Untitled part

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"Merlin? No, tesoro, è solo un personaggio di fantasia. Naturalmente, re Arthur c'era nella realtà, ma il mago no. Ahimè, la magia non esiste, caro". La donna arruffò affettuosamente i capelli del figlio con un sorriso vagamente triste.

"Ma mamma, il mago non poteva mica apparire dal nulla nelle leggende di re Arthur, qualcosa sotto ci sarà stato di sicuro..." obiettò il ragazzo non volendo arrendersi.

"Sai, credo che il re avesse avuto un consigliere molto saggio, così saggio, che agli occhi della gente appariva come uno stregone. E forse aveva una passione sfrenata per i cappelli a punta. Un menestrello della corte avrà composto un paio di canzoni su di lui... ed ecco nascere una leggenda!"

Arrivò il loro autobus, e madre e figlio partirono, lasciando Arthur alla fermata da solo. O quasi da solo, insomma.

Sull'altra estremità della panchina c'era seduto un ragazzo moro, arruffato come un passero infreddolito. La somiglianza con un passerotto era dovuta anche al suo piumino davvero voluminoso, che faceva sembrare il ragazzo cinque volte più grosso di quello che era in realtà, e invece giudicando dalla porzione del collo che sbucava da sotto il colletto e dalle gambe fasciate nei jeans consumati, si poteva dire con certezza che il loro padrone fosse piuttosto magro. Quando Arthur era arrivato alla fermata, il ragazzo era già seduto lì, chino su se stesso, sembrava assopito.

Arthur aggrottò la fronte e si voltò per vedere, se il suo autobus stesse arrivando, rischiava fare tardi al lavoro. L'autobus non si vedeva e lo sguardo di Arthur, come attirato da una calamita tornò di nuovo a fissare il ragazzo sull'altro lato della panchina. C'era qualcosa di vagamente familiare in lui, e questo infastidiva Arthur mettendolo in uno stato d'ansia, come succede quando una parola ti pizzica letteralmente la punta della lingua, ma per quanto ci provi, non riesci a ricordartela. La cosa ti fa impazzire, diventa un'ossessione, e fino a quando non ti verrà in mente quella parola, non troverai la pace – tutti conosciamo questa sensazione, non è vero?

All'improvviso da dietro l'angolo spuntò un Harley, e «passerotto», come tra sé e sé l'aveva battezzato Arthur, trasalì e sollevò la testa, aprendo appena gli occhi. Cosa? Per un attimo Arthur ebbe l'impressione di aver intravvisto della luce dorata sotto le ciglia del ragazzo... si era sicuramente sbagliato. Comunque non gli fu possibile verificarlo, perché non appena il ragazzone sulla moto proseguì, senza rallentare, per la propria strada, il giovane di nuovo chiuse gli occhi, abbandonando la testa sul petto. A quel punto arrivò finalmente il bus di Arthur, e lui si alzò malvolentieri, voltandosi, senza nemmeno sapere perché, verso lo sconosciuto. No, a quanto pare, lui non aveva intenzione di salire. Arthur partì con una strana sensazione di rimpianto, come se si fosse lasciato sfuggire qualcosa di importante.

"Vuoi un passaggio a casa?" Merlin udì la voce dolorosamente famigliare. Sì, quando cammini con qualcuno, fianco a fianco, attraverso i secoli, per forza la sua voce ti si insinua sotto la corteccia del cervello.

"Sopra quel tuo mostro? No, grazie. Me ne sto ancora un po' qui e poi vengo su a piedi", rispose, alzando lo sguardo sfinito sul ragazzo magro e biondo fino all'inverosimile.

"Non devi lasciarti andare, lo sai, vero?" lesse nel suo cuore l'amico.

"Mi manca troppo, sempre di più, non ne hai idea!" confessò senza nemmeno provare a far finta di niente.

"E perché secondo te non dovrei averne idea?" chiese Aithusa con fare offeso, muovendo le spalle a disagio.

"Ti mancano le ali?" chiese Merlin sentendosi ora uno stronzo insensibile.

"Certo che mi mancano, mai quanto sputare il fuoco però, certa gente... Ma non è solo questo. Tutti e due abbiamo perso qualcuno, solo che tu hai la certezza di ritrovarlo un giorno. Devi pazientare, tutto qua"

Ricordati di noi.Where stories live. Discover now