Capitolo 1. Le baite

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Nell'operare scelte importanti, si notanegli uomini una certa propensione al caos. 

Chi in effetti opera lascelta non è l'uomo nella sua interezza (beati quelli che, interi, operano scelte) ma una singola parte, e rare volte più d'una. 

Avolte una scelta è dettata dalla rabbia, ed ecco che la parte dirabbia prevale sul tutto, a volte per vendetta, a volte per amore, avolte per interesse; una parte offusca il tutto e non permette unaponderazione naturale, un giusto e salubre respiro in accordo conl'universo.

Con questo, sia chiaro, non intendo né criticare alcunascelta né tantomeno mostrare un modo giusto di operare scelte ed unosbagliato; intendo, beninteso, riferire di alcune scelte che,nonostante prese con rabbia e passione, hanno molto insegnato eaccresciuto la qualità della vita di chi le ha prese, e di chi hasaputo reggerne sia i vantaggi sia gli inevitabili svantaggi.

Lescelte operate secondo natura, come riferiscono le fonti, sono nonmeno potenti e significative delle prime, ma portano in sé unaserenità ed una crudele sensibilità da lasciarci stravolti mafelici, fiduciosi nell'avvenire e pieni di naturalezza.

Chi saggia ambedue i tipi di scelta, adavviso di chi sopra tutto siede, amplifica e dispone per sé ungrande insegnamento, esperendo sia il prevaricare della parte sultutto, sia l'armonia con il tutto.

Il Prato dei Frati è situato in dolcependenza a circa mille e cento metri sul livello del mare, in unazona montuosa vicino alla città, ma sufficientemente distante dascacciarne i suoni caotici dei registratori di cassa, delle auto edei telefonini. Senza essere un posto esotico e selvaggio, tra boschidi faggi si allarga come un grande respiro per il vento fresco, ilPrato dei Frati. 

La valle che si vede dal prato è ampia, sopra imille metri, ma sprofonda in una specie di imbuto non appena siscende a quota ottocento, risucchiando il torrente che più a valleprende il nome di Aubendon, si rinforza in fiume, ed entra in cittàa scivolare sotto i ponti e tra le bianche sponde cittadine. 

Assiemeal fiume, risucchia anche una manciata di paesini mezzi disabitati,con pugni di case sparse come grani di sale grosso, costruiti conpietre e sudore e il poco legno necessario a ricordare un po' dicalore ai vecchi abitanti. Una volta queste montagne eranofrequentate da gli uomini, gli uomini le vivevano come un'incessantealleanza rispettosa, come un destino aspro e dolce al contempo; orainvece queste montagne vengono solleticate dalle suole gommate diescursionisti silenziosi, dagli eterni animali, e da qualchecacciatore sparuto e fuori dal tempo che investe le domeniche per deivolatili spiccioli, con gli occhi socchiusi nell'ultimo caldo delcarniere.

Dal prato dei frati la valle di fronteoffre un panorama discreto: sulla sinistra si vedono le paretiscrepolate del Realto, duemila e uno metri sul livello del mare. Sivede la croce, poco sotto, il rifugio ca'torta-Realto attivo da marzoa fine ottobre, periodo variabile col gelo e disgelo della neveinvernale. A destra, la coppia di colli gemelli: il Col fassina ealla sua destra il Col Muro. Boschi li vestono dal fondovalle ma nonarrivano fino in cima, dove c'è dell'erba alta, mosche dure enumerosi cuscini d'erica; c'è un bel sentiero che li percorreentrambi in poco meno di quattro ore. Un bell'anello, ben segnalato esicuro in ogni parte. I piedi dei colli gemelli sono nascosti dallaCosta Cagere, un pratone probabilmente artificiale (ma moltonaturalizzato) dove da almeno due secoli si fa con le mani lamungitura in alpeggio e il formaggio della Costa, base di numerosericette della cucina locale.

Tra questi due sipari si vede, piùlontano, il pizzo del Guell, crestone che tocca con i suoi vertici lenuvole che si addensano a tremila e settecentocinquantasei metri sullivello del mare, le sega, le fende, le offende con le sue punte maloro, pazienti, lo stanno smussando da milioni di anni mentre lui nonse ne accorge. Meta preferita di alpinisti locali e meno locali, hala sua storia di conquiste alpinistiche, le sue storie di guerra, lesue leggende di esseri fatati, i suoi alpinisti dispersi o morti etutti i corollari che una montagna si porta dietro nella finestra ditempo in cui conosce l'uomo. Dietro di lui, molti monti, aguzzi emeno aguzzi, di cui non ci interessano né nomi, né altitudini, nécaratteristiche escursionistiche.

Il prato dei frati c'è da sempre qui doveè stato provocato,da un antico incendio spentosi naturalmente,avvenuto intorno al mille e ottocentodue, in primavera, a causa di unbrusco temporale; ma questo nessuno, davvero nessuno, lo sa. Nonc'erano cronache di posti dimenticati allora, e non era necessarioriprendere le cose con la cinepresa perché queste potesseroavvenire. Si bruciò in poco più di mezza giornata e la notte, ilfreddo la pioggia battente spensero il focolaio e regalarono allamontagna una bella radura naturale, dove gli alberi, forse permantenere la memoria dei compagni defunti, non osarono più mettereradici.

Radici, nel prato dei frati, ce le misero ipastori, e principalmente il Tino, che costruì una stalla a un piano per la transumanza, con pietre, sudore e quel poco legno occorrente aricordagli un po' di calore e di morbidezza nella sua vita. Uno stilediffuso nella valle di quel tempo.

Venne poi il tempo della città, i figli deifigli dei figli dei pastori ora sono diversamente intenti in uffici oposti di lavoro, i loro bis-bis-nonni che nelle foto a dodici annisembravano fasci d'erba, tanta era la vita che sprigionavano, sonosolo immagini inceramicate su quadrati di marmo bianchissimo neicimiteri vecchi e sperduti nella valle, sotto lo sguardo degli angelifieri e tristi con le ali ricurve su cui piove, nevica e batte ilsole del tempo. Ritratti fieri di gente semplice, in un ultimo fotogramma dal quale si può desumere vita e carattere di ciascuno. A quanto valse la loro vita, dicono, lo sanno i pochiche con i morti sanno ancora parlare attraverso la storia e l'amoredella terra.

Il Tino è in uno di quei cimiteri, a fiancodi sua moglie, sepolto per intero tranne per quel mignolo cheperse da ragazzo giocando a chi con l'ascia colpiva più vicino allamano. Un uomo che oggi, se conoscesse Ettore, gli stringerebbe lamano fortemente e lo guarderebbe negli occhi, e taciturno glioffrirebbe un po' di polenta in una buia cucina, in una gioiarinnovata, in un sodalizio tra uomini che poco ha a che vedere con lemoderne relazioni umane.

Il caso, o Dio come dicono alcuni, che tutto muove, pose le due manil'una nell'altra attraverso un rogito, che Ettore firmò d'istinto econ gli occhi ancora gonfi per la notte: la mano senza mignolostrinse quella di Ettore, liscia e morbida, con quasi cent'anni diritardo.

Ettore aveva deciso in meno di due giornidi ritirare la baita al prato dei frati, risistemarla durantel'estate ed usarla in quei fine settimana, ponti e ferie non goduteche gli restavano liberi dal lavoro in ufficio. Così almeno, suonaval'intento nella sua testa. Lì, invece, restò per tutto il temponecessario a guardare il panorama del suo passato, tornare ad amarloe a comprenderlo.

Cominciò i lavori alla fine di maggio, conla fornace dell'erba secca dei prati che riflette e si cuoce nel solesempre più estivo.

Data la posizione della baita il solearrivava alle spalle della montagna già dalle dieci del mattino,essendo la costa dolce e la baita posizionata poco sotto il crinale,per poi rimanere a vista tutto il giorno e morire dietro il pizzo Guell dipingendo quest'ultimo di rosa, ed incendiando il resto dellavalle con i caldi riflessi del tramonto. Il Guell proiettava la suaombra sdraiandola sulla valle, come a metterla a dormire, prima delladrastica notte dei monti.



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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 25, 2016 ⏰

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