XXVII L'ira di Enea

564 24 1
                                    

Il giorno seguente, mentre infuriava la battaglia, Enea arrivò dal mare con i nuovi alleati etruschi, nonostante Turno avesse tentato, vanamente, di impedirne lo sbarco. Nell'infuriare della battaglia, il re dei Rutuli uccise Pallante, fedele alleato e amico del principe troiano, ne calpestò il cadavere e infine lo spogliò del suo cinto d'oro. La morte di Pallante scatenò nell'animo di Enea un'insaziabile sete di vendetta. Con la spada sguainata, corse furente per il campo di battaglia in cerca di Turno, uccidendo tutti i nemici che gli si paravano davanti.

Coperto di sangue e brandendo le splendide e possenti armi forgiate da Vulcano, si aggirava rabbioso tra corpi aggrovigliati e cozzare di spade, tra urla di guerra e lamenti dei feriti gridando:

«Turno! Che tu sia maledetto in eterno, Turno! Dove sei? Mostrati allora! Finiamo questo scempio una volta per tutte!»

Vagando tra le prime linee in cerca del Re dei Rutuli, incrociò il biondo re di Amyclae. Riconoscendo in lui un condottiero di alto rango, si preparò ad affrontarlo con determinazione. Camerte, conscio della sua inferiorità, cercò con astuzia di evitare lo scontro, ma l'ira del troiano era implacabile. Enea lo inseguì fino a raggiungerlo e il giovane Re, resosi conto di non avere più scampo a meno di una disonorevole fuga, si girò deciso ad affrontarlo. Ben piazzato sulle gambe, spada salda nella mano destra e scudo nella sinistra, Camerte attese l'impatto. Enea si lanciò come una furia e piazzò un primo terribile fendente, che Camerte riuscì a schivare deviando il colpo con lo scudo. Quando il Principe troiano, recuperando subito l'equilibrio, tirò un altro colpo di ritorno, il Re ausono lo neutralizzò ancora una volta, ma lo scudo, dopo il tremendo impatto, cedette di schianto. Camerte si allungò in un affondo con la sua corta spada, ma a sua volta Enea deviò il colpo con il proprio scudo. Il collo scoperto di Camerte rimase così esposto alla spada di Enea il quale, con gesto fulmineo, affondò l'arma fino all'elsa nel petto del giovane, che crollò a terra all'istante.

Non molto distante, ignara dell'accaduto, Camilla combatteva con vigore e coraggio contro la cavalleria etrusca. Giunone, nel frattempo, autorizzata da Giove, prese le sembianze di Enea, e facendosi inseguire da Turno verso la spiaggia, lo fece allontanare dal campo di battaglia, sottraendolo, almeno per quel giorno, all'ira incontenibile del principe troiano.

Arrivò così un'altra notte di riposo e lutto nei rispettivi accampamenti. Camilla, come suo solito, sedeva presso il fuoco del suo accampamento e attendeva impaziente l'arrivo di Camerte. Ignara dell'accaduto, aveva riflettuto a lungo ed era pronta a confessare al giovane Re il proprio amore. Aspettò seduta ancora un po', poi, cedendo all'impazienza, decise di andare a cercarlo. La voglia di vederlo era troppo forte. Si avviò a passo spedito verso la zona dove si accampavano gli Ausoni di Amyclae, ma, nonostante la luna illuminasse a giorno il campo, non riuscì a scorgere i capelli biondi del suo amato. Tra l'altro, notò che l'accampamento era stranamente deserto.

L'angoscia prese il sopravvento nel suo cuore. Sempre più agitata, Camilla si diresse verso la spiaggia, dove si erigevano i roghi funerari. In mezzo al fumo denso e rossastro dei numerosi e tristi falò, vide che tutti i guerrieri Ausoni erano raccolti attorno a una catasta pronta per essere accesa. Con il cuore in gola si avvicinò di qualche passo. Ciò che temeva era davanti ai suoi occhi: Camerte giaceva steso sulla pira, sul suo petto erano stati adagiati la spada, l'elmo e quel che restava del suo scudo. Il più anziano dei guerrieri era già pronto per dare fuoco al legno intriso d'olio profumato, quando Camilla gli gridò di fermarsi.

Il guerriero si arrestò e si volse a guardarla. Camilla non aggiunse altro e, a testa alta, con il cuore in tumulto, si avvicinò lentamente alle spoglie del suo amato, baciandone con delicatezza le fredde labbra. Poi, prese con decisione la fiaccola dalle mani dell'anziano guerriero e senza indugiare oltre, appiccò il fuoco alla pira mormorando:

«Va', amore mio, va', biondo guerriero dagli occhi come il cielo. Raggiungi tuo padre. Cavalcherai al suo fianco per sempre.»

Camilla, Regina dei Volsci, non versò una sola lacrima. Rimase in piedi, immobile e in silenzio, con gli occhi fissi sulle fiamme che sembravano lambire il cielo. Rimase lì, fino allo spegnersi dell'ultima brace, sotto lo sguardo indifferente di una splendida e quanto mai lontana luna.

Quando del rogo non rimasero che poche ceneri, ritornò mestamente sui suoi passi e si diresse verso l'accampamento volsco. Tanti ricordi le tornavano alla mente. I pensieri le si accavallavano in un turbinio tumultuoso, ma l'unica certezza era la sensazione di un vuoto incolmabile dentro di sé. Un senso di nausea l'accompagnava a ogni passo. Ripensava al sorriso di Camerte, al suo sguardo dolce e al suo buonumore. Solo in quel momento cominciò a cogliere il significato più profondo delle parole di Antonius. Solo adesso realizzava quanto fosse forte il sentimento che la legava al giovane re. Tutt'a un tratto la investì la consapevolezza di quanto profondamente amasse Camerte, figlio di Volcente, Re di Amyclae.

Spossata e distrutta dagli eventi, quella notte Camilla cadde in un sonno profondo, agitato da incubi terribili. Si destò più volte madida di sudore e in preda all'angoscia. Come avrebbe voluto che suo padre fosse lì a consolarla e ad abbracciarla! Invece il silenzio della notte era popolato soltanto dal lugubre lamento dei feriti. Più volte sognò di cadere in un abisso oscuro e senza fondo e ogni volta che riusciva ad aggrapparsi a qualcosa, questa le si sfaldava tra le mani, diventando cenere e lasciandola cadere nel vuoto.

Il giorno dopo, all'alba, Camilla fu convocata da Turno. Il Re dei Rutuli era fatalmente ossessionato da Enea. La maggior parte dei suoi alleati e collaboratori più stretti erano ormai morti, e molti, tra i latini e i loro alleati, andavano chiedendosi perché mai i due avversari non si affrontassero in duello per decidere una volta per tutte le sorti di una guerra incerta e logorante che era costata troppe vite innocenti. Turno era venuto a sapere che Enea e i suoi alleati, approfittando del momento favorevole, avevano intenzione di marciare su Laurento. Camilla allora prese la parola e si rivolse al Re dei Rutulie al suo stato maggiore, suggerendo un'interessante strategia:

«Re Turno, forse la mossa di Enea ci darà la possibilità di porre fine a questa terribile guerra. Anticipiamo i troiani, raccogliamo il nostro esercito e muoviamo verso Laurento. Scambiandola per una ritirata, Enea ci inseguirà per porre in atto il suo piano. Tu, con le tue truppe migliori, ti terrai nascosto nel bosco nei pressi della città mentre io, insieme ai miei cavalieri, tornerò indietro facendo un ampio giro. A quel punto, subito prima che i nostri avversari attraversino il bosco, attaccherò la cavalleria etrusca, che sarà costretta a lasciare sguarnito il fianco dei troiani. Se sarai rapido e abile ad approfittarne, attaccando con impeto e sfruttando l'effetto sorpresa, avrai la tua vendetta e la vittoria sarà nostra.»

L'astuto piano di Camilla fu accettato con entusiasmo da Turno e dagli altri capi, e così iniziarono i preparativi per metterlo in atto.

Ancora una volta la giovane si raccolse in preghiera nella sua tenda, prese i doni della dea Diana, li pose in terra dinanzi a sé e pronunciò le seguenti parole:

«O grande dea Diana, a te sia onore e gloria. Ho tradito il mio voto: mi sono innamorata di un uomo ma non ne sono pentita. La forza dell'amore, una volta scatenata, è davvero incontrollabile. Per questa mia debolezza sono stata duramente punita. Il fato si è accanito contro di me togliendomi per sempre l'uomo che amavo. È stato come se si fosse preso la mia stessa vita. Mia amata dea, ti sono infinitamente grata per i tuoi doni e per tutto quello che hai fatto per me, ma questa volta il sacro fuoco resterà spento. Affido la mia vita al destino e alla clemenza di tutti gli dei. La vita ora mi sembra non avere più senso, non so più se voglio vivere o morire. Che sia allora il fato a decidere!»

Detto questo, uscì fuori dalla tenda con passo deciso, saltò sul suo bianco destriero e gridò:

«Mie guerriere, miei fedeli Volsci, a me! Pronti alla battaglia.»

E subito dopo, si avviarono al trotto verso Laurento.

Il Sacro fuoco della Regina II edizioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora