Capitolo 11

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Ivan era lì da un'ora ormai. Era rimasto lì fermo, seduto e con la testa tra le gambe, a piangere per suo fratello. Anche se fosse tornato vivo dalla Montagna di Keyta, avrebbe dovuto pagare un prezzo caro. Forse, avrebbe dovuto dire addio alla sua stessa vita. E tutto questo per colpa del re. Anche se quei bastardi dei consiglieri volevano addossare la colpa su di lui.

Gli avevano dato dell'infanticida, ma non poteva, non doveva essere vero. Suo fratello non avrebbe mai avuto il coraggio di fare del male ad un povero bambino. Era stato cresciuto troppo bene.

Quei bastardi stavano mentendo. Doveva essere così, solo che aveva una strana sensazione. La strana sensazione che non stessero mentendo. Anche se era ritornato per solo un giorno, aveva visto il vuoto negli occhi di Kurt. Come se non ci fosse più nessuna traccia della persona che era.

E quella notte. Non aveva fatto altro che girarsi e rigirarsi sul letto per dormire ma non ce la faceva. Sembrava che il sonno non volesse accoglierlo. Non voleva neanche immaginare che incubi faceva.

Kurt. Non riusciva a smettere di pensare a lui. A quel suo sorriso beffardo, ai suoi capelli e ai suoi occhi. Gli occhi della speranza, li chiamava la madre. Speranza che non c'era più. Era morta ad Avanelle.

Tirò su la testa e si asciugò le lacrime. Se suo fratello fosse stato lì, gli avrebbe detto di smetterla di piangere, di alzarsi in piedi e combattere. E lui lo fece.

Aveva sempre visto in Kurt il suo eroe e, se fosse morto per proteggerlo, sarebbe rimasto da solo, per sempre. Se davvero voleva bene a suo fratello, doveva dimostrarglielo e fare qualcosa, per lui. Era arrivato il momento di ripagarlo per tutti i sacrifici che aveva fatto nella sua vita. Lo aveva praticamente cresciuto da quando era nata, era come se fosse suo padre. Si era sempre occupato di lui, ma ora toccava a Ivan occuparsi di Kurt.

Si alzò in piedi e continuò a percorrere il passaggio. Non voleva tornare nell'ufficio di Sden, non in quel momento. Voleva stare lontano da quel bastardo traditore. Voleva stare da solo a pensare.

Finalmente vide un po' di luce. Proveniva da uno spiraglio nel buco, anzi, più che uno spiraglio, era una finestrella rettangolare. E ce n'erano tantissime, in fila e a distanza di qualche centimetro l'una dall'altra. Erano anche ad una discreta altezza in modo che nessuno avrebbe notato i suoi capelli. Chiunque avesse costruito quel passaggio segreto, aveva pensato proprio a tutto.

Proseguì dritto curioso di sapere dove arrivasse. Sperava solo che fosse più vicino possibile alla porta. Non vedeva l'ora di andarsene da quel maledetto castello. Sentire il Concilio Ristretto gli aveva fatto passare la voglia di visitarlo.

Si trovò davanti delle scale a chiocciola. Da lì in poi non c'erano più le finestrelle, era tutto buio pesto.

Iniziò a percorrerle scalino per scalino e dopo qualche passo gli sembrò di camminare ad occhi chiusi. Come prima, aveva le mani attaccate alla parete e prima di fare un passo tastava lo scalino con il piede. La prudenza non era mai troppa.

Ad un tratto batté contro qualcosa di estremamente duro. Cazzo, si era fatto un male cane al naso.

Sentì il suo sangue sulle labbra. Non aveva un buon sapore.

Si pulì con la manica e si tastò il naso, che, con sua enorme sorpresa, non era rotto. Poi passò a tastare con i polpastrelli la cosa contro cui aveva sbattuto. Era dura, è ruvida e fatta di...mattoni.

Il suo polpastrello riconobbe un mattone. Aveva sbattuto contro una parete, il passaggio era finito lì.

Ma non poteva essere un passaggio cieco. Ci doveva essere un modo per aprirlo e vedere dove era arrivato. Non poteva essere stato costruito per nulla.

Il Soldato di Aragon (#Wattys2017)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora