meg, non mi sento bene. Vai senza di me" mi arrivò fievole la sua voce alla terza volta che provai a suonare.

"Non mi bevo il tuo male platonico. Scendi" affermai, forse un po' troppo rudemente, ma dovevo essere decisa, altrimenti mi avrebbe piantata in asso.

Non era stata una passeggiata convincerla. Sapevo che aveva qualche rimorso ogni volta che le veniva chiesto di partecipare e doveva dire di no perché sapeva la reazione dei genitori, così ho solo detto la mia sul compimento della sua maggior età. Certo, diventare maggiorenni non voleva dire diventare incoscienti, ma avere la possibilità di essere più indipendenti. Quel concetto e il sapere che eravamo lì anche io e Paolo la fecero accettare, anche se in modo non troppo convinto. Come sapevo, Anna era una persona altamente problematica a causa della sua mente che lavorava senza sosta e più velocemente di qualsiasi altro. Succedeva che, da niente, si creava un percorso mentale formato non da bivi, ma direttamente tutta la cartina della città, così, dopo aver preso una decisione ci pensava e ripensava creandosi mille dubbi. In quel momento stava percorrendo quella fase, ne ero abituata, ma non era nei piani aspettare al freddo.

"Dovrò rientrare entro e non oltre mezzanotte" parlò all'apparecchio all'improvviso.

Alzai gli occhi al Cielo, saltellando sul posto per muovermi un po': "Certo, Cenerentola. Adesso scendi...".

Ancora cinque minuti e finalmente il portone si aprì, facendo uscire la mia amica con sguardo basso: "Scusa il ritardo" disse dispiaciuta. Scossi la testa e "Mi devi una cioccolata calda per lo meno" sbuffai e lei sorrise quando mi vide fare lo stesso.

Fuori dal pub c'erano due nostri compagni che stavano fumando e uno di questi era Michele che ci disse la posizione degli altri all'interno. Salutarono la mia amica con aria stupita, non vedendola mai unirsi al gruppo, ma non commentarono. Lei si strinse al mio braccio nemmeno stessimo per entrare in una casa dell'orrore e dopo i primi passi incrociammo Paolo al ritorno dal bar con un drink in mano.

Forgotten LoveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora