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let me occupy your mind as You do mine


Il mio non voleva essere nemmeno un tentativo.

Sapevo come sarebbe finita prima ancora di pensare di farlo.


Forse o quasi sicuramente il problema mi riguardava da vicino. Non sono mai stato un mostro a maneggiare discorsi più ingarbugliati di me – e ce ne sono davvero pochi – o a comunque destreggiare belle parole, velate di dolcezza o prive di malizia. E' che io l'inesperienza dei rapporti umani l'ho marchiata a fuoco nel sangue. Solo che a volte mi chiedo perché. Perché proprio io, perché proprio a me questa sciagura.

Al posto del cuore in me vorticava una voragine che pietrificava qualsiasi spiraglio melenso che potesse solo lontanamente somigliare a un'emozione. Non ne avevo colpa. L'apatia, la meccanicità, quasi, di sentimenti inesistenti mi aveva sempre caratterizzato. I medici dicevano che ero nato probabilmente nell'universo sbagliato, che potevo essere un fenomeno da baraccone con quel pezzo di ghiaccio assente al centro del petto, che l'aridità del mio io non avrebbe mai conosciuto la freschezza di un sentimento come quello dato dal legame. Perché, mio malgrado, avevano ragione, ero nato nel mondo sbagliato, un mondo che mi aveva etichettato difettoso, che non aveva visto nella mia diversità una ricchezza, nemmeno una minaccia, ma un elemento da altresì disprezzare ed emarginare.

I miei si preoccupavano costantemente per me sin da piccolo. Ero come affetto da una malattia per loro, per tutti, per il resto dell'intera comunità. Erano sempre sull'attenti perché sapevano, il mio corpo non avrebbe retto la potenza di qualsiasi emozione troppo forte. Conoscevo l'affetto di mia madre, conoscevo l'amore di mio padre, la fratellanza e la stima delle mie sorelle ed ero condannato a non assaporare sulla pelle il tocco dolce del legame, l'argomento per il quale i nostri maestri ci tartassavano costantemente a scuola, nelle attività predisposte, in ogni anfratto di vita quotidiana. Ero questo e nient'altro. Un omega difettoso senza possibilità di legarsi naturalmente ad un alpha. Ero niente. Mi ero sempre sentito niente. Una macchia nera su una tela perfettamente bianca e immacolata dove gli altri colori insipidi s'incastrano e si trovano. Ma quello che facevo era ripetermi che non era colpa mia. L'apatia doveva caratterizzarmi o non avrei più visto l'alba di un altro giorno. Ero forzato a non poter provare nulla che non fosse un'emozione da due soldi.


Il mio non voleva essere nemmeno un tentativo.

Sapevo come sarebbe finita prima ancora di pensare di farlo.


I miei unici amici erano altri omega, lo eravamo sin da quando ne avevo memoria, ragazzini di quartiere, pochi ma buoni. Eravamo tutti un po' strani a dir la verità: Antonio con quello strano vizio di rifiutare categoricamente le regole imposte dall'alto e che in tempo zero si sarebbe fatto marchiare anche dal più altezzoso degli alpha della zona, Leo che parlava quasi mai a dir il vero, non molto loquace e arreso ormai ad accettare il suo destino da omega e poi c'era Cecio, l'anima del gruppo che teneva uniti tutti quanti con quella sua innaturale felicità. Volevo loro bene ma non ho mai avuto molte occasioni per esternare a dovere questo pensiero, al solo pensiero si scatenavano altre fitte nel petto, avvisaglia che mi poneva sempre sulla difensiva, avevo una paura cieca di disintegrarmi per qualcosa del genere. E a lungo andare se il tuo stesso cuore, se il tuo stesso corpo, non ti permettono di essere semplicemente un normale essere umano fai di tutto anche tu per farne a meno. Sei costretto a farlo.

Ero rassegnato. Non avrei conosciuto i tormenti di questo fatidico legame, dell'ingiustizia, delle incomprensioni, dell'abbandono...più in là qualche medico, a chiare lettere, mi aveva comunicato che con l'avanzare degli anni il mio corpo avrebbe sopportato le fatiche del piacere corporeo e carnale. Ma cosa me ne facevo di un altro corpo , cosa potevo farmene del piacere momentaneo? Avrei vissuto dopo all'ombra di un sapore – forse dolce – momentaneo e destinato a svanire giorno dopo giorno dalla mia mente così come dal mio corpo. Avrei vissuto ancor di più a metà. E non volevo. La natura, secondo gli altri, mi aveva privato di qualcosa di grandioso. E in quel momento ero io a vincere la natura rifiutando il contentino che avrebbe voluto rifilare in una vita difettosa, creata male. Non volevo sentirmi più vuoto di quanto già non fossi in realtà. Un fantoccio, una bambola di pezza ricca all'esterno e vacua all'interno. Mi chiedevo a cosa esistesse un essere umano con un cuore spento in petto, non era forse meglio seppellirlo nei meandri di un cassetto remoto della mente? Così accadde.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 23, 2016 ⏰

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