Le parti di Samantha

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Non mi sono mai piaciute le donne magre. Odio tutto di loro, tranne quelle vene sul collo del piede, che spuntano quando hanno passato i trenta.

Io avevo preso una birra, lei un cocktail. Due universi paralleli. Di quelli che s'incontrano solo se tu sei un impiegato, bisognoso di happy hour e lei è l'amica logorroica di Michele, il collega che ha offerto i drink.

«Lei abita dalle tue parti». Aveva detto Michele con l'espressione di un Inuit che guarda una mappa della Nuova Caledonia.
Io ridevo e fissavo la fetta di limone annegare dentro la mia birra.

«La fetta di limone la devi sempre immergere nella birra». Diceva mio padre, mentre sbottonava la divisa, bevendo una Corona fredda, prima di mettermi a letto.
Guardo questa donna magra e penso alle donne tutt'ossa e gioielli, che da bambino guardavo sfilare con orrore,  mentre rientravano dalla spiaggia.
Mio padre portava quelle valige da qualche migliaio di dollari, giù dai suv di turisti americani e mi diceva di aspettare, seduto sui divani rivestiti, nella reception dell'Hotel Baltimora.
Fisso questa donna e penso al segno del costume sulle schiene delle turiste.
«Perché non riescono mai a prendere il sole su tutta la pelle?». Mi domandavo sempre.

Un colpo di fulmine, avete presente cos'è?
Non ragioni. Pensi solo a tuo padre e alla sua voce, che suona ancora giovane.
«Adesso non ti piacciono, ma un giorno" - Diceva. - Un giorno ne vedrai una, da avere il capogiro. E il tuo cervello farà come questa fetta di limone nel bicchiere. Quel giorno mi offrirai una birra, bella fredda».

«Marcello, mi senti?»
Aveva detto Samantha, con l'H prima della A. E io fissavo i suoi capelli e continuavo a ridere di me stesso, perché dopo il nostro aperitivo a tre non avevo più detto una parola.
Mentre Michele saltava sul treno regionale per Lecco, Samantha si era girata verso di me e aveva detto solo tre parole. «Prendiamo lo stesso.»
Solo quando siamo obbligati, avevo pensato.

«Sì ti sento, scusa». Avevo detto, riportando i miei occhi dentro i suoi.
Così Samantha attaccava di nuovo a parlare, con quelle labbra porpora e quei piedi magri.
«E allora io le ho detto, lascialo uno così. Non ti merita».

É stato allora che ho deciso.
Mentre la scritta luminosa treno ad alta frequentazione ci sorprendeva, soli, nello scompartimento.
È stato allora che ho portato le mie labbra nella hall della sua bocca, come faceva mio padre con le valige delle turiste americane.
È stato un attimo.
Appena prima che la sua lingua le si appiccicasse al palato, per la paura. E appena dopo che il suo sorriso rivelasse il piccolo incisivo scheggiato.
È stato caldo.
E non credevo di volerlo fare, anzi avevo giurato a me stesso che non l'avrei fatto.
Lei era stata gentile: si era limitata a sopportare che la mia bocca fosse portata alla sua, come un beauty-case nella stanza 118. Era rimasta lì, in silenzio, ad aspettare che il facchino invadente tornasse in ascensore.

Mio padre prendeva le mance sempre prima di portare in camera l'ultima valigia. «"Devi scegliere la più piccola." diceva "Più è piccola la valigia che lasci per ultima, più grande sarà la mancia. Perché penseranno questa sì che me la potevo portare da solo."»
Ma oggi per me niente mancia, papà.
In compenso ero stato ripagato con un bel sacchetto di indifferenza.

Samantha si era pulita le labbra con il dito curato e aveva ficcato le mani nella borsa di pelle di struzzo. Aveva frugato per un po' e aveva tirato fuori una di quelle agende scamosciate, con l'aria di una che stava per dire "mi dispiace, ho un buco libero per te solo nel 2060, andrebbe bene?"
Invece mugugnava i suoi appuntamenti. E io, ogni volta che "venerdì alle 15 - devitalizzazione", sentivo male alla pancia. Tipo una katana che si infila nelle budella.

Il tempo doveva essersi fermato, ma il treno non smetteva di correre. Sapeva dove andare, di sicuro più di me. E sapeva meglio di me anche dove fermarsi.
«Questa é la mia fermata, devo scendere».
Aveva detto Samantha, rompendo il nostro reciproco imbarazzo, più o meno a metà del viaggio.
Ma non è delle mie parti Samantha?
No no, proprio della stessa città.
Le porte del vagone si erano chiuse ed ero rimasto solo, con un po' di rossetto sul labbro superiore, nello scompartimento del treno ad alta frequentazione. Un piccolo convoglio che si fermava ogni 6 chilometri. Anche nei paesi dimenticati da nostro signore.

Papà, ti devo una birra.

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