Capitolo 17

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Guardo Peter, mentre siamo seduti al tavolo di un ristorante di lusso, i suoi genitori sono seduti di fronte a noi e ci sorridono. Mi chiedo come riesca a fingere così bene, come riesca a fingere di amarmi così bene che ci credevo per fino io, che sapevo che stava fingendo. I suoi genitori ci credevano, si notava, ed anche se non ci credevano, vedendo il loro figlio felice non chiedevano altro. E Peter sembrava felice, sereno ed innamorato. Io d'altro canto ero in ansia, non sapevo come parlare coi suoi genitori o di cosa parlare e quando mi facevano delle domande non sapevo come rispondere, e doveva sempre intervenire Peter, secondo me iniziavano a sospettare. Poi non sapevo come trattare Peter, come chiamarlo "Amore?" era difficile dire quella parola "Tesoro?" non era una parola così unica "Piccolo?" non era piccolo, era un gigante "Orsacchiotto?" non eravamo due bambini. Quindi mi limitavo a chiamarlo Peter, a sorridergli sempre e sperare che i suoi genitori non capissero che mi sentivo un pesce fuor d'acqua. Poi mi ero accorta che la madre di Peter si rivolgeva al marito chiamandolo "Caro" così avevo preso a chiamarlo anche io così, ed in tutto questo trambusto, nessuno si era accorto di niente. -Noi pensiamo di andare a trovare Euge, voi tornate pure a casa, ci troviamo alle 19 e 30 al ristorante- ci salutarono i genitori di Peter, appena fummo usciti dal ristorante. Peter si offrì di accompagnarli, ma loro rifiutarono l'offerta, dicevano che era un bene che passassimo del tempo da soli. A me sarebbe piaciuto molto passare del tempo da sola con Peter, ma lui non sembrava dell'umore. Appena entrammo in macchina il sorriso sparì dal suo volto, il suo sguardo si indurì e si fece distante. Non parlò per tutto il viaggio e quando arrivammo a casa non mi aprì la portiera come aveva fatto poche ore prima. -Peter, tutto ok?- gli domandai appena entrammo in casa, lui mi lanciò uno sguardo, poi lo distolse e mi rispose sedendosi sul divano -Si, Mariana, perfettamente- non mi aveva mai chiamata col mio nome completo e quando aveva parlato la sua voce era stata distante e fredda. Mi sedetti accanto a lui, e lui si spostò per fare in modo che nessuna parte di noi si toccasse. Provai di nuovo ad avvicinarmi e lui si alzò e si sedette sulla poltrona lì a fianco, col corpo a pochi centimetri, ma con la mente distante un migliaio di miglia. -Peter, per favore dimmi che succede- lo implorai. Lui scosse la testa -Provo a vedere la partita- disse semplicemente, alzando il volume della televisione. -Ho detto qualcosa che non dovevo?- gli domandai. -Mi hai chiamato caro- rispose, come se fosse la risposta più chiara del mondo. Alzai un sopracciglio sorpresa -E allora? Anche tua madre chiama così tuo padre, non ci vedo nulla di male- dissi. Lui spese la televisione e posò il telecomando sul tavolino. Strinse i pugni, era furibondo, con me, ed io non capivo il perché. -Nulla di sbagliato? Tu non lo capisci il significato di quella parola? Si chiama così una persona a cui vuoi bene, a cui tieni, non si da a tutti- sbraitò. Lo guardai stupita, se l'era presa per quella sciocchezza? Mi sembrava strano, era una persona così calma e razionale. -Avresti preferito che ti chiamassi "Amore"?- gli domandai alzando anche io un po' la voce. -No- urlò. -avrei preferito mi chiamassi Peter- feci cenno di si con la testa e stavo per ribattere, ma lui vinse sul tempo. -Sei una persona molto falsa, non lo credevo, pensavo fossi diversa. Mi sono sbagliato, come sempre. Un giorno mi dici che non vuoi che sia nulla fra di noi, che pensi che sia meglio così, ed il giorno dopo mi tratti come se fossi la persona più importante per te, mi prepari la cena, mi baci, ti vesti in un modo molto sexy e poi mi dici che ti da fastidio dormire con me. Io odio le persone false, odio chi mente. Ed anche se mi stavo innamorando di te, non so per quale assurdo motivo, perché ora se tu guardo mi provochi solo rabbia, io non voglio che tu mi parli con amore, non voglio che mi tocchi il braccio, non voglio che dormi nel mio letto, non voglio starti accanto. Per favore, smettila, mi stai facendo impazzire- e si alzò dal divano, lo sguardo triste e velato di lacrime, lacrime che non avrebbe pianto di fronte a me, infatti si stava dirigendo in camera sua. -Mi hai detto tu di fingere di amarti- gli ricordai, alzandomi dal divano per seguirlo, lui non si girò -Solo quando c'erano i miei, e non credevo mi avrebbe fatto tanto male- disse. -Quindi intendi rivelargli tutto?- gli chiesi. Lui scosse la testa -No, ma quando se ne andranno, tu tornerai nel tuo appartamento, parleremo tramite telefonate brevi o avvocati, manca molto alla fine dell'anno, ma io non intendo vivere con te ancora per molto- lo guardai tornare in camera sua ed il mio cuore si spezzò quando lui chiuse la porta. Caddi a terra e piansi, perché avevo capito di amarlo, ed ora lo avevo perso, per sempre, lui mi odiava, ed io non potevo fare niente.  

Ti amerò per sempre. LaliterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora