Prologo

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Il cielo era un ammasso di nero e grigio

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Il cielo era un ammasso di nero e grigio. Enormi nuvole colme d'acqua si spostavano placidamente sopra la luna, oscurandone per qualche secondo il bagliore bianco che illuminava appena il bosco.
Noah alzò gli occhi verso l'alto, osservando l'immensità delle stelle, aspettando pazientemente quel cambiamento ciclico e puntuale.
La luna, come se avesse percepito il suo sguardo, iniziò a mutare, quasi espandendosi. I suoi contorni scuri divennero da prima scarlatti e poi purpurei.
Chiuse gli occhi, rimanendo in ascolto.
Sentì dei fruscii tra l'erba, il rumore di rami spezzati.
Un ululato in lontananza.
«Arriva» commentò con indifferenza.
Willow, ferma accanto a lui, portò le mani nella tasca dei jeans, dove afferrò un pacchetto di sigarette. Con calma ne estrasse una e, con altrettanta calma, l'accese. «Cazzo se sta arrivando!» replicò soffiando via il fumo. «Sembra un elefante in una cristalleria. Di certo non ha la classe di un vero licantro...»
La donna lasciò la frase in sospeso.
La creatura che stava facendo tutto quel fracasso era appena sbucata dal folto del bosco. Era riuscita ad arrivare prima del previsto. Li osservò da qualche metro di distanza, vibrante di eccitazione per essere riuscita a trovare delle prede, scossa da pesanti sbuffi che uscivano dal naso per poi condensarsi nell'aria.
I suoi occhi rossi come rubini erano quelli di un predatore pronto  ad attaccare, i denti a tenaglia erano armi perfette e micidiali.
«Sta ferma» ordinò Noah.
Willow deglutì con forza. «Questa volta ci ammazza» sibilò a denti stretti.
Seguì qualche secondo di silenzio in cui la bestia li fissò con insistenza, aspettando che reagissero.
Un gufo, poco lontano, si librò nell'aria.
Una lepre, sentendo la puzza di pericolo, scappò nella sua tana.
«Tesoro, sono io, Noah...» disse lui avvicinandosi con prudenza. Le mani in avanti per proteggersi, il corpo teso.
Noah sapeva che dentro quella creatura, dentro quell'essere fatto di muscoli e puro istinto, viveva la dolce e tenera Evelyn. La ragazza che lo aveva aspettato per anni sulla panchina, la ragazza che ogni mattina vedeva affianco a sé nel letto. Non era ancora abituato a quella trasformazione, preferiva pensarla come un essere innocente e puro. Ma, come aveva imparato sin da piccolo, ogni cosa che sfiorava diventava più oscura, ogni cosa che desiderava subiva dei cambiamenti inevitabili, così come era successo a Evelyn.
Quando fu abbastanza vicino, Noah cercò un contatto visivo.
La bestia ululò, facendolo vibrare.
«Scappa, Noah!» urlò Willow da lontano.
Lui non l'ascoltò, rimase immobile. Doveva imparare a comunicare con lei, doveva necessariamente creare un legame. Era difficile gestire un non- lupo, ma non aveva intenzione di gettare la spugna.
Occhi negli occhi con l'essere famelico, scorse per la prima volta una scintilla, un barlume di coscienza. Evelyn scosse l'enorme testa, ringhiando e sbuffando. Poi, concedendo un ultimo sguardo verso Noah, iniziò a correre nella direzione opposta.
«Ti ha riconosciuto?» chiese Willow raggiungendo il fratello.
«Credo di si...» disse sputando fuori un sospiro di sollievo. Si passò una mano tra i capelli corvini e poi osservò la sorella. «Sei nervosa per domani?»
«Io? No...»
Noah assunse un'espressione poca convinta. Era chiaro che stava mentendo, ma preferì non continuare. «Puoi tornare a casa, penserò io a Eve.»
Willow aspirò l'ultimo tiro di sigaretta, contemplando il bosco. «Mi starai vicino domani, vero?» chiese prima di girare i tacchi e tornare a letto.
«Puoi contarci, sorellina. Ci vediamo domani mattina.»


***


All'alba, quando il sole iniziò a spuntare a Est, inviando bagliori indaco nel cielo, Evelyn si accasciò a terra.
Noah l'aveva seguita per tutta la notte, rimanendo il più possibile sottovento per non farsi sentire. Si era comportata bene, aveva evitato le case e aveva mangiato un cervo.
Si avvicinò con calma, calpestando l'erba ricoperta da mille gocce di rugiada. La trovò svenuta e completamente nuda. Era bella anche in quel momento. La sua pelle diafana risplendeva alla luce del giorno, i seni, piccoli e sodi, lo fecero fremere.
Abbassandosi, la prese tra le braccia. La baciò sulle labbra dischiuse, assaporandone il calore. «Ti porto a casa» le sussurrò.
Evelyn gemette piano, frastornata e stanca. Aprì gli occhi per pochi secondi, annegando in quelli di lui, che la stavano scrutando con attenzione e tenerezza. Si abbandonò al suo abbraccio, ripiegando la testa all'indietro per poi farsi cullare da quella stretta familiare e rassicurante.



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