COLPE

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Negli ultimi periodi a casa mia non si faceva altro che urlare e litigare.
Mia madre e mio padre non capivano cosa mi stesse succedendo, ero sempre arrabbiata, nervosa, non volevo parlare con nessuno e non volevo più andare a scuola.
Ero diventata indifferente a tutto.
Quando i miei cercavano di capire, mi facevano domande, io li trattavo malissimo.
Quella mattina mi alzai dal letto, aprii l'armadio pieno di vestiti buttati lì a caso, presi il maglione nero e i jeans larghi e mi vestii di fretta.
Andai in cucina mentre il resto della famiglia faceva colazione e guardando i miei genitori dissi sicura:
" Io non voglio più andare in quella scuola del cavolo, non potete obbligarmi."
Velocemente senza farli replicare aggiunsi:
"Voglio ritirarmi e non potete impedirmelo, è inutile continuare tanto verrò bocciata quest'anno."
Silenzio.
Mio padre mi guardava arreso.
"Se è questo quello che vuoi, stamattina andremo a scuola a parlare con il preside."
Non aggiunse altro.
Arrivammo a scuola io, mia madre e mio padre.
Ci dirigemmo verso l'ufficio del preside che ci accolse dopo pochi minuti.
Una volta dentro, mio padre cominciò a spiegare la situazione.
"Buongiorno preside, volevamo parlare con lei perché mia figlia, Camilla, si vuole ritirare da scuola." Disse fermo.
Il preside mi guardò con aria interrogativa.
"E perché ti vorresti ritirare? Mi ricordo di te sai, lo scorso anno so che hai avuto dei problemi, spero si siano risolti." Disse tranquillo.
Lo guardai e trattenni una smorfia.
"Non voglio più continuare, non riesco a studiare, mi sembra di vivere un incubo ogni giorno quando arrivo ed entro in quell'aula."
Abbassai lo sguardo e continuai:
"Non faccio altro che prendere brutti voti e anche se cerco di impegnarmi non ci riesco, credo che i professori ce l'abbiano con me e non credo sarò promossa quest'anno."
Il preside mi guardava, si prese il mento tra pollice e indice e disse:
"Sei all'ultimo anno, è un peccato buttare via tutto. Facciamo così, io parlo con i professori e gli dico di interrogarti per farti recuperare i brutti voti, tu però ti devi impegnare.
Vedrai che ce la fai anche quest'anno." Mi sorrise.
Mi sentii in trappola.
Ebbi l'impressione che i miei genitori non mi avessero accompagnata li per appoggiare la mia decisione, ma erano d'accordo con il preside.
Pensavano che trovandomi lì, ascoltando le sue rassicurazioni e le sue soluzioni avrei cambiato idea.
Cominciai a piangere dal nervoso.
"No! Non voglio più venire in questa scuola!" Dissi singhiozzando.
"Provaci. Cerca di recuperare qualche materia se poi vedi che non ci riesci allora ti ritirerai."
Cercò ancora di convincermi.
"Signori voi andatele a prendere lo zaino, io parlo con la professoressa di italiano e le spiego la situazione."
Il preside si rivolse ai miei genitori, aveva già deciso.
"Vieni Camilla, ti accompagno in classe." Mi fece un cenno con la mano.
A testa bassa dovetti tornare dai miei compagni, mi avevano fregato.
Ero arrabbiata e mi sentivo presa in giro.
Presi il cellulare dalla tasca dello zaino e inviai un messaggio a mio padre:
"Vaffanculo!"
Messaggio inviato.
La lezione era finita, tornai a casa furiosa annunciando a mia madre che non avrei pranzato quel giorno e me ne andai di corsa in camera mia.
"Oi vieni da me più tardi?" Scrissi alla mia amica Laura.
Vibrazione.
"Kiiiim! Oggi non posso, devo studiare per il compito di scienze! Ci sentiamo più tardi. Bacio"
Laura se la cavava bene a scuola, aveva ottimi voti anche se non era una di quelle secchione che passavano i pomeriggi interi a casa a studiare.
Non era come me, io ero un disastro.
Vibrazione.
"Hola! Stasera siamo da Marco, vieni a vedere un film con noi?"
Era Carlo.
Mi invitavano spesso a stare con loro lui, Marco e Michele anche se non c'era Laura ed ero l'unica ragazza.
Mi era sempre piaciuto stare insieme ai maschi, a volte mi sentivo più a mio agio con loro che con le ragazze.
Da piccola giocavo spesso con mio fratello Christian e i suoi amichetti.
Mi piaceva fare i giochi da maschio, giocare a calcio e prendere in giro le altre femmine.
"Presente! Ci vediamo dopo."
Messaggio inviato.
La pancia cominciò a brontolare, non avevo pranzato.
Andai in cucina ed aprii la credenza.
Fissai qualche minuto il cibo che vi era all'interno.
Presi il pancarrè e cominciai a spalmare la salsa tonnata, quanto mi piaceva.
Feci 2 panini, presi un buondì al cioccolato e un pacchetto di gocciole e me ne tornai con il bottino in camera mia.
Diedi un morso al panino e pensai a quanto tempo era passato dall'ultima volta che ne avevo mangiato uno.
Divorai il primo, poi il secondo.
Aprii il sacchetto di plastica della merendina al cioccolato e vi annusai dentro.
Divorai quella e anche se ero piena cominciai anche con i biscotti.
Poi presi la bottiglia d'acqua che tenevo sempre sul comodino e ne mandai giù a grandi sorsi.
Appoggiai la bottiglia e avvertii un gran senso di nausea.
Avevo esagerato.
Andai in bagno e mi svuotai di tutto il cibo che avevo appena ingurgitato.
Mentre sentivo le mani tremare, mi sedetti sul letto e mi resi conto di esserci ricascata di nuovo.
Scoppiai a piangere, ultimamente lo facevo spesso.
Sentivo un peso allo stomaco come fosse un macigno e non riuscivo a respirare.
Mi sembrava che il mondo intero ce l'avesse con me.
Me ne capitava una dietro l'altra, forse la colpa era la mia.
Cercavo di trovare la soluzione a un problema e subito ne arrivavano altri due.
Provai forte rabbia e dolore verso me stessa.
Continuavo a piangere disperata senza riuscire a smettere.
Ero da sola in camera mia.
Mio padre era al lavoro, mia madre ai colloqui di mio fratello insieme a Giulia,Vero era uscita con il suo nuovo ragazzo e Christian con i suoi amici.
Giravo per la camera piangendo e con la voglia di farmi del male.
Non so cosa scattò in quel momento nella mia testa, vidi che sulla scrivania vi erano i vetri appuntiti e taglienti di una cornice che si era rotta pochi giorni prima.
Ne presi uno, alzai la manica del maglione ed affondai la lama dentro al mio braccio.
Rimasi ferma per qualche secondo, poi tirai una linea giù fino al polso.
Ripresi a piangere di nuovo, vedevo il sangue che scorreva dalla ferita e avvertii un forte bruciore.
Mi faceva male ed io ero soddisfatta, ora mi sentivo meno in colpa.
Andai in bagno e staccai qualche pezzo dal rotolo della carta igienica.
Cominciai a tamponare sulla ferita che mi bruciava da morire, il sangue continuava a uscire.
In quell'instante tornai in me, mi resi conto di ciò che avevo appena fatto e spaventata promisi a me stessa che non sarebbe mai più successa una cosa simile.
Lasciai la carta premuta sulla ferita e ritirai giù la manica del maglione.
Quella sera Vero mi accompagnò a casa di Marco.
"Non posso venirti a prendere dopo, esco con Manuel!"
Mia sorella ormai si era fidanzata, era innamorata persa.
"Tranquilla me la sbrigo io, grazie." Le sorrisi e sbattei lo sportello dell'auto.
Il film che avevano scelto di vedere quella sera i miei amici era Rocky Balboa, un film da maschi con Sylvester Stallone.
Pugni, calci, sangue sul ring.
Non mi piacevano affatto quei generi di film, ma pazientai per non sembrare la solita femminuccia rompiscatole e alla fine del film mi ero anche un po' appassionata alla storia.
Eravamo seduti sul divano di casa di Marco, in salotto.
Le luci spente e il mega televisiore a schermo piatto.
Guardai in silenzio i miei amici che erano presissimi dal film.
Li fissai uno ad uno.
La ferita che avevo sul braccio, nascosto sotto al maglione di lana, bruciava ancora.
Passavano i titoli di coda, il film era finito.
"Qualcuno mi porta a casa?" Chiesi sorridendo.
"Se vuoi ti porto io sono in moto."
Carlo si candidò.
"Ma non ho il casco e poi, non so mica se mi fido." Scoppiai a ridere.
"Stai forse dubitando di me?" Fece una smorfia e continuò:
"Io e la mia moto siamo una cosa sola! Marco prestale un casco, domani te lo riporto!" Si girò verso il suo amico.
Ci infilammo i caschi e salimmo sulla due ruote.
Pensai che era una figata andare in moto, veloci e leggeri, i capelli al vento e l'aria fresca sul viso, anche se Carlo andava un po' troppo veloce per i miei gusti.
Era la prima volta che ci trovavamo da soli io e lui senza gli altri.
Arrivammo davanti casa mia, scesi impacciata dalla moto, tolsi il casco e provai un leggero imbarazzo di chi non sa cosa dire.
Feci finta di mettermi apposto i capelli arruffati a causa del vento, mi girai per guardare verso casa mia, poi guardai Carlo.
"Mmm...vai un po' troppo veloce con questa moto!" Dissi prendendolo in giro.
Carlo aveva una cascata di capelli ricci castano chiaro e gli occhi verdi.
Era alto e aveva un bel fisico da sportivo.
Era un ragazzo simpatico e dolce, a volte buffo ma sapeva anche essere stronzo se voleva.
Gli piaceva punzecchiare e prendere in giro per sdrammatizzare l'imbarazzo.
"Ma va, se ho anche cercato di andare piano perché c'eri tu dietro!" Rispose facendo un gesto con la mano.
Ridemmo.
"Grazie allora, buonanotte." Lo salutai e mi avviai verso la porta di casa.

2 dicembre
Non riesco a dormire.
Domani la prof di diritto mi interrogherà sotto ordine del preside, per recuperare l'insufficienza.
Oggi ho provato a studiare e anche se non so proprio tutto, credo che me la caverò.
Ho accettato la proposta del preside di cercare di recuperare le materie insufficienti, non lo faccio per me perché non me ne frega niente.
Lo faccio perché voglio dimostrare ai prof che non sono così stupida come pensano loro.
Oggi ho scambiato qualche sms con Edoardo.
Lui non è soltanto un amico di Luca ma è anche amico mio, come lo sono gli altri della comitiva solo che non posso più uscire con loro altrimenti mi troverei sempre Luca di mezzo e questo non va bene.
Edo mi ha raccontato che Luca si è finalmente fidanzato e che con Alessandra, così si chiama la tipa, sono davvero una bella coppia.
Ma vaffanculo.
Vado a dormire, vaffanculo a Luca, Alessandra e vaffanculo a tutti!

DIETRO LE QUINTE DI UN MONDO PERFETTODove le storie prendono vita. Scoprilo ora