Capitolo 30.

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Bloor Street è vuota.

Immancabilmente, irrimediabilmente vuota, vestita nel suo abito di solitudine e tristezza.

E non mi stupisce nemmeno un po' trovarla così; se c'è una cosa che ho imparato in queste settimane, a discapito di tutte le volte in cui l'ho attraversata, trotterellante, per recarmi al bar, o ho pestato, furente, i piedi su quelle erbacce che si annidano tra le fessure del marciapiede, dopo aver sbattuto la testa contro chissà quale delle brutte esperienze che sto ormai collezionando, è che questa via la troverò deserta, sempre e comunque.

E, sebbene non me ne riesca mai a spiegare la ragione, questo estremo isolamento talvolta mi rattrista.

Insomma; parliamo comunque di sere estive, quelle in cui le strade pullulano di lucciole luminose e sembrano quasi allargare le proprie braccia a infiniti percorsi, tutti da scoprire, tutti da percorrere.

Mi sono sempre detta che d'estate tutti quei discorsi lasciati in sospeso d'inverno tornassero prepotentemente a bussarci alla porta, invitandoci a riprenderli, riviverli. A riesumarli, ecco. E se questa regola della resurrezione pare valere per città, spiagge, e strade, be'...evidentemente Bloor Street è esclusa dall'elenco.

E a dire il vero, ora come ora, con i capelli gonfiati dall'eccessiva umidità e una faccia scura a cui sicuramente un po' di colore non farebbe male, non mi dispiace affatto che non ci sia nessuno a gironzolare e cogliermi in queste pessime condizioni. Forse questa si potrebbe definire l'unica fortuna della mia giornata, iniziata con un battibecco con l'ultima persona che avrei voluto trovare nel bar e conclusasi con la scoperta del tradimento di mio padre, a distanza di due anni.

Il solo pensiero di quanto gli eventi siano precipitati, secondo dopo secondo, mi fa sorridere, paradossalmente, ed è l'ultima cosa che vorrei fare, dato che, inspiegabilmente, tutte le volte in cui sono furiosa, se in un attimo mi ritrovo a ridere per la più banale delle sciocchezze, in quello seguente invece mi ritrovo a piangere senza fermarmi più.

Ed è una cosa che odio. Piangere, intendo.

Quando la vista mi si offusca e le lacrime minacciano pericolosamente di rigarmi il volto da un momento all'altro, un gesto che mi viene spontaneo, di solito, è quello di levare gli occhi al cielo per evitare di sorprendermi a frignare. Ed è esattamente quello che sto facendo anche ora, mentre, dopo aver percorso questa strada quasi per intero, decido di sedermi sull'orlo del marciapiede, scalciando qualche sassolino che mi fa da unica compagnia, e rassegnarmi ad aspettare una persona che neppure si presenterà, molto probabilmente. E come biasimarla, del resto? Ho sempre escluso l'infinita pazienza da quelli che sono i suoi pregi, ed è alquanto improbabile che essa si manifesti proprio stasera, dopo quella che credo sia stata una discussione del tutto spiazzante, i cui effetti si leggevano chiaramente sul suo viso stravolto da milioni di emozioni.

Mentre esamino i dintorni con noia, lasciando che il mio sguardo cada dalla cabina telefonica non funzionante,  alla mia destra, al muretto in mattoni da cui un gatto nero, immobile, mi fissa con occhi che penetrano l'oscurità, i miei pensieri finiscono inevitabilmente a mia madre, centro inconsapevole del litigio con Ashley e Samuel. Vorrei tanto chiamarla, ora, e chiederle se fosse già a conoscenza del fatto che papà l'avesse tradita con Ashley e, in tal caso, perché non me ne abbia mai parlato. Sarei stata sicuramente più comprensiva, se fossi stata già preparata da uno di quei suoi bei discorsi da avvocato, e di certo non avrei reagito nella maniera così iraconda che mi ha sorpresa poco fa. Però, alla fine, metto da parte ogni mia intenzione di contattarla; a causa del suo lavoro, dei miei impegni al bar, e soprattutto del fuso orario, ci sentiamo di rado, e non voglio disturbarla ulteriormente per quella che dovrebbe essere una storia morta e sepolta.

Summer love. ||Shawn MendesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora