La guerra di Saverio

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Saverio è chino a lavorare la terra.
La primavera è alle porte.
Cè stata la neve, cè stata la pioggia su quei campi.
Campi impastati col sudore di Saverio, prima ancora con quello di suo padre e del padre di suo padre; che poi era suo nonno.
Fissa quel terreno che di malavoglia si smuove e si piega alla volontà delle sue braccia.
Non cè amore in quello che fa, non cè odio neanche rabbia ne rassegnazione, solamente lo fa e semplicemente lo fa perché quei campi , ne più belli ne più brutti di altri hanno una caratteristica che li rende unici ai suoi occhi.
Sono i suoi.
Un ultimo colpo e si concede una tregua.
Alza la schiena e con gli occhi abbraccia un panorama che, se sapesse dipingere, lo riprodurrebbe fedelmente anche voltato tante volte lha visto.
Dolci declivi coltivati, strade che si intersecano secondo una logica geografica.
Sullo sfondo, lontana ma non abbastanza da non essere individuata con precisione mette a fuoco la rocca del Titano, dimora del re, sede del governo e dei suoi dignitari tutti.
Nella rocca del Titano si decide, si giudica, si regna.
Cè stato solo una volta da piccolo in occasione di una ricorrenza speciale in cui il re laveva aperta a tutto il popolo per un mese.
Suo padre ce lo aveva portato.
Non ricorda più Saverio che ricorrenza fosse ma una cosa la ricorda; il panorama.
Talmente immenso da non farti neanche sentire piccolo, ricorda anche di aver sentito che quello che vedeva da lassù era di una grandiosità tale che invece che schiacciarti ti innalzava.
Guardando da un bastione dal quale si affacciava uno dei tanti cannoni allineati lungo la cinta muraria, cercò invano di individuare quello stesso campo  dove era adesso.
Troppo lontano aveva detto il soldato di guardia che essendo del paese accanto conosceva la proprietà del padre.
Allora, il bambino pieno di quel fresco entusiasmo che rende tutto uniformemente esaltante, chiese se quel cannone posto a difesa del regno fosse in grado di lanciare fino a casa sua.
Troppo lontano rispose di nuovo il soldato.
Saverio si concede ancora un ultimo sguardo a quella rocca tanto lontana.
Linverno sta finendo come è certo ormai che per la primavera ci sarà la guerra per conquistare nuove terre, ancora più lontane dei suoi campi quindi.
Saverio è un contadino e i suoi ragionamenti sono diretti e concreti come il suo mondo.
Un mondo dove la neve è fredda lacqua bagna e il sole è caldo.
Saverio dal giorno di quella visita  si porta dietro una domanda, una domanda che oggi, con una guerra alle porte urla dentro la sua testa più forte che mai.
Cosa serve a un re avere più terra di quella che i suoi cannoni riescono a difendere?
Ma quella, è solo la domanda di un contadino che, se non ara la terra non può seminare e se non semina non può raccogliere e senza raccolto non ha di che sfamarsi.
Lui, la sua guerra la fa tutti i giorni, ma sereno, senza odio, senza amore senza ferocia o rassegnazione.
Così, prima che laria ancora fresca gli giochi un brutto scherzo ai suoi muscoli accaldati torna  a piegarsi sul suo lavoro.
Attraverso larco che il corpo di Saverio forma si percepisce il movimento di trenta ragazzi che marciano compatti.
Le loro divise sono sformate i visi paonazzi e i respiri quasi cavernosi.
Sono reclute, anche loro andranno alla guerra, ma prima, pare se la debbano meritare.
Alla loro testa un uomo, la sua divisa è perfetta il viso tronfio e il respiro regolare.
È il capitano Ferragante, per lui la guerra ci sarà di sicuro, a non esserci gli farebbe un torto mortale.
Troppo giovane per essere loro padre, troppo bello per essere loro fratello è il loro capitano.
Il capitano Ferragante, così si fa chiamare anche in casa, ci tiene ad addestrare personalmente le reclute, sente di essere fonte di ispirazione e di sprono per quei giovani futuri soldati del re.
Ci tiene anche a percorrere quella strada durante le marce di esercitazione perché è lì, speculare a quella di Saverio, che la su magione sorge.
Bella immobile come un perenne quadro a olio, piantata come avesse radici  in mezzo  a un giardino circoscritto da siepi.
Non campi coltivati ma fiori riempiono la vista in quellangolo di mondo su cui ora si posa lo sguardo soddisfatto del padrone di casa.
Ci tiene a passare di lì perché dentro alla villa il capitano Ferragante ha anche una bellissima moglie; donna Malìa alla quale piace tanto vedere filare lungo la strada il suo sposo trasudante di ardor marziale come un Dio greco.
Il capitano Ferragante fa fermare gli uomini, gli ordini urlati echeggiando sembrano rotolare tra le colline.
Stanno lavorando duro, stanno lavorando tanto, chi tra loro è convinto di non farcela e pensa di mollare, non conosce ancora bene il suo capitano.
Lui li guarda ansimare, lascia che la fatica roda la dignità di soldato, li passa in rassegna con gli occhi, uno per uno, cercando nel profondo dei loro sguardi lo sconforto, quando lo trova, sinuoso lo afferra semplicemente mutando espressione del viso.
Giovani, ancora troppo ragazzi resi arrendevoli dalle difficoltà di quelladdestramento, ingenui, lo fanno affiorare.
Eccolo, ora che è fuori il capitano Ferragante può estirparlo definitivamente dai loro cuori, rendendoli così, una volta per tutte dei soldati.
Nella sua arringa la vita militare diventa viaggio, la guerra occasione, la vita normale rimpianto, gloria e ricchezza il futuro.
Fa una pausa, in silenzio li scruta, vuole sincerarsi di averli toccati tutti almeno una volta prima dellaffondo finale.
Ora devono scegliere.
Pausa.
Tornare indietro con lui e allora ..
Indica deciso il suo maniero dal quale fa capolino la bella donna Malìa.
O rimanere lì, in quel caso, mostra loro il futuro certo che li attende.
Quel contadino laggiù.
Se lui abbia sentito o no non lo capiscono.
Dal basso della loro posizione vedono appena luomo interrompere il suo lavoro.
Saverio si ferma giusto il tempo di stirarsi la schiena, passarsi una mano sulla fronte e poi continua.
Ognuno prende la propria decisione in silenzio e quando il capitano dà l'ordine tutti si rimettono in marcia.

La guerra è passata di quaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora