Tommy era terribilmente in ritardo.
Non solo gli si era rovesciato il caffè addosso, quella mattina, rovinando la camicia nuova, appositamente acquistata per il colloquio più importante della sua vita ma, adesso, completamente sudato, sulla sua affidabile bici portata con sé direttamente dall'Arizona, unico oggetto di suo possesso che potesse considerarsi di valore, si muoveva tra le strade di un'ancora sconosciuta New York, cercando una scorciatoia che l'avrebbe portato, entro i prossimi cinque minuti, alla Wayward Productions, che aveva sede proprio nel bel mezzo di Manhattan.
A quanto pare, come se già non gli fossero successe abbastanza cose da potersi definire uno sfigato di prima categoria, quella notte, il collegamento delle fognature, aveva deciso di esplodere, provocando la chiusura della maggior parte delle strade che, dal suo misero motel a Brooklyn, lo avrebbero portato alla fermata della metropolitana, costringendolo così, a fare un giro interminabile e facendogli perdere il treno giusto, ritrovandosi, a cinque minuti dal colloquio più importante della sua vita, nel bel mezzo delle strade della Grande Mela, stanco morto e, probabilmente, con un sentore di sudore addosso con cui non avrebbe fatto, di certo, bella figura.
Aveva ben pensato di attaccare lo smartphone, con del nastro isolante, al manubrio della sua bicicletta, come fosse un gps che l'avrebbe aiutato a non perdersi del tutto in quelle grandi e sconfinate strade ma, non aveva contato che, tra la fretta, la confusione e il traffico, si sarebbe concentrato troppo sullo schermo anziché su quello che aveva di fronte.
E fu così che, svoltando l'angolo, l'ultima cosa che vide fu il muso nero di un'elegante Bentley.
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Il fastidioso ticchettio di un orologio svegliò Tommy nel bel mezzo di un sogno strano e confuso, in cui, protagonista, sopra la sua bicicletta, correva come un forsennato nel bel mezzo del deserto, inseguito da un'auto da centinaia di migliaia di dollari che, con tanto di occhi e bocca, aveva una risata maligna e continuava a dirgli "Alla prossima, svoltare a destra".
«Che diavolo?» mormorò, aprendo un occhio, poi un altro, cercando di capire dove si trovasse.
La prima cosa che notò, fu proprio l'orologio appeso sulla parete di fronte a sé. Segnava le cinque e venti e, stando alla luce che filtrava attraverso l'ampia finestra alla sua destra, era pieno pomeriggio.
Le pareti, bianche, raffiguravano locandine di famaci e giornate della prevenzione, il comodino, con sopra della frutta apparentemente fresca e un budino al cioccolato confezionato nel cellophane, era sistemato accanto al letto, e non gli ci volle molto prima di notare la sua gamba sinistra, totalmente ingessata e tenuta leggermente alzata da una catena appesa al tetto.
«Oh cazzo!» esclamò, cercando di alzarsi ma, invano, vista la gamba.
Catturato da un vociare che proveniva dal corridoio, si passò una mano sul volto e poi tra i capelli corti e chiari.
Aveva la bocca impastata e sentiva il classico sapore amaro dei farmaci.
«Sei sveglio.» Qualcuno catturò la sua attenzione e il suo sguardo.
Un uomo, che da quella prospettiva sembrava piuttosto alto, con i capelli scuri e le iridi di un colore insolito, che poté solo ricollegare a quello della terra bruciata della sua amata Arizona, sorrise a malapena, mostrando uno sguardo quasi sollevato che enfatizzò le rughe ai lati dei magnifici occhi dal taglio lungo, quasi orientale.
Tommy rimase bloccato di fronte alla bellezza di quell'uomo. Non l'aveva mai visto prima ma la sua voce...era familiare.
«Ricordi cosa è successo?» gli domandò avvicinandosi piano e sedendosi sulla poltrona accanto al suo letto, come se l'avesse già fatto altre volte.