I sentimenti non si possono controllare

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“Ma come li fai a controllare i sentimenti?”

Erano passati circa quattro mesi dall’ultima volta che si erano visti. L’unica volta che si erano visti dal vivo, sebbene si conoscessero da un sacco di tempo, ormai. “Almeno un anno, se non di più”, pensava lui.

“Ti sei fidanzato?”

“Perchè? Avrei dovuto?”

Erano le sue tipiche risposte, come tutto fosse scontato.

Già da tempo l’incontro era programmato. Tante le volte programmato quante le volte rinviato. Tanto che lui credeva non sarebbe mai avvenuto.

“Non è che mi dai la sola, come al solito?”

“No, non ti preoccupare. Stavolta non ti solo. Stavolta vengo davvero”

Eppure lui, fino al momento in cui l’aveva vista con i suoi occhi salire, al termine della folla, le scale del sottopassaggio della piccola stazione ferroviaria, lui sporco di terra e fango, da poco lontano dal luogo dove lavorava, non aveva creduto quell’incontro potesse avvenire.

Strade abbandonate, surclassate dalla superstrada che andava a coprire, dall’alto, imponente, con i suoi grandi pilastri erti verso l’alto, altissimi, le zone di campagna, facevano da contorno all’automobile. Strade ormai dissestate, fuori da qualsiasi tipo di manutenzione potesse interessare chi di dovere. Una strada abusata negli anni ed ora lasciata al proprio destino. Strade piccole ed intime, ormai percorse da pochissimi veicoli. Strade contornate da alberi e boschetti. Qualche fontana e qualche staccionata in legno, un barbecue, ad indicare un’impressione benevola su di essa da parte dell’uomo. E buste di plastica dai contenuti indefiniti. Tra le insenature di un tronco cavo facevano capolino altri oggetti una volta utilizzati dall’uomo ed ora esausti del loro mandato. Qualche batteria per auto. Ed elettrodomestici, materassi, logori dagli eventi atmosferici e dal tempo. La natura logora dagli eventi antropici. L’uomo, logoro di sé stesso. E logorante. Forse logorroico nella routine non strettamente necessaria al suo status.

Sembrava un buon modo, a lui, percorrere quelle strade per ammazzare il tempo. Non semplici strade, identiche a tante altre, per quanto affascinanti ed al contempo insidiose, ma strade psichiche, pregne di ricordi. Di quando, da ragazzino, le percorreva giornalmente. Lo aveva fatto per cinque anni, tutto il tempo delle superiori. Strade che l’avevano visto crescere. Almeno, crescere fisicamente. E che lui aveva visto morire. Almeno, invecchiare. Strade che sinesteticamente gli portavano alla mente odori. Chissà fossero davvero quelli o se almeno vi si avvicinassero.

“E quelle non le fumiamo?”

“No, le ho solo preparate qui. Le portiamo di sopra”

Chissà perchè poi li fissava su carta quei pensieri. Non propriamente su carta. Sul succedaneo contemporaneo della carta. Una serie di informazioni in codice binario a formare lettere fissate su un documento virtuale del proprio PC. Eventi inconsoni al bagaglio generico di situazioni vissute andavano ad influenzare il bagaglio esperenziale ed emotivo dando nuova linfa a ciò che poteva essere esplicato. Del resto, se avesse scritto sempre e solo di ciò che proveniva dal suo interno (sebbene fosse tutto dato dall’esterno ma accumulato e filtrato fino a divenire intimamente suo) sarebbe arrivato ad un punto in cui il dicibile, pur se potenzialmente infinito, si sarebbe alquanto assottigliato. Eventi diversi dal solito avevano invece modificato il suo essere, dando modo ad esso di esplicarsi in maniera inedita rispetto al solito. Era un lavoro retorico, inutile, ma che sentiva di fare. Un esercizio di stile, una autocelebrazione o forse solo onanismo. Sicuramente presunzione, data anche la forma particolare che tentava di dare a quel flusso di parole, come a voler dimostrare una propria capacità agli altri. O a sè stesso. Poco importava.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 04, 2014 ⏰

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