IL MOSTRO NELL'ARMADIO

15 1 0
                                    

È solo da qualche minuto che mi sono svegliata qui, in questa camera di ospedale. Mia madre accanto a me con gli occhi arrossati e gonfi dal pianto mi accarezza il braccio. Riporto piano piano alla mente i ricordi. Rimbombano nella mia testa le grida di quella notte, le mie invocazioni d'aiuto... i suoi grugniti disgustosi. Le terribili scene di quella notte continuano a riapparirmi davanti agli occhi. Lo rivedo mentre mi spinge sul letto e mi immobilizza rendendo vani i miei tentativi di ribellarmi, mi strappa i vestiti di dosso e ... abusa di me. Io... io non potevo fare nulla. Ero spaventata, mi sentivo impotente ma soprattutto provavo dolore. Un dolore che dal fisico si propagava nel profondo dell'anima, dolore misto a sorpresa, a disgusto, a odio. Il dolore di quando ti ferisce una persona che non avresti mai pensato potesse. Insomma, chi penserebbe mai che un familiare sarebbe capace di far questo? Certo, se ne sentono di notizie al telegiornale riguardo a ragazzine stuprate dallo zio piuttosto che dal padre... ma chi crederebbe mai che il proprio zio potrebbe arrivare a tanto? Io non lo avrei mai creduto eppure, adesso, mi devo ricredere.
 Tutto era cominciato da piccoli segnali come il discostare la maglietta, l'accarezzare il ventre insistentemente, averlo sempre vicino. Ma alla fine era sempre mio zio, no c'era nulla di strano, ed io ero sempre stata una di quelle ragazzine che disprezzava il contatto fisico. Sarebbe stato tutto normale se quelle carezze non si fossero trasformate da toccatine che parevano casuali a toccatine sempre più esplicite. Ma qui entrava in ballo la mia debolezza d'animo. "È mio zio" solo questo riuscivo a ripetermi. "È mio zio, figurati se sarebbe capace di una cosa simile. Sicuramente mi sto inventando tutto". Era un continuo negare davanti all'evidenza per cercare di autoconvincere me stessa che tutto questo non fosse la realtà. Almeno finché non fu troppo tardi.
Solo i miei genitori c'erano accanto a me. Ogni volta che pensavano che dormissi parlavano dell'accaduto con parole cariche d'odio. A volte persino litigavano quando mio padre, preso dall'ira, insultava la famiglia di mia madre incolpandola della bassezza d'animo di mio zio. E in quei momenti non riuscivo a trattenere le lacrime che davano sfogo a tutti quei sentimenti che mi esplodevano in petto. Quando riusciva, anche mia sorella mi veniva a trovare e si sedeva sul fondo del letto in silenzio. Solo raramente lo interrompeva per pormi una di quelle domande di convenienza. Teneva lo sguardo basso, pieno di pentimento e vergogna per aver sempre sottovalutato ciò che le raccontavo riguardo a mio zio e non essere mai intervenuta. La notte era terribile. Incubi. Flashback. Durante quelle orribili ore notturne le mie paure prendevano forma, i ricordi mi martellavano in testa, il panico si scatenava in me. Giorno dopo giorno le occhiaie erano sempre più profonde, il mio silenzio sempre più rumoroso e pesante.
 In queste condizioni uscii dall'ospedale. Mi avevano dimessa un giorno in anticipo perché io avessi la possibilità di festeggiare il compleanno di mio nonno. Un "ritorno alla normalità" lo chiamavano. Festeggiare il compleanno di mio nonno avrebbe dovuto togliermi un po di pensieri. Arrivai a festa già iniziata, sentivo gli schiamazzi e le risate dietro la porta. Ma appena varcai l'uscio cadde un silenzio pieno di imbarazzo. Nessuno osava interromperlo, gli sguardi puntati su di me. Respirai profondamente e dissi, con il tono più entusiasta che riuscii a fare, -Buon compleanno nonno!-. L'atmosfera si alleggerí e il vociare riprese. Raccolsi un paio di pasticcini e mi misi seduta in un angolino del divano, in disparte. Ascoltavo mio nonno che raccontava una delle avventure vissute in gioventù, ricordando come una volta le ascoltassi con piacere nonostante le conoscessi a memoria. Eppure guardandomi attorno mi accorsi che con riscuotevano molto successo. Mia nonna guardava la televisione alle spalle di mio nonno, mia cugina confabulava con mia zia, mia sorella e il suo ragazzo parlavano in disparte e mia madre era l'unica che, tra uno sbaglio e l'altro, ascoltava davvero la storia di mio nonno mentre mio padre, accanto a lei, era impegnato a gustare un delizioso tortino. Questa volta però non riuscivo a concentrarmi sulla voce di mio nonno. La mia attenzione era attratta dai volti di mia zia e mia cugina: le occhiaie, i volti tirati. Mi guardavano involontariamente con una nota di odio nello sguardo. Io avevo fatto crollare il castello in cui vivevano, avevo spezzato la realtà rivelando un incubo che aveva squarciato la famiglia. Io. Ero stata io. Io la causa del desiderio, io che avevo traviato la mente di mio zio, io che avevo rovinato il matrimonio, io che avevo causato tutta questa sofferenza. Loro sapevano che la colpa non era mia, ma senza nemmeno volerlo quel pensiero si infilava nella loro menti e quella nota di odio inquinava i loro sguardi. Insieme ai loro sguardi anche la mia anima si inquinava, sempre più nera, sempre più dilaniata da un miscuglio di sentimenti: i sensi di colpa, la paura, l'odio, la rassegnazione, la vergogna, il disgusto, l'irrequietezza, la rabbia, il dolore. Così quella festa che avrebbe dovuto aiutarmi a superare il trauma causò l'effetto contrario. La mia ricerca della solitudine e l'ostinato silenzio preoccupava i miei, si cominciava a parlare di psicologo come se un estraneo avesse potuto davvero sistemare la vita a delle persone di cui non sapeva nulla. Come se lui avesse potuto capire cosa provassi, come se potesse riuscire a leggere i miei silenzi. Ogni giorno che passava il mio animo era sempre più scavato, il senso di svegliarmi ogni mattina lo avevo perduto, la notte ancora rappresentava l'apice di paure e incubi. Passavo i pomeriggi seduta a guardare lontano con la musica nelle orecchie. Guardavo gli alberi innevati del parco: la gente passava rannicchiata nei propri giubbotti e camminava con passo veloce per arrivare in fretta a casa e scaldarsi davanti al camino. Tutto immobile era. Il gelo passava attraverso la felpa raffreddando l'ira che mi mangiava l'anima. Il cappuccio ben calato sulla testa per sentirmi più invisibile. Poi arrivo quel 29 dicembre in cui tutto cambiò. Ero arrivata al limite, avevo perso me stessa. Dal davanzale come mio solito guardavo fuori. C'erano dei bimbi che giocavano a palla, arrivavano a me le grida della loro concitazione. Invidiavo la loro allegria, la volevo anche io. Era un'emozione divenuta ormai estranea. Misi le gambe a penzoloni e mi trascinai sul bordo. Forse era l'ora di farla finita. Mi ritiravo dalla corsa, il mondo sarebbe stato migliore senza un peso come me, avevo già combinato abbastanza danni. Lanciai un'ultima occhiata ai bimbi che giocavano nel parco e guardai a terra, pronta per spingermi: la neve era così bianca e pura, proprio come l'animo di quei bambini. Come lo ero anche io prima che tutta questa storia cominciasse. Cavolo, ma questa è la mia vita! Cominciai a vivere un flashback della mia corta esistenza: mi ricordai con gioia quando da piccola mi fiondavo giù dalle scale sperando che Babbo Natale mi avesse portato ciò che desideravo, ricordai i quiz che mia madre faceva a me e mia sorella per imparare l'inglese, il caramella-poker con mio padre, le risate e le avventure con i miei amici. Tutti ricordi felici, indimenticabili, ai quali non avrei mai rinunciato. Non potevo buttare tutto questo via. La vita è il più grande dono che mi sia mai stato fatto ed era l'ora di riprenderlo e riscoprirlo. Dovevo rinchiudere il mostro, che quella notte mi aveva assalita, nell'armadio e stare li con la mazza aspettando che uscisse come facevo con mia sorella quando eravamo piccole. Raccogliere il coraggio, aprire la porta e ricominciare a vivere perché, per quanto sia vero che mi avesse rovinato la vita, ero io a continuare a rovinarmela adesso. Rientrai dalla finestra, presi cappotto e guanti ed annunciai ai miei genitori -Sono guarita-. Mi fermai due secondi davanti al portone di ingresso esitante, i miei genitori dietro di me mi guardavano increduli. Era giunto il momento. Certo, non sarebbe stato  facile dimenticare, ma ho sempre saputo di essere forte, di essere una Guerriera. Trassi un respiro profondo e aprii la porta verso la mia nuova vita.

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 18, 2016 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

Il mostro nell'armadioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora