Capitolo 1

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La folla spingeva animatamente per scorgere da lontano i soldati in arrivo. Tutti volevano vedere se i loro cari erano di ritorno a casa oppure o no. Chissà chi avrebbe festeggiato quella notte e chissà chi avrebbe pianto? Tanto andava sempre così. Che la battaglia fosse vinta o persa non importava a nessuno, in realtà. La vera festa era solo riavere il proprio marito o figlio a casa.

Ivan si fece spazio tra due donne che guardavano l'orizzonte disperate. Anche lui si mise a guardare le terre lontane oltre le mura. Non aveva sue notizie da sei mesi, da quando era partito per raggiungere l'esercito in guerra. Da allora, ogni giorno aveva pregato gli Dei che lo salvassero, che lo riportassero a casa da lui. Chissà se lo avevano ascoltato? Chissà se avevano esaudito le sue preghiere? Lui diceva sempre che in realtà gli Dei non aiutavano mai gli esseri umani ma Ivan non ci credeva. Secondo lui gli Dei esaudivano sempre le preghiere dei loro più fedeli servitori.

Il suono di un corno lo destò dai suoi pensieri riportandolo alla realtà. Li vedeva. I primi soldati stavano tornando in città e mano a mano tutto l'esercito apparve dietro di loro. Migliaia di giovani con l'aspetto distrutto avanzavano verso la loro casa. Alcuni di loro avevano la testa coperta di sangue, altri delle brutte cicatrici e a molti di loro mancavano delle parti del corpo.

Ivan notò che i generali, che erano davanti a tutti, sorridevano. La guerra era il loro lavoro. Un po' di morti e amputati non facevano effetto sulla loro durezza d'animo. Lui si era sempre chiesto come facessero a sopportare quelle immagini nella loro mente ma evidentemente le trovavano divertenti.

Degli schiamazzi femminili si alzarono dietro di lui. Erano urla di gioia. Qualcuno era tornato a casa. Ecco che la festa iniziava.

Subito dopo iniziarono dei pianti. Era una delle signore che aveva superato. Guardava un uomo sulla quarantina in mezzo all'esercito che le faceva cenno di no. Il suo amato figlio non era tornato da Avanelle. Qualche ora dopo un generale sarebbe andato a casa sua e le avrebbe detto che suo figlio si era battuto bene e che era un eroe. Funzionava sempre così. A lui era successo poco tempo prima e quel discorso così misero e finto sarebbe rimasto per sempre impresso nella sua memoria.

Gli urli e i pianti incominciarono a diventare sempre più grandi man mano che i soldati entravano dentro le forti mura. Ogni volta che sentiva uno schiamazzo, Ivan si metteva sulle punte e cercava di scorgere tutti i visi alzando il suo piccolo collo. E poi finalmente lo vide. I capelli bruni lunghi fino alle spalle, occhi verdissimi e sorriso beffardo sempre stampato sul volto. La guerra non l'aveva cambiato per niente, se non per una piccola cicatrice al sopracciglio.

"Kurt" urlò Ivan correndo ad abbracciare il ragazzo.

Il bruno sentì la sua voce anche se era ancora lontano e non fece in tempo a girarsi che un bambino gli saltò subito addosso.

"Sei tornato, fratellone, sei tornato. Questa volta avevo davvero paura che non ce l'avresti fatta" disse Ivan singhiozzando e piangendo dalla gioia del rivedere suo fratello. Tutta la sua famiglia.

"Ehi, piccolo" rispose Kurt con dolcezza rimettendolo a terra. "Non crederai mica che io mi faccio sconfiggere facilmente da quei bastardi di Threon. Sai anche tu che io sono..."

"...il più grande guerriero al mondo" finì il piccolo sorridendo.

"Ecco bravo" rispose il fratello.

Gli accarezzò quella piccola testolina scompigliandogli tutti i capelli biondi e poi gli sorrise. Era cresciuto dall'ultima volta che l'aveva visto. Era cresciuto davvero tanto. Era anche cambiato, si era fatto più alto, portava i capelli più lunghi ma dentro era rimasto lo stesso Ivan di sempre. Dentro, sarebbe sempre rimasto il suo piccolo fratellino.

Il Soldato di Aragon (#Wattys2017)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora