Dale
La luce filtra attraverso le persiane e mi ferisce gli occhi. Cazzo, mi sono dimenticato di chiudere le tende ieri sera… Mi volto e provo a seppellire il viso nel cuscino ma niente, ormai sono sveglio.
Apro gli occhi e li richiudo di scatto al martellare nella mia testa. Ancora una volta ho bevuto troppo. Il risultato è che adesso ho la bocca impastata e mi sento di merda. Niente di nuovo. Forse una doccia mi aiuterebbe ma, per farla, dovrei alzarmi e non ne ho la forza.
Mi copro gli occhi con un braccio e mi rendo conto di essere patetico. Davvero patetico. Ma non posso farci nulla.
Dai, Dale, alzati, dobbiamo andare! Non voglio far tardi come al solito…
La voce nella mia testa è sempre la sua. La sento dentro di me come se lui fosse ancora qui. Come se non fosse già passato un mese da quando se n’è andato. Come se mi stesse strappando le lenzuola di dosso. Come se si buttasse su di me facendo finta di fare la lotta ma con il solo scopo di baciarmi…
Sento una morsa stringermi lo stomaco e mi piego in due dal dolore. Come può qualcosa di così intangibile farmi così male? Vorrei urlare ma non lo faccio e so che sto per piangere, anche se non voglio. Devo smetterla, devo ma non ci riesco e affondo di nuovo il viso nel cuscino per soffocare il singhiozzo che sento sta per arrivare.
Perché mai poi? Tanto sono solo e nessuno può sentirmi. Finalmente mi lascio andare, non lo facevo da un po’ e questo sfogo mi fa sentire meglio. Alla fine mi alzo e barcollo verso il bagno. Faccio pipì e poi entro nella doccia. L’acqua bollente mi risveglia del tutto, mi sento in grado di prendere una decisione. Ho finito di piangermi addosso. Da oggi in poi devo ricominciare. È una storia finita, chiusa, non c’è altro da dire perché, sarà anche un luogo comune, ma la vita va avanti. Andrà avanti comunque, anche senza Keanu.
Un anno dopo
Arrivo al distretto e mi precipito su per le scale. Come al solito sono un po’ in ritardo e spero che il capitano non abbia già iniziato il briefing. Sono fortunato: vedo i colleghi avviarsi verso la sala riunioni e mi accodo, facendo finta di essere lì già da un po’. Jake mi vede e mi fa un cenno. Mi avvio verso il mio partner e mi siedo di fianco a lui.
«Ti è andata bene ancora una volta cazzone,» mi apostrofa. Sembra aggressivo ma non è così. Lo conosco fin troppo bene, è il mio partner da un anno ed è l’unico che sa tutto di me: non avrei mai potuto tenergli nascosto che sono gay. Sono stato troppo male quando la storia con Keanu è finita perché lui non se ne accorgesse. Ci vogliamo bene, lui è il fratello che non ho mai avuto.
«Che ci posso fare se sono fortunato?» lo rimbecco e, ridendo, gli do una gomitata che lui para con facilità.
Il capitano arriva e ci zittisce, dando inizio alla riunione. Mi perdo un po’ nei miei pensieri, tanto ci penserà Jake a ragguagliarmi, funziona così tra noi. Poi, di colpo, qualcosa mi riporta alla realtà. Sulle prime non capisco cosa abbia attirato la mia attenzione, ma poi il capitano si sposta e vedo con chiarezza la foto appesa alla lavagna. È un ingrandimento 50x40, a colori. Il mio sguardo non riesce e distogliersene. Sento la mano di Jake sul mio braccio; sono grato di questo gesto perché altrimenti, con ogni probabilità, mi alzerei e me ne andrei dalla stanza ed è una cosa che non posso fare. Non mentre il capitano sta parlando e ci sta spiegando che dovremo proteggere questo testimone, che è fondamentale per l’inchiesta in corso, che fino al processo dovrà essere tenuto al sicuro, che l’organizzazione criminale dei Fuentes lo vuole eliminare per non farlo testimoniare e per tutta un’altra serie di cose che il mio cervello non capta, perso come sono a fissarlo.
Keanu Martens. Provo a ripetere il suo nome nella mia testa, ancora e ancora… Conosco quella foto, gliel’ho fatta io, in un pomeriggio di sole, su una spiaggia alle Keys. Non era un primo piano come la vedo adesso, devono averla ritagliata. È bellissimo, con quei capelli così neri, quegli occhi altrettanto neri e quel sorriso perfetto…
Di colpo, sento di nuovo quel dolore allo stomaco che credevo sepolto per sempre. Devo essere impallidito perché sento la voce di Jake in un orecchio.
«Dale, ti senti bene?» La preoccupazione nelle sua parole mi riscuote e mi volto verso di lui.
«Sì, sì certo, sto bene,» mormoro e provo a fargli un mezzo sorriso rassicurante, ma non so fino a che punto ci riesco.
«Dai che ha quasi finito, così poi possiamo andare da qualche parte a parlare.»
Gli faccio un cenno di assenso e cerco di smettere di fissare la foto. Mi concentro sulle parole del capitano e quasi ci riesco.
Finalmente la riunione finisce e ci alziamo per andarcene insieme agli altri, ma il capitano ci ferma. «Coats, Bannister aspettate un attimo.»
Ci voltiamo contemporaneamente verso di lui che ci fa cenno di seguirlo nel suo ufficio. Ci sediamo di fronte alla sua scrivania e lui sembra raccogliere le idee per un attimo prima di iniziare a parlare.
«Non voglio annoiarvi dicendovi nuovamente quanto sia importante la protezione di questo testimone. Ha visto con i suoi occhi compiere l’omicidio Salinas e, con la sua testimonianza, potremo finalmente inchiodare Fuentes in persona. Potremo sbatterlo in galera per tutta la vita. Quest’uomo va protetto notte e giorno. Costantemente. Ventiquattro ore su ventiquattro. Non ci saranno sabati né domeniche fino al processo. Voi due siete i miei migliori elementi e voglio che stiate attaccati al culo di quest’uomo come una zecca su un cane. Dovrete portarlo in una casa protetta e sorvegliarlo sempre, da qui alla fine del processo che si svolgerà tra due settimane. Sarete voi a coordinare il tutto, i turni, il posto, persino quello che mangerà. Non gli dovrà succedere nulla, sono stato chiaro?»
«Certo, capitano, chiarissimo,» risponde Jake anche per me, visto che io sono praticamente sotto shock.
«Benissimo. Allora è tutto.» Prende un foglio e lo da a Jake. «Questo è l’indirizzo della casa protetta. Martens è nella sala interrogatori. Andate a prenderlo e portatecelo. Non è il caso che aggiunga di fare attenzione: l’organizzazione di Carlos Fuentes ha ramificazioni ovunque, quindi occhio a come vi muoverete e occhio alla scelta delle persone di cui fidarvi. Sapete già come è andata a finire tutte le altre volte: probabilmente Fuentes ha una talpa nel dipartimento che non siamo mai stati in grado di scoprire, quindi fate attenzione.» Si alza in piedi, segno evidente che ci sta congedando.
Ci stringe la mano e un attimo dopo siamo fuori dal suo ufficio. Io mi appoggio al muro, cercando di regolare la respirazione. Sento la mano di Jake sulla spalla.
«Stai bene?»
«No, per niente, ma non ha importanza adesso. Abbiamo un lavoro da fare.» Mi stacco dal muro e mi avvio verso la sala interrogatori, con Jake al mio fianco.
Non ho proprio idea di come riuscire ad affrontare questa situazione, però non ho scelta. È passato un anno e pensavo di esserne fuori, ma mi è bastato vedere la sua fotografia perché il cuore iniziasse a battere come un tamburo e lo stomaco a farmi male. Come cazzo farò quando lo avrò di fronte in carne e ossa? Mi ripeto che sono un uomo di trentotto anni, non un ragazzino alla prima cotta, quindi raddrizzo le spalle e guardo Jake che sta fermo con una mano sulla maniglia della porta, come in attesa di un mio cenno.
«Andiamo,» mormoro. Lui entra e io lo seguo a ruota

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 10, 2016 ⏰

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