Con le ultime spinte, forti e decise, arriviamo entrambi al culmine, io vengo dentro il preservativo e lei attorno. Sembra in estasi, ha il volto coperto da chili di trucco, sopracciglia disegnate, chili di quella roba nera sugli occhi, rossetto che le forma le labbra il triplo di quello che sono, septum, capelli biondo platino, nulla che io non abbia già visto, o che non mi sia già scopato. Geme, e in preda agli spasmi, cerca di assumere la tipica espressione da ragazza vissuta, che ne ha viste troppe e vuole solo divertirsi. Con non molta grazia, esco da lei e getto il preservativo per terra, il tutto sotto il suo sguardo incazzato. Sorvolo sulla cosa e facendo mente locale, con gli occhi cerco i vestiti e le mutande. Trovate le prime, sul pavimento, accanto al preservativo, trovo i pantaloni e le scarpe in un angolo abbastanza sudicio, e la maglietta su una sedia, alquanto inutile, considerando che 'sta stanza lercia serve solo per scopare.
«Dove vai?» chiede alzandosi, cercando di coprirsi con le mani. Ma sei seria? Ti ho appena scopata sul letto di una topaia di un ghetto, e tu ti preoccupi del fatto che non ti veda nuda?
«Volevi solo divertirti, no?» alzo un sopracciglio, e voltandomi verso la porta mi infilo la maglia.
«Sì, ma pensavo di piacerti..» davvero? Tipico.
«Non ti devo nulla, non voglio avere fra i coglioni una zavorra» sentenzio serio, non mi incastra. Apro la porta ed esco sbattendola pesantemente.Scendo al piano terra, faccio un cenno con il capo ad uno, batto il cinque a qualcun'altro, qualche spallata ed esco da 'sta catapecchia. Dopo aver attraversato l'atrio stracolmo di persone ubriache da far schifo e strafatte, il cortile non è da meno, a dir la verità, tutto il viale non è da meno. Villette che stanno su per miracolo, che ospitano ragazzini che neanche per miracolo stanno in piedi. Cammino lungo il viale per raggiungere la mia macchina, diversi ragazzini mi chiedono della droga, ma conciati come sono dubito che ne avrebbero bisogno, li ignoro beccandomi qualche insulto, che si sostituisce agli sguardi da cani bastonati, appena mi giro a guardarli. Mocciose dai 12 ai 20 anni mi si appiccicano come sanguisughe, ci sto un po' e poi me ne vado, ci rimangono di merda, ma non sono cazzi miei. A qualche macchina di distanza dalla mia, qualcuno mi piomba addosso. Neanche il tempo di pronunciare una parola che una chioma rosa pastello e castana, si ritrova per terra di fronte a me.
«Ehy, fratello, hai mai pensato ad un calmante?» chiede, massaggiandosi la chioma bicolore.
«E tu? Mai pensato che, forse, saltare addosso alla gente non sia poi tanto normale?» scoppia a ridere.
«Perché? Tu saresti normale?» chiede sfidandomi, ma sempre con il suo solito sorriso da bambino fra le nuvole.
Ignoro la sfida e gli porgo la mano per rialzarsi, fosse stato qualcun'altro, non se la sarebbe cavata solo volando per terra, ma Nathan, è Nathan. E nel suo essere un diciannovenne sfacciato, non si può reagire contro il suo animo da bimbo di 5 anni alle prese con delle caramelle.«Allora, dove stiamo andando?» chiede Nathan, sdraiato sui sedili posteriori dell'auto. Appena rialzato, avevamo deciso di andarci a fare un giro, e magari, bere anche qualcosa. Era da tanto che non lo vedevo, e sinceramente, pur non ricordandomi dove fosse stato per tutti questi mesi, ero curioso di sapere cosa fosse successo da renderlo così diverso. Per com'era pima, un cambio di colore di capelli così evidente, non l'avrebbe mai fatto.
«A bere, ovvio!» voltandomi, gli rivolgo un sorriso, uno di quelli che si fanno davvero poche volte in una giornata, o nella vita. Ma che cazzo sto pensando?
«E bravo Sherlock, in che locale stiamo andando?» alza gli occhi al cielo, mantenendo comunque il suo solito sorriso. «Sempre simpatico» sentenzio ironico. Mi guarda male e scoppio a ridere, con lui al mio seguito. Dopo qualche minuto in macchina, la fermo davanti a un locale trasandato, meno delle case del quartiere di prima, ma abbastanza trasandato, comunque. Scendiamo e dopo aver chiuso la macchina, entriamo nel locale. La puzza di grappa è quella che si sente di più, seguita subito dopo dall'odore di ganja. Una nebbia di fumo di sigari, sigarette, canne appesta tutto il locale. Le luci dei lampadari ricordano i fari nei giorni di maltempo, tanto è il fumo nella stanza. Ci accomodiamo al bancone, il barista è un uomo anziano, sulla sessantina, ordiniamo, io un bicchiere di Jack Daniel's, per iniziare, e Nathan della Vodka liscia. Inizialmente il vecchio, sembra titubante sull'età di Nathan, ma dopo che quest'ultimo gli sfoggia uno dei suoi sgargianti sorrisi, ci serve in breve tempo.
«Allora? Che hai combinato in tutto questo tempo?» gli chiedo dopo il primo sorso.
«Nulla di che, girato un po' in Europa..» con nonchalance, beve un sorso dal bicchiere e si guarda attorno.
«Nathan?» chiedo.
«Sì?»
«Stai morendo dalla voglia di parlare, avanti» lo incito rendendomi conto di quanto gli brillino gli occhi. Fa un sorriso a trentadue denti prima di scoppiare a ridere, come suo solito.
«Beh, durante tutto il viaggio per Londra, ero in preda ad un'ansia assurda, ma messo piede sull'asfalto delle strade londinesi, ed ispirato il forte odore di pioggia, mi sono calmato. Infondo, era come mi aspettassi. Nulla a cui non fossi preparato, le numerose cabine telefoniche, le villette a schiera, negozi e ristoranti di ogni tipo, tutto normale per una metropoli. Lo stesso è stato per Lisbona, Barcellona, Monaco, Parigi e Milano. Alberghi fantastici, cibo ottimo, negozi, visite guidate..» raccontando, fantasticava. «Ma una cosa mi ha davvero lasciato il segno..» la sue espressione diventa quasi malinconica, aspetto, in silenzio, che finisca di parlare «In un paesino, dalle parti della periferia di Milano, ho conosciuto una ragazzina.. Aveva 16 anni, vestiva strano, parlava lentamente e a bassa voce, quando parlava, sembrava nascondersi ovunque andasse, quasi tremava ad ogni passo..» si incupisce di botto e aspetto curiosamente, il continuo «mi ha insegnato molte cose» sorride amaramente «questi» prende una ciocca rosa in mano «sono opera sua» sfoggia un sorriso brillante, passando lo sguardo dapprima sulla ciocca, poi al mio volto.
«Perché ne parli al passato?» chiedo titubante.
«Ci ho passato insieme qualche pomeriggio, poi è scomparsa, nessuno sapeva nulla, come se non fosse mai esistita, per un attimo ho temuto di aver sognato tutto. Ma scommetto che sareste andati d'accordo..» pronuncia l'ultima frase con un lieve tono di sfida ed io scoppio a ridere.
«Sai che non vado d'accordo con le donne, figurati con una mocciosa» gli rido in faccia e la sua espressione si fa incredibilmente seria.
«Non insultarla» dice serio, non sembra nemmeno lui.
«Ok ok, stai calmo» smetto di ridere asciugandomi una lacrimuccia all'angolo dell'occhio destro, e finendo il secondo o terzo bicchiere di Jack Daniel's.Mi butto a peso morto sul letto, facendo sobbalzare il materasso e tutta la rete del letto. Tiro fuori il cellulare dalla tasca, lo accendo e numerose notifiche di whatsapp appaiono sulla schermata, le ignoro e vado sul lettore musicale, faccio partire la solita playlist notturna e spiaccico la faccia sul cuscino.
Il suono del citofono mi sveglia, alla terza volta, mi alzo e apro. Dopo qualche secondo mi ritrovo una chioma bionda e un paio di occhi azzuri, tendenti al bianco, davanti. Nei suoi 180 centimetri d'altezza, Edward entra in casa, seguito da due uomini poco più bassi di lui, muscolosi, tatuati, pieni di piercings, pelati, hanno l'aria fin troppo famigliare.
«Fratello» entrando, Edward mi da una pacca sulla spalla, invita i due uomini ad accomodarsi sul divano, passando mi fanno un cenno del capo e seguono il biondo. Mi accomodo affianco a Edward, che inizia a parlare poco dopo.
«Bene, questi uomini avrebbero un'idea alquanto interessante da proporre al nostro giro» la sua bocca si piega in un sorriso divertito.
«Sentiamo» mi butto con la schiena verso lo schienale del divano.
«Aleskei, da qualche anno, ha a che fare con un giro di.. Persone» inizia il primo accendendosi una sigaretta «e beh, ecco, vorrebbe che voi ne entraste a far parte.. Se capite che intendo» Edward non si scompone minimamente, ma so che ha capito, si gira a guardarmi con il sorriso di prima ancora stampato sul volto. Vedo numerosi pensieri volare velocemente nella mia testa, non mi fermo ad elaborarne nemmeno uno, la mia testa annuisce automaticamente e sul volto dei due uomini vedo formarsi un sorriso compiaciuto.
«Perfetto, informo immediatamente Aleskei» l'uomo che fin'ora non aveva ancora pronunciato una singola parola, si alza e si allontana con l'Iphone all'orecchio destro. Nel frattempo vedo Edward rollarsi una canna, nel tempo che il tipo impiega a parlare al telefono, Ed finisce la canna, io 3/4 sigari e l'altro uomo, una decina di sigarette.
«Domani sera vorrebbe incontrarvi» dice accomodandosi una seconda volta e riponendo il telefono nella tasca dei jeans. La sua espressione è rimasta la stessa di prima, sembra fatto di ferro. Io e Ed ci scambiamo uno sguardo che risponde per entrambi.
«Perfetto» dice allargando ancora di più il sorriso.La moretta che da ore si struscia sul mio pacco, si alza da me e se ne va appena Aleskei si siede difronte a noi. Tutte le ragazze che si erano accerchiate attorno a noi se ne vanno ad un suo semplice schioccare di dita, è incredibile il terrore che incute quest'uomo alla sua sola presenza. Si accomoda senza scomporsi minimamente e dopo aver ordinato da bere per tutti, si accende un sigaro. È alto qualche centimetro in meno di me, è molto pompato, capelli biondo cenere, occhi blu elettrico e un abbigliamento sempice, jeans e t-shirt chiunque non conoscesse, anche solo il suo nome, lo scambierebbe per un modello.
«Allora, come stai Jackson?» chiede, buttando il fumo, fuori dal naso.
«Non c'è male» mi accendo una sigaretta, continuandolo a guardare fisso negli occhi.
«Non pensavo avresti accettato, ti facevo più umano» sorride in segno di scherno, fottuto bastardo, quel poco che sa, gli basta.
«Un'asta umana? Mi sarei aspettato qualcosa di più "divertente" da te, mi deludi» reggo il suo stesso tono di sfida, se vuole la guerra, l'avrà.