Erano le sei del mattino ed io, come al mio solito, ero seduta su una panchina con un libro stretto tra le mani e un paio di auricolari sbattuti nelle orecchie.
La neve scendeva fitta e il paesaggio era tutto imbiancato, silenzioso e vuoto. Un po' come la mia testa, oserei dire: vuota, bianca, silenziosa, leggera.
Non avevo pensieri, o forse sì, ma li avevo riposti nell'angolo più remoto della mia testa in un cassetto di cui avevo gettato la chiave.
A volte per sopravvivere bisogna fare così: spegnere i pensieri, chiudere gli occhi e contare fino a dieci. Per poi prendere un respiro profondo e riaprire gli occhi: la testa diventa più leggera, il cuore riprende un battito regolare e tu stai bene.
Una leggera folata di vento mi portò i capelli sul viso, delicatamente e, con altrettanta delicatezza, io li riportai al proprio posto.
Posai il mio sguardo sul libro che avevo tra le mani: vecchio, sbiadito, un po' stropicciato, ma vivo.
Quel libro mi aveva sempre ricordato lui, per qualche strano motivo. Mi aveva sempre portato alla mente ricordi che avrei voluto dimenticare.
Ma in fondo è così, è sempre così, dimentichiamo ciò che vogliamo ricordare e ricordiamo ciò che vogliamo dimenticare.
Spesso chiudere a chiave un cassetto non basta per dimenticare, forse quel cassetto lo si dovrebbe buttare in acqua sperando che affondi, ma resterà sempre a galla, perché dimenticare non è mai facile.
A volte, ricordare è più semplice, ma fa più male.
Ed è a quel punto che apri gli occhi e ti guardi intorno, sperando di scrutare qualcuno che però non arriverà mai.
E quel mattino, sotto quella fredda, gelida neve che cadeva sulla mia testa, mi alzai dalla panchina ammettendo finalmente a me stessa che lui non sarebbe mai arrivato, e che avrei dovuto smetterla di aspettarlo lì, tutte le mattine alle sei in un punto, perché lui non c'era più, e non ci sarebbe più stato.
Alzai lo sguardo al cielo, con le lacrime agli occhi, per poi riportarlo avanti a me, sui binari.
Aveva avuto inizio tutto così: con uno sguardo.
Mi guardai un'ultima volta intorno e poi posai lo sguardo verso il basso.
Vidi una rosa, rossa e appassita, secca.
Accanto ad essa vi era una lettera.
Le raccolsi entrambe, per prima la rosa.
Mi presi un minuto per osservarla bene: era di un rosso particolare, un rosso morto, ricca di spine e secca, sul punto di morire.
Mi ricordava lui, il suo essere così dannatamente bello ma morto dentro, un po' come quella rosa.
Toccai una di quelle spine e sentii un lieve fastidio al dito, poi vidi una goccia di sangue cadere al suolo, macchiando un po' di quella neve bianca.
Non me ne curai e mi rigirai la lettera tra le mani dopo aver poggiato la rosa sulla panchina innevata.
Presi un piccolo respiro e iniziai a leggere quanto vi era scritto.
Era una scrittura familiare, un po' sbiadita e abbastanza tremolante, ero sicura che la persona che l'avesse scritta fosse insicura delle sue parole.
Il foglio era leggermente stropicciato e un po' bagnato a causa della fredda neve.
Mi risedetti sulla panchina e mi concentrai unicamente sulle parole presenti su quel foglio."Ti avevo promesso che ci sarei stato per te, ti avevo promesso che ti avrei protetto a tutti i costi, ti avevo promesso tante, troppe cose che non sono riuscito a mantenere.
Avevo promesso di sposarti all'alba, al mare, solo io e te.
Avevo promesso di portarti a Parigi, di farti visitare Londra, di farti vedere tutto ciò che avevi sempre sognato.
Ti avevo promesso che ti avrei portato anche la Luna, se solo tu me l'avessi chiesto.
Ti avevo promesso che avremmo fatto l'amore sotto la luce delle stelle, che ti avrei fatta felice, che avrei fatto il possibile per te, per noi.
Ti avevo promesso tantissime cose.
Ti avevo promesso una vita solo io e te.
Ma da quassù non potrò mantenere nessuna di queste promesse.
Ma una promessa voglio fartela: mi impegnerò a proteggerti a tutti i costi, da quassù ti proteggerò e sarò al tuo fianco, sempre, anche se tu non potrai vedermi.
Sarò il tuo angelo custode, da quassù.
Te lo prometto.
Ti amo mio piccolo angelo.
Per sempre tuo, B."Sorrisi tra le lacrime, incredula nel leggere quelle parole, le sue parole.
Ricordo ancora i suoi occhi verdi, il suo essere così dannatamente alto, i suoi capelli che ormai avevano vita propria.
Lui sorrideva sempre dicendomi che un giorno avrebbe imparato a domarli.
Ricordo le sue grandi mani e quel piccolo anellino che aveva al naso.
Ricordo le sue larghe spalle e tutti i suoi tatuaggi.
Ricordo ogni sfumatura di lui e dei suoi occhi.
Sorrisi, felice del fatto che forse lui c'era, in qualche angolo nascosto del paradiso lui era lì, a proteggermi.
STAI LEGGENDO
6 a.m. ||One Shot su Lettera||
FanfictionMi guardai un'ultima volta intorno e poi posai lo sguardo verso il basso. Vidi una rosa, rossa e appassita, secca. Accanto ad essa vi era una lettera. Le raccolsi entrambe, per prima la rosa. Mi presi un minuto per osservarla bene: era di un rosso p...