Mio nonno Palmiro era un gran burlone: mi ricordo che rideva sempre e che faceva battute di continuo. Tutto il paese lo conosceva perchè era cordiale e socievole con tutti, anche con gli sconosciuti.
Il sabato pomeriggio, da piccola, accompagnavo lui e la nonna a fare spese (ci scappava sempre qualche caramella o una tavoletta di cioccolato solo per me!) e lui, ogni volta che entrava in un negozio, si toglieva la sua immancabile coppola mettendo in bella mostra una zazzera di ricci bianchi, faceva un mezzo inchino e regalava ai commessi un sorriso radioso sotto i baffi dicendo “Buongiorno baldo giovanotto!” oppure "Buonasera gentile fanciulla!" con voce squillante.
La maggior parte dei negozianti del paese, conoscendolo, rispondeva con allegria al saluto e spesso e volentieri scambiavano con lui qualche battuta, mentre la nonna si affacendava a completare la spesa. Ma quando andavamo a fare compere in cittá, spesso i commessi facevano finta di nulla e, senza nemmeno sollevare lo sguardo, continuavano a fare il loro lavoro incuranti del saluto, e a volte, non appena ci allontanavamo, li vedevo sparlottare coi colleghi indicandolo e ridendo delle stramberie di mio nonno alle nostre spalle. Ma lui, anche se se ne accorgeva, sembrava non farci caso e insisteva col suo bizzarro comportamento. Ogni tanto però capitava che trovassimo al banco qualche ragazza giovane e alle prime armi che, con fare imbarazzato, ricambiava il saluto di mio nonno con un timido sorriso e due guance di un rosa acceso. E quando uscivamo dal negozio lui, facendomi l'occhiolino, mi bisbigliava all’orecchio: “Hai visto Sara? Ho fatto colpo!”. Mia nonna allora sbuffava e gli dava dello stupido vecchio.
Nella mia memoria nonna Clara sbuffa sempre. Non mi ricordo di averla mai vista ridere o scherzare. Tanto mio nonno era allegro e spensierato, quanto lei era burbera e musona. A volte mi chiedevo come avessero fatto quei due a sposarsi: lei sempre seria e pragmatica e lui cosí giocherellone e strampalato. Sembrava quasi impossibile che un tempo fossero stati innamorati, perché mia nonna sembrava proprio non sopportare questo modo di fare del nonno cosí ridente e scherzoso. Infatti, gli intimava sempre di piantarla di fare lo stupido, ma ovviamente senza ottenere alcun risultato. E così… sbuffava.
Quando restavo a pranzo da loro, mio nonno Palmiro, dopo l'enorme abbuffata, si sedeva sulla poltrona a fiori del salotto di nonna e, sorseggiando piano il caffé, si perdeva nei racconti della sua giovinezza. Io mi sedevo sull'enorme morbido tappeto orientale ai suoi piedi e ascoltavo i suoi ricordi di bambino, quando andava coi fratelli negli stagni a caccia di ranocchie, o quelli piú cupi della grande guerra, quando era un giovane soldato lontano da casa. Ma i miei preferiti erano i racconti del periodo in cui faceva la corte a mia nonna. Ascoltandoli mi sembrava quasi impossibile immaginarmeli giovani spensierati e innamorati, ma i profondi occhi marroni di mio nonno ogni volta si illuminavano di una luce speciale mentre narrava la loro storia d'amore e piú di una volta lo coglieva ad osservare mia nonna tra i fumi del caffé bollente mentre lavava i piatti del pranzo con un dolce sguardo.
"Devi sapere Sara che a quel tempo i genitori non permettevano alle figlie di frequentare altri uomini al di fuori di quelli appartenenti alla famiglia. Così io e la Clara ci dovevamo vedere di nascosto e sempre in fretta e furia per evitare che ci scoprissero. Io avevo una vecchia bicicletta, di quelle sportive con la canna dritta e il manubrio basso. Me l’aveva regalata un mio zio che l’aveva comprata a un mercatino dell’usato. Era brutta, storta e tutta arrugginita. Ma io ne andavo orgoglioso e cosí l’avevo ripulita e aggiustata alla bell'e meglio. E poi l’avevo pitturata di verde: come la speranza! Era il mio gioiello e ci scorrazzavo sopra tutto il giorno. I miei fratelli quando mi vedevano correre sulla bici mi prendevano in giro chiamandomi 'La scheggia verde'. Ma io ci credevo davvero di essere una scheggia! Con quella bici andavo tutti i pomeriggi a prendere tua nonna, che mi aspettava nascosta dietro la stalla delle mucche, e la riportavo sempre in tempo, prima del tramonto, quando sarebbe dovuta rientrare a casa. Lei si sedeva sulla canna e io la portavo in giro per i campi alla velocità della luce. Dovevi vederla come rideva, con le trecce bionde al vento mentre cercava in tutti i modi di trattenere con una mano la gonna svolazzante e con l'altra di tenersi stretta al manubrio. E più andavo forte e più la Clara rideva. Una volta mi ha sfidato ad andare in bici senza mani con lei sopra. Se ci fossi riuscito in cambio mi avrebbe dovuto dare un bacio.”
“E tu nonno ce l’hai fatta?”
“No, cara. Non ci ho mai provato. Perché avevo paura che, se fossimo caduti, ci saremmo fatti troppo male. Non è facile guidare la bici senza tenere il manubrio.”
Un giorno, era circa la metà di giugno, mi trovavo sempre a casa dei miei nonni: io stavo al fresco sotto il portico e aiutavo nonna Clara ad avvolgere i fili di lana colorata nei gomitoli che le sarebbero poi serviti per fare l’uncinetto. Mi aveva promesso che prima che arrivasse l'inverno avrei avuto un bel berretto e una sciarpa calda da poter indossare coi primi geli mattutini. E mia nonna manteneva sempre le promesse.
"Possiamo farla viola e nera la sciarpa nonna?"
"Ma non sarebbe un po' troppo cupa? Molto meglio un bel rosa invece!" disse pescando dal suo cesto del cucito un orrido gomitolo color rosa confetto.
Al solo vederlo sbuffai stizzita: "Nonna! Non ho piú sei anni da un pezzo. Vuoi che tutti i miei compagni mi prendano in giro e mi scambino per una 'cinnazza'?"
"Tesoro, non so proprio cosa sia una 'cinnazza', ma di sicuro il rosa é un colore molto piú femminile del nero e del viola." Mi rispose risoluta.
Stavamo ancora dibattendo animatamente su quale colore fosse il migliore per la sciarpa, quando all'improvviso nonno Palmiro, che non si vedeva in giro già da un po’, sbucò fuori come una saetta dal retro della casa in sella a una vecchia mountain bike tutta cigolante.
La nonna, sbalordita, mollò all’istante il gomitolo rosa sotto accusa, che rotoló giú per la veranda fino a fermare la sua corsa dentro una bella pozzanghera ai piedi della scala. Quando si riprese dallo shock, la nonna scese con passó deciso dal portico, si affiancó al gomitolo, ormai talmente impregnato di acqua sporca da aver preso una colorazione decisamente ancor meno accattivante della prima per una sciarpa invernale, e agitó minacciosa il braccio destro in aria intimando al nonno di scendere subito da quel trabiccolo prima che cadesse e si rompesse la testa. Altrimenti ci avrebbe pensato lei stessa a rompergliela per bene.
Ma mio nonno, a quanto pareva, non aveva nessuna intenzione di fermarsi.
“Dai Clara, monta su! Che ci andiamo a fare un bel giro.” le gridó ridendo.
“Ma sei matto?!? Scendi subito da lì stupido vecchio che non sei altro!”
Continuarono così per circa una decina di minuti: lui scorrazzando avanti e indietro per il cortile (ma sempre a debita distanza!) su quella bicicletta che, dal rumore cigolante delle ruote, sembrava dovesse sfasciarsi in mille pezzi da lí a un momento all'altro, e lei urlando e agitando le braccia per aria come una pazza. Finché mia nonna, esausta, si fermò per riprendere fiato. Fissò nonno Palmiro dritto negli occhi con uno sguardo ardente e poi, con tono deciso, lo sfidò: "Se io salgo sulla bici per un giro intorno alla casa, poi mi prometti che scendi?”
Lui inchiodó di colpo facendo stridere i freni consumati, la fissó a sua volta negli occhi azzurri ghiaccio e controbattè: “Almeno quattro giri.”
“No, due.”
“Tre.”
“Affare fatto.”
E così mia nonna salì con determinazione sulla canna della bicicletta, dalle cui incrostazioni si poteva solo vagamente intuire che un tempo doveva essere stata di un bel colore verde acceso.
All’inizio traballavano un po’, tanto che pensai che sarebbero finiti subito a terra prima ancora di arrivare a mezzo giro, ma poi mio nonno cominciò a prendere sicurezza e iniziò ad andare sempre più veloce. Ogni metro di cortile che percorrevano la sua pedalata si faceva sempre piú forte e decisa e il viso di mia nonna si distendeva progressivamente. Quella maschera scorbutica, che credevo non le si sarebbe mai tolta dalla faccia, stava lasciando il posto a un abbozzo di sorriso sempre più accentuato e a dei ridenti occhi azzurri.
Non potevo crederci!
Davanti ai miei occhi la nonna si stava trasformando nella Clara radiosa dei racconti di mio nonno. Poi, all’improvviso, quando ormai stavano terminando il terzo e ultimo giro, il nonno lasciò andare il manubrio della mountain bike, pur continuando a pedalare. La bicicletta proseguì ancora il suo percorso per qualche metro, finché la ruota davanti non si piegò irrimediabilmente verso destra facendoli capitombolare tutti e due a terra con un gran tonfo. Un po' ammaccati, data l'etá, ma fortunatamente illesi.
Il viso di mia nonna era un misto tra stupore e rabbia, mentre il nonno se la rideva come un matto.
E prima che lei potesse aprir bocca per rimproverarlo le posó un dito sulle labbra e con uno sguardo malandrino disse: “Adesso me lo dai un bacio?”.
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IN BICI SENZA MANI
Short StoryAgli occhi di Sara nonno Palmiro e nonna Clara non sembrano proprio fatti l'uno per l'altra... Lui é un simpatico e strampalato vecchietto e lei una donna burbera e seriosa. Come é possibile che si siano innamorati e che ancora oggi siano sposati? ...