13. Il furgoncino

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Sento la macchina che si avvicina.

È troppo tardi, chiudo gli occhi, ormai pronta all'impatto.

Mi sveglio di soprassalto alzandomi dal letto e cerco di riprendere il ritmo del respiro.

È stato solo uno stupido incubo.

È mattina presto, il sole non è ancora sorto.

Mi vesto con le prime cose che trovo e metto  in una busta i panni di ieri che porterò in lavanderia.

Ieri ho nascosto la borsa con i soldi e la lettera in modo che mio padre non possa trovarli e poi mi sono stesa sul letto senza mangiare.

Scendo al piano di sotto e apro qualche sportello cercando qualcosa CON olio di palma, dato che c'è tutta roba dietetica qua dentro.

Alla fine trovo delle barrette di cereali al cioccolato, ne prendo una.

Mi siedo sul bancone a isola e mi guardo intorno sgranocchiando la barretta.

La casa è rifinita nei minimi dettagli con un'arredamento moderno e tutte le tecnologie possibili.

Sospiro al pensiero della mamma.

Avrei bisogno di un suo abbraccio, ma d'altronde non si può.

Oggi Justin farà il riconoscimento e poi la cremeranno.

Ho intenzione di portare le ceneri con me. Non voglio abbandonarla nel cimitero di questa città dove non metterò mai più piede.

In questa periferia squallida dove sono cresciuta.

La vera Boston è diversa. Il centro, le luci, il traffico, i turisti, i negozi dove rubiamo, persino l'accento è diverso dalla periferia.

Ai turisti dovrebbero far vedere anche la parte malata delle grandi e belle città.

La serratura emette un rumore e poco dopo vedo entrare una donna con un maglione giallo scolorito che mi sorride "lei deve essere la dormigliona!" Dice scherzando.

Vedendo che non faccio una piega continua "Piacere! Io sono Vera, la donna delle pulizie" mi porge la mano sudaticcia e la stringo cercando di non fare smorfie di disgusto.

"Alison" dico con cordialità e pulendo la mano sui collant.

"Cosa vuole per colazione?" Mi chiede scrutando il mio abbigliamento, non consono per una ragazza dei quartieri ricchi.

"Ho già fatto colazione" la informo saltando giù dalla cucina "Ah, e Vera, dammi del tu, io non sono come loro" gli dico facendogli l'occhiolino.

Prima di voltare l'angolo vedo che annuisce sorridendo "Come vuoi" dice.

Salgo per prendere la mia grossa felpa nera che ha due grosse ali disegnate sul retro, è fantastica e calda.

Poi prendo un po' di soldi e dico a Vera che vado a scuola e che tornerò direttamente stasera dopocena perché mangerò da degli amici.

"Va bene, ma stai attenta" mi dice con un sorriso materno stampato sul volto.

Esco e raggiungo la prima fermata del bus per andare verso casa mia.

Aspetto per più di mezz'ora quando finalmente arriva il bus.

Mentre salgo vedo Bryan che sta uscendo dalle porte posteriori così lo chiamo ma il bus parte e non ho tempo di chiedergli cosa ci facesse qui.

Appena trovo posto sento il cellulare squillare, è lui.

"Ehi" dico.

"Vai da Justin?" Mi chiede con la voce affannata.

"Si" rispondo giocherellando con la cerniera dello zaino.

To risk  » Christopher McCroryDove le storie prendono vita. Scoprilo ora