The Smiths - Please, Please, Please, Let Me Get What I Want
Cannella.
Ogni anno per il mio compleanno mio padre preparava una crostata di mele e cannella. La preparava la sera prima, insieme a me. Quando poi la sfornava, la casa si riempiva di un favoloso odore di cannella che permaneva per qualche giorno. E io ero felice.
Lo eravamo tutti.
Anche dopo la morte di mio padre ho continuato a farla, ma era ovviamente una brutta e cattiva copia della sua.
E l'odore della cannella che c'era a casa mia, in quei sempre caldi giorni di agosto è lo stesso che aleggia qui, in casa di Mark. Lo stesso, identico profumo che mi faceva attorcigliare lo stomaco quando ero piccola.
Mi stringo nella coperta arancione e mi faccio cullare dai ricordi, mentre osservo la città coprirsi delle sfumature che caratterizzano l'alba. La casa è immersa nel silenzio e perfino i rumori della strada sono ovattati dalla grande vetrata che imponente guarda sull'ampio salotto e che fa guardare sulla macchia verde che è Central Park.
La casa di Mark è un inno all'eleganza. O almeno lo deve essere stata. Ha ancora qualche rimasuglio di mobili minimalisti bianchi e neri, che sono stati sostituiti da altri più colorati, più sicuri e più economici dopo la nascita della prima figlia. Il salotto grande ancora possiede, per esempio, un ampio divano nero a netto contrasto con la libreria colorata e piena di disegni dei figli.
Sul tavolino di fronte al divano c'è una foto di loro tre sorridenti tra la neve bianca. Il bambino, stranamente, non assomiglia per niente a Mark. Anzi. Ha dei ricciolini biondi che sbucano dal casco e dei ridenti occhi blu. Deve somigliare alla madre, la sua ex. Invece la bimba ha i capelli corvini e gli occhi come il padre. Sebbene entrambi abbiano gli occhi azzurri, quelli del maschio hanno sfumature diverse da quelle della femmina che sembra abbia rubato lo sguardo al papà.
Penso alla mia bambina, così simile a me nell'aspetto, così simile a Jesse nel carattere. Per sua fortuna.
Presa dai sensi di colpa e dalla nostalgia chiamo Julia, sapendo che è già alzata da un pezzo, nonostante siano le sette del mattino. Mi risponde quasi subito, con la voce già squillante ed energica come sempre.
«Emily! Come stai? Alicia mi ha raccontato tutto!» Mi sento già meglio a sentire che non c'è la minima nota di preoccupazione nel suo tono.«Sto bene. Chyler?»
«Alla grande. Abbiamo guardato i cartoni fino a tardi e poi siamo andati a letto. Sta ancora dormendo. Non ha mai chiesto di te, era abbastanza tranquilla».
Lo so che dovrei essere tranquilla per il fatto che non abbia creato problemi a Julia, ma quest'ultima frase mi ha dato un forte fastidio. Sembra sia quasi abituata a queste mie uscite. E che non abbia bisogno di me. E questo fa troppo male.
«Oh, bene» la mia voce risulta falsa e tesa. Cioè come mi sento adesso.
«Oggi James ha promesso di portarla allo zoo. Ha detto che vuole passare la giornata da solo con sua nipote. Quindi non ti preoccupare e divertiti» c'è un pizzico di malizia nella sua voce. Alicia non riesce proprio a stare zitta. Non ha resistito molto a dire a tutti di quello che è successo l'altra notte.
«Ma voglio andarci anche io allo zoo con Chyler» mi lamento, ma lei ride.
«Oh no cara, è la tua giornata libera. Ne hai bisogno. Non hai più avuto relazioni dopo Jesse e hai bisogno di divertirti. Tanto quello che fai a New York, rimane a New York. Ora ti saluto cara, devo andare a preparare la colazione, un bacio» e riattacca senza darmi modo di risponderle.
Quello che fai a New York rimane a New York.
Va bene.
E così sia.
Rinfilo il cellulare nella borsetta e decido ad alzarmi.
Piano piano arrivo alla porta della camera dove Mark sta dormendo profondamente. Riesco a vedere i suoi capelli pece scorgere tra il candore delle coperte.
I capelli che ho sfiorato molte volte questa notte.
I capelli dove ho affondato le mie dita così consumate dal mio lavoro.
Ogni parte di Mark profuma di casa, ogni, singola parte del suo corpo mi dice che sono a casa. E questo non voglio provarlo. Questo non va affatto bene.
Per niente.
Lo vedo muoversi un poco prima di tirare su la testa e fissarmi.
"Buongiorno Ford" esordisce con un sorriso che io ricambio prontamente.
"Buongiorno Watson" mi avvicino a lui e mi protendo per lasciargli un dolce bacio sulle labbra, ma lui lo fa diventare subito qualcosa di più. Mi stringe i fianchi e mi fa avvicinare a sé mentre continuiamo a baciarci.
Voglio rimanere qui per sempre, tra queste lenzuola calde, con Mark che mi bacia, che mi abbraccia, con Mark.
No.
Non voglio veramente questo.
Io voglio Zayn; voglio che sia lui a baciarmi, voglio che sia lui ad abbracciarmi, voglio che sia lui ad amarmi.
Voglio che dica il mio nome con la sua voce, voglio sentirla ancora.
Ma lui non vuole queste cose così tanto come le voglio io.
Non vuole vivere una lunga vita accanto a me.
Non gli interesso.
Se così fosse stato non se ne sarebbe andato. Mai.
Non mi avrebbe lasciato sola e indifesa in quel gelido corridoio dell'ospedale.
E invece l'ha fatto.
L'ha fatto e per questo io lo odio, lo odio con tutto il cuore. Ma lo odio così tanto che non riesco ad odiarlo. Lui mi ha fatto male sì, ma se non l'avesse fatto non sarei qui.
No Emily, no. Non ci pensare nemmeno. Tu ami Zayn e quella con Mark è solo un tremendo equivoco. Tutto si risolverà, tutto andrà bene. Zayn ti sta aspettando a Londra, te l'ha detto, lui ci sarà per sempre. Mark no. Mark è la storia di una notte che non può durare.
Non può. Stop.
"Tutto bene? Mi sembri un po' sovrappensiero" Mark si è staccato da me e ora mi sta guardando con aria preoccupata. Scuoto la testa con un sorriso cucito sulle labbra a mascherare i miei pensieri.
"Non è niente. Pensavo solo a quanto stessi bene qui, accanto a te" I suoi occhi e il suo viso si illuminano subito e si avvicina di nuovo per lasciarmi un bacio. Mi lascio andare per qualche istante di piacere senza dover pensare a tutto quello che è legato a Londra. Smettiamo dopo qualche secondo e allora io mi appoggio sulla sua spalla e lascio che mi abbracci. Ho la testa sul suo petto e riesco a sentire il suo cuore battere. E se all'inizio è solo un battito regolare, piano piano aumenta, sempre più forte, sempre più forte.
"Mark." Sussurro impaurita. Mark prova qualcosa per me, sennò non avrebbe altra spiegazione questo effetto.
"Mh?"
"Il tuo cuore." Porta la mano sul mio petto e rimane in silenzio per qualche istante.
"Anche il tuo." Faccio scorrere la mano fino alla sua e la stringo. Iniziamo a ridere come due stupidi, come se non ci importasse di niente e di nessuno. Ridiamo, ridiamo fino alle lacrime. Ma se all'inizio sono lacrime provocate dalle risate, finiscono per diventare lacrime di tristezza.
Tutto quello che temevo si sta realizzando. Ogni mia paura sull'amore per Mark si sta solidificando dentro di me. Quella che prima era solo un'idea, qualcosa di falso e allusivo ora sta diventando vero.
Vero come il sentimento che provo per Zayn.
"Emily, perché piangi?" Mi sposta il viso con le dita in modo che possa fissare i suoi occhi cristallini.
"Che succede?" Gli sorrido dolcemente per cercare di tranquillizzarlo ma sa che è tutto una montatura.
"Ho paura. Ho paura che questa cosa" indico quella parte del mio petto che nasconde il mio cuore prima di continuare: "che questa cosa diventi più grande di me, che non riesca a controllarla." Mi asciugo la l'ultima lacrima che stava scendendo sulla mia guancia lentigginosa. Lui mi guarda serio mentre fa girare lentamente il suo pollice sulla mia guancia. Io mi abbandono al suo tocco così caldo e così, suo.
"Anche io ho paura, molta paura. Ho provato questo solo un'altra volta nella mia vita. E questo mi ha fatto soffrire. Ma non voglio dire quella parola, non così presto. Ti conosco solo da dieci ore e non è possibile. Ma io lo sento e bene" continuava a parlare mentre fissava il soffitto bianco immacolato della stanza. Un ago di luce filtrava dalla finestra e illuminava appena la camera spaziosa. I mobili chiari erano ancora nell'ombra, bramosi di ricevere qualche attenzione da quello spiraglio di sole che ancora titubava ad entrare.
Rimanemmo in silenzio più del dovuto. Io non riuscivo ad aprire la bocca e pronunciare una parola che andasse bene, tutto mi sembrava sbagliato e fuori posto. Ma alla fine decisi che era abbastanza. Mi tirai su per guardarlo ancora una volta negli occhi, in quegli occhi color del mare.
"Parlami di te. Raccontami la tua storia" si gira di scatto e mi osserva un po' turbato. Poi inizia a ridere.
"La mia storia? Okay, ma non aspettarti niente di che" si schiarisce la voce e inizia a raccontare: "Dunque, sono nato in una città, anzi in una cittadina ad un'ora da Dublino. Sono il primo di tre fratelli, cioè in realtà ho due sorelle minori, Martha e Margaret. E non ridere del fatto che i nostri nomi iniziano tutti con 'mar'. Lo so, è strano, ma mia madre era fissata con questo tipo di cose. Comunque, dicevo, ho due sorelle che abitano tutte e due qui con me, due genitori che si amano da quarantacinque anni in modo quasi morboso, e tre nipoti. John, Alfred e Karen. Tutti figli di Margaret. Martha, la più piccola, era quella, cioè è, quella che hai visto ieri sera nel locale insieme a me. Ho avuto un'infanzia sostanzialmente facile e felice, i miei mi volevano bene, con le sorelle mi litigavo spesso ma alla fine ci volevamo bene. E poi quella dopo il liceo è storia che sai" conclude sorridente. Ma quel sorriso lo conosco. E' il mio sorriso, quello che maschera quello che vuoi nascondere. E con le persone funziona sempre piuttosto bene. Ma io non sono le persone e con me non funziona.
"Mark, io non sono le altre persone. Io non sono una donna con cui ci passi una notte e basta. L'hai detto prima. Quindi raccontami qualcosa che non racconteresti a un'altra" mi appoggio sul palmo della mia mano e aspetto che parli. All'inizio sbuffa un po' e non vuole parlare. Continua a fissare il soffitto per qualche secondo, finché non si decide a guardarmi. È serio, i suoi occhi hanno una patina lucida che li bagna.
"Sei veramente curiosa, lo sai? Però hai ragione, tu non le altre" inspira profondamente, forse per paura di quello che sta per dire. "Era il 2009, novembre. Io e Sylvia eravamo a cena in questo bellissimo ristorante. Volevo lasciarla, perché mi vedevo con una mia collega già da qualche settimana. Sophia. Mai più sentita da quella sera. Insomma, eravamo al dolce quando lei smise improvvisamente di mangiare e mi fissò terrorizzata. Io non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. Rimanemmo così per secondi lunghissimi, finché alla fine lanciò la bomba: 'sono incinta'. Io feci quello che dovevo fare. Mi finsi felice e abbandonai l'idea di lasciarla. Lei aveva bisogno di me e io non potevo lasciarla sola. Certo, un figlio a ventitré anni era una cosa enorme. E io non avevo ancora voglia di responsabilizzarmi. Ma ormai quella che all'inizio era una storiella di un'estate era diventata il progetto di vita. La mia vita avrebbe seguito quelle rotaie da lì in avanti. Ci sposammo in febbraio e a luglio nacque Jade, una bambina bellissima. Assomigliava tutta a Sylvia, con i capelli biondi e gli occhi grigi. In quei mesi della gravidanza io avevo imparato ad amare Sylvia e tutto aveva preso una piega giusta. Lo so a cosa stai pensando adesso. Ti starai sicuramente chiedendo cosa è successo a Jade. Lei" delle grandi lacrime solcavano le sue guance arrossate e finivano nella sua barba scura. Non sapevo cosa fare, mi sentivo inadeguata e in colpa per avergli chiesto questo, di essermi spinta oltre il limite, come al mio solito. Mi avvicinai al suo viso e gli lasciai un leggero bacio sulle labbra.
"Scusami Mark, non avrei dovuto spingerti a dirlo" accoccolai la mia testa nell'incavo del suo collo e strinsi le mie braccia attorno al suo busto. Lui passò le sue braccia sopra le mie prima di riprendere a parlare:
"Non è colpa tua. Io ho voluto parlartene. Non sono mai riuscito a sfogarmi del tutto con qualcuno a proposito della morte di Jade. Aveva una malattia della pelle. E' per questo che poi ho preso la specializzazione in Plastica. Dovevo essere migliore dei dottori che avevano curato mia figlia, di quelli che non gli avevano diagnosticato la malattia. Non sono mai riuscito a sfogarmi con qualcuno della sua morte. Quando è successo aveva appena due anni. Io e Sylvia non riuscivamo neanche più a guardarci. Siamo stati separati in casa per un anno. Forse di più. E' stato il peggior periodo della mia vita. Poi piano piano abbiamo iniziato a conoscerci di nuovo. E poi è tutta storia che sai" lo abbraccio più forte che posso, perché mi sembra l'unica cosa sensata che io possa fare adesso.
"Grazie" sussurra alla mia fronte.
"Per cosa?"
"Perché se non fosse stato per te avrei vissuto con questo peso per tutta la mia vita. Grazie Emily. Grazie per essere entrata nella mia vita".
Mi manca il respiro.
Non riesco a respirare.
Cosa ha appena detto.
Sì, è vero, sono nel panico. Ma è giustificabile, no?
Cioè, voi come avreste reagito?
Rimango a fissarlo con la gola secca e nessuna parola che si azzardasse ad uscir fuori dalla bocca. Se prima il mio cuore batteva forte, ora sembra che sia sul punto di schizzarmi fuori dal petto.
Cosa devo rispondere?
"Emily tutto bene?" Un'ombra di preoccupazione oscura il volto di Mark. Non so che dire, non so che pensare. Sento solo una grande confusione dentro di me, come una pesante coltre di nebbia che mi ha inghiottito.
"Grazie" sputo. Non so da dove mi sia uscito fuori. Mark è visibilmente più confuso di me.
"Anche io sono felice che tu sia entrato nella mia vita" continuo la frase e allora il suo volto si distende insieme alle labbra carnose che incorniciano una fila di denti bianchissimi.
Lo bacio piano, cercano d'imprimere quegli istanti nella mia memoria. Un ricordo bello, come non molti.
Ci baciamo per qualche minuto; lui mi passa la mano lungo la linea che solca ma mia schiena nuda e io rabbrividisco al suo tocco dolce. Poi lui si stacca dalle mie labbra e inizia a baciarmi sul collo e lungo la spalla.
E finalmente riprendiamo quello che credevamo di aver concluso qualche ora prima.
---
"Hai mai assaggiato i Kanelbullar*?" gli chiedo in piedi davanti al bancone della cucina. Lui è seduto su uno sgabello e mi guarda divertito.
"I cosa?"
"I Kanelbullar!" il suo sguardo si trasforma in interrogativo e io ridacchio nervosamente.
"Sono dei dolcetti a forma di chiocciola alla cannella. Sono deliziosi" Mark mi guarda sorridente e io mi perdo nei suoi occhi blu. Sento una stretta allo stomaco che sicuramente non è dovuta dalla fame. No, certo che no.
"Va bene, assaggiamoli"
*
Venti minuti dopo siamo in un piccolo bar su un incrocio a Brooklyn. Non chiedetemi come, Mark conosce questa città a menadito.
Insomma dopo un paio viaggi in metropolitana siamo qui, in questo bar svedese che fa i migliori Kanelbullar che abbia mai mangiato. Nemmeno Julia sa farli così buoni.
"Sono deliziosi" sentenzio con la bocca piena. Mark ridacchia e si avvicina a me. Con il pollice mi pulisce il naso dallo zucchero e mi ci lascia un dolce bacio.
"Sì, lo ammetto, sono buonissimi" concorda prima di dare un ultimo sorso al suo caffè e poi torna a concentrarsi sulla strada rumorosa.
Chiudo gli occhi per poter fotografare questo momento. Io, lui, Brooklyn, il profumo del caffè che mi attanaglia i sensi e poi quella morsa allo stomaco che non mi vuole più abbandonare.
Solo quando riapro gli occhi mi rendo conto che il mio telefono sta squillando.
Anne.
"Pronto?"
"Ciao Emily" la sua voce è bassa e rauca come se avesse urlato. In quel momento vengo investita da una bruttissima sensazione. E' successo qualcosa di orribile, ne sono certa.
"Annie, Annie, cosa è successo?"
Silenzio.
Un singhiozzo represso.
"Torna a Londra, Emily. Ellen è" un pianto incontrollato che mi fa gelare il sangue nelle vene.
"Annie, cosa è successo ad Ellen?"
"Ellen è morta, Emily. Torna a Londra per favore" e cade la linea.
Non riesco a muovere neanche un muscolo. Rimango a fissare lo sfondo del mio telefono inerme. Non sento neanche Mark che mi passa la mano sulla spalla, non riesco a sentire la sua voce. Tutto è ovattato e confuso.
Ellen.
La simpatica Ellen: quella ragazza dagli occhi nocciola sempre sorridenti, quella ragazza che avevo giudicato troppo presto. Quella donna che era sempre disponibile.
Il primo amore di Zayn.
"Emily, stai bene?" Mark ha gli occhi lucidi dalla preoccupazione. Lo abbraccio stretto e affondo il viso nell'incavo del collo.
"Una mia amica è morta" sussurro e lui mi stringe ancora più forte. Vengo colpita dal suo forte profumo costoso e mi lascio inebriare da esso. Rimaniamo così per un tempo che non riesco a decifrare; i secondi ci scivolano addosso veloci e se ne vanno via ancora più veloci.
Poi, Mark si stacca e mi guarda dolcemente:
"Che cosa vuoi fare?"
"Ritorno a Londra"
*
Londra, due giorni dopo.
Zayn aprì le tende subito un ago di luce gli punse il volto. Era la prima volta che vedeva un poco di sole nella sua cupa Londra. Sorrise appena, compiacendosi di quella cosa rara e bellissima. Ma la felicità era destinata a durare poco: minacciose nubi scure si stavano avvicinando.
La pioggia sarebbe presto arrivata, lo sentiva.
Chiuse le tende e tornò alla scrivania. Era piena di fogli, matite e penne; l'ispirazione era tornata, finalmente. Era riuscito a scrivere già qualche brano, si sentiva meglio. Era tornato a vivere da sua madre, perché la sua vecchia casa l'aveva venduta per pagare i grossi debiti che aveva. Coi soldi avanzati aveva comprato una nuova chitarra e lavorava nel bed and breakfast di sua sorella. Aveva ricominciato da capo, come quando aveva diciassette anni e nessuno lo conosceva. Era ritornato a essere un signor nessuno e questo era perfetto per lui.
Un leggero ticchettio al vetro della finestra lo distrasse dalla canzone che stava scrivendo. La pioggia aveva iniziato a scendere veloce e improvvisamente la stanza era piombata in una penombra. Era saltata la luce in tutto l'appartamento. C'era un silenzio tombale e uno strano freddo.
A Zayn parve di essere finito in uno di quei terribili film horror che si era sempre rifiutato di vedere. Prese la pila che custodiva nel comodino e l'impermeabile, pronto ad affrontare la tormenta per rimettere la luce.
Ma non appena aprì la porta la vide.
Emily era difronte a lui, con i capelli e gli abiti zuppi per la pioggia, il trucco colato e gli occhi rossi come se avesse pianto per ore. Tremava copiosamente, scossa dal freddo e forte da un pianto incontrollabile.
"Ellen è morta"
La sua voce gli arrivò lontana e confusa. Emily gli aveva appena sganciato una bomba addosso e lui si sentiva le ginocchia cedere sotto il suo peso. Voleva correre, piangere, urlare, non lo sapeva neanche lui cosa voleva fare. Sentiva un grande vuoto farsi spazio dentro di lui.
Ellen.
Ellen, il suo primo amore.
Ellen, la cara e dolce Ellen.
La ragazza che sorrideva sempre, la ragazza dai capelli castani che profumavano sempre di vaniglia.
Ellen la ragazza che lo faceva sempre ridere.
Ellen se ne era andata.
E l'aveva lasciato solo.
Guardò Emily tentare di asciugarsi il viso con la manica zuppa del piumino e provò solo una grande pena per lei. Le si avvicinò e la strinse, bagnandosi il viso. Lei non ricambiò l'abbraccio, rimase con le braccia penzoloni e non accennava a nessun simbolo d'affetto. Zayn non sapeva perché l'aveva fatto, perché l'aveva abbracciata, ma credeva che avesse bisogno di qualcuno a cui appigliarsi.
O forse ne aveva bisogno lui.
Rimasero così per un tempo indefinito, finché lei si liberò da quell'abbraccio e lo fissò negli occhi.
"C'è il funerale stasera" se ne andò via veloce, verso la sua macchina, lasciandolo lì, in piedi davanti alla porta rossa, senza che avesse detto una parola e con il sapore della donna stampato sulle labbra.
----
I'm back!
Scusate se ritorno dopo un bel po' di tempo, ma scrivere questo capitolo è stato complicatissimo (non avevo molto tempo e se ne avevo non avevo voglia o ispirazione)
Comunque, ritorniamo a quello che succede:
Emily riflette nuovamente sulla sua posizione e su Mark che ci rivela la sua triste storia, ma il vero colpo di scena viene alla fine.
Ellen è morta, ma non si sa ancora perché (si scoprirà nel prossimo capitolo ;)) e c'è (finalmente) il ritorno di Zayn che dopo l'intervento si sta reinventando e sta preparando il suo ritorno sulle scene. E poi abbiamo una piccola scena tra i nostri protagonisti alla fine.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate passato delle buone feste (domani si ricomincia, sigh),
un bacione e alla prossima,
Claudia
STAI LEGGENDO
Hear my voice || Zayn Malik
FanfictionZayn ha appena trentasei anni quando perde tutto: la fidanzata, il successo, i soldi. E la sua cosa più preziosa: la voce. Sarà compito di Emily rimetterlo in sesto e farlo sentire nuovamente amato. Perché loro si sono amati, si amano e continuer...