~An unexpected match~

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"Depressa", "dark", ecco come mi definiscono giorno dopo giorno a scuola. Solo perché ho un modo di vestire diverso dagli altri mi chiamano "strana". Solo perché ho un lato della testa rasata mi chiamano "diversa". Solo perché sono molto riservata mi chiamano "asociale". Giorno dopo giorno sono costretta a sentire queste offese, sussurrate da orecchio ad orecchio, mentre passo tra i corridoi della scuola.
Ma Simon, il mio ragazzo, mi ama per quello che sono, o almeno è questo quello che mi dice e, sinceramente, a me sta bene così.

Ed anche oggi la stessa storia. Stesse parole che feriscono l'anima. Stesse frecciatine. Stessa ramanzina da parte di tutti.

Finalmente vengo salvata dalla campanella e, attraversando il corridoio, vengo urtata, facendomi finire a terra. Nessuno viene in mio aiuto. Nessuno si preoccupa per me. Nessuno si accorge della mia esistenza.
Una volta uscita da scuola mi vedo con Simon. Ho sempre amato il suo modo di fare. Il modo in cui mi tratta, così dolce. Quei suoi grandi occhi blu che mi fissavano, interessato e preoccupato dai miei stati d'animo. Con lui mi sentivo al sicuro, protetta. Per lui esistevo. Per lui ero qualcuno.
Però in questo ultimo periodo era diverso, era cambiato. Era più freddo, distaccato.
"Il lavoro mi distrugge", diceva sempre. Era distratto, come se la sua mente vagasse su un altro pianeta.

Non parliamo per tutto il tempo della strada e, una volta arrivati davanti casa mia, mi saluta con un bacio distratto.
Entro in casa e dopo aver salutato i miei, mi precipito in camera, tappezzata di miei disegni e di poster di personaggi famosi e gruppi rock e metal. Mi butto nel letto e metto le cuffie e con Cassidy, il mio cane, al mio fianco, mi addormento, accompagnata dalle note di "Hells bells".

Vengo svegliata da Cass, che mi lecca la faccia. Quando lo allontano vedo l'orologio e salto in aria. Avevo sette minuti di tempo per prepararmi ed uscire di casa per arrivare in tempo al corso di pittura. Afferro l'album e lo zaino e mi catapulto giù dalle scale. Saluto di fretta i miei ed esco di casa per andare al corso.
Una volta fuori casa, durante il tragitto notai un ragazzo davanti a me con un album in mano e uno zaino sulla spalla. Sembrava avere i capelli neri e indossava una felpa blu, più grande di lui, dei jeans un po' strappati e delle converse malridotte. Era voltato di spalle, quindi non riuscivo a vederlo in faccia e qualcosa, dentro di me, iniziò a crescere. La curiosità divampava in me.
Ad un tratto svolta ed entra in un negozio. Passo avanti, dispiaciuta per non averlo visto in volto.
Una volta arrivata, prendo posto e inizio ad ascoltare distrattamente quello che dice l'insegnante, non riuscendo a smettere di pensare al ragazzo misterioso.
Mentre disegnavo distrattamente sul foglio, alzo lo sguardo quando vedo davanti a me il ragazzo con la felpa blu e le converse malridotte. In mano teneva un carboncino con cui disegnava qualcosa a me sconosciuto e tutto ad un tratto l'ispirazione pervase il mio corpo. Con foga, strappo il foglio dove stavo scarabocchiando e inizio a disegnare il soggetto davanti a me, ignaro dei miei progetti. Piano piano iniziava a prendere forma così come prendevano forma le mie idee di lui.
Ero china sul foglio quando sento un brivido correre lungo la schiena. Alzo lo sguardo e la prima cosa che vedo sono due occhioni neri che mi fissavano, accompagnati da un gran sorriso. Il mio cuore fa un balzo.
-Ciao!- dice con voce profonda, continuando a sorridere. -Cosa stai disegnando?-
Tutto ad un tratto entro nel panico. Sarebbe stato troppo imbarazzante dirgli che lo stavo disegnando.
Subito notai che aveva i capelli e gli occhi di un nero così profondo, da sembrare un cielo notturno senza stelle. Aveva gli occhi a mandorla. Portava i capelli spettinati e una barbetta incolta. Aveva un naso grande e un po' schiacciato e delle labbra carnose. Aveva tratti orientali misti ad altri occidentali, era bello, nel suo insieme. Emanava felicità da tutti i pori e il suo sorriso contagiava chiunque.
-Allora, posso vederlo? Oppure è un segreto?- afferma, ridendo.
Senza accorgermene, stringevo a me l'album, come se fosse stata la cosa più preziosa che avessi mai avuto.
Lascio andare l'album, poggiandolo al cavalletto, in modo tale che il ragazzo sconosciuto potesse vederlo.
-Wow! Sono così bello di spalle?- dice
-si, sei un bel soggetto.- affermo, senza pensarci su. Appena me ne rendo conto la mia faccia si tinge di rosso, provocando una risata dal ragazzo sconosciuto.
-Allora ti lascio disegnare in pace! Oh, dimmi come devo mettermi, sei tu l'artista.- dice, volgendosi di spalle. Scoppio in una risata. Era da molto che non ridevo di cuore, mi sentivo viva, una sensazione che non provavo da un po'.
Riprendiamo a fare quello che stavamo facendo qualche minuto prima e, di tanto in tanto, il ragazzo sconosciuto mi rivolge un sorriso, facendomi sorridere a mia volta.

Finita la lezione mi dirigo verso casa. Sento una mano poggiarsi sulla mia spalla. Mi sfilo le cuffie e mi volto verso la persona accanto a me. Era il ragazzo sconosciuto col suo gran sorriso.
-Anche tu vai in questa direzione?- dice, indicando la strada col dito.
-Si.- dico, rivolgendogli un sorriso.
-Allora ti dispiace se camminiamo insieme?-
Faccio cenno con la testa e rimaniamo in silenzio.
-Comunque io sono Yuri.- dice, porgendomi la mano.
-Alaska.- dico, stringendogliela. Era così morbida. Aveva le dita affusolate e lunghe, macchiate di ecoline e carboncino. Riflettevano ciò che era. Un artista.
Dopo un paio di minuti di silenzio, dice
-Ci siamo trasferiti da poco, qua.- osservando la strada.
-Da dove venite?- rispondo, interessata.
-Veniamo da New York. La vita lì era troppo costosa, così i miei hanno deciso di trasferirsi in un posto più tranquillo.- dice, con un velo di tristezza. Era strano vederlo così. Sorridente, ma allo stesso tempo triste, come se nascondesse le sue vere emozioni dietro una maschera.
-Non è stato un po' un trauma, per te?- dico.
-Per mia sorella si. È più piccola di me, ed è proprio nella fase adolescenziale. Quindi per lei è stata dura.- dice, come per sviare il discorso.
Non insisto, non volevo riaprire una ferita.
-Io abito qua.- dico, indicando la porta di casa.
-Allora ci salutiamo qua.- dice.
Mi dispiaceva doverlo lasciare. Era simpatico, mi faceva stare bene.
Dopo un minuto di sguardi imbarazzati mi saluta con un -Ci vediamo in giro.- salutandomi con un gesto della mano. Ricambio, sorridendo, ed entro dentro casa.

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