Un labirinto

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Jessica

Ero assonata, avevo sonno. Tanto sonno.

Volevo andarmene, svegliarmi, vedere il mondo con gli occhi, ma non riuscivo proprio ad aprirli. Chi ero io? Dove ero? Che vita vivevo? Ero felice? Non molto, dato il danno al cervello che il destino beffardo aveva deciso di farmi avere. Ero in un ambiente piuttosto strano. C'era un labirinto gigantesco, e questo mi fece ricordare la storia del Minotauro. Ero lì dentro da chissà quanto... ogni tanto sentivo delle strane voci. Chissà chi erano... a me, inquietavano e non poco! Stavo girando in quel Purgatorio da giorni, ormai e il coma non era così tragico. Almeno, non sentivo fame o sete, non ero neanche stanca fisicamente! Ero anche consapevole di ciò che mi stava accadendo, ma era diventato asfissiante e noioso vedere sempre le stesse cose, sempre gli stessi vicoli ciechi e le stesse rose blu. Poi, mi accorsi che quei fiori, a ogni passo che facevo, cambiavano colore. Forse, dovevo orientarmi a seconda delle loro sfumature? Diedi ascolto a quel consiglio barra domanda, e mi avviai verso le sfumature più chiare. Quando divennero del tutto bianche, mi resi conto di essere al centro del labirinto. C'era un tavolo, e due muffin di differenti colori. Uno era giallo, un altro marrone. Quello al limone significava acidità, dolcezza, un senso frizzantino e gustoso; invece, il cioccolato era più sobrio, eccitante, caldo, amoroso e... disastroso perché rovina la dieta, e non di poco! Cosa scegliere?

Cioccolato o limone?

Decisi di mangiare il muffin più chiaro, i miei occhi si spalancarono, e dalle mie labbra uscì un nome. <<Shawn...>>, non ne capivo il motivo, ma quel gusto mi ricordava quella persona, dall'aspetto alto, muscoloso, capelli un po' ondulati, sorriso rassicurante, occhi castani e capelli scuri. Lo adorai da subito, le voci che da giorni sentivo come sussurri, erano diventate sempre più alte, sempre più insistenti, così tanto da farmi scoppiare la testa. Misi le mani sul capo, cercando di scacciarle via ma era del tutto inutile; mi feci sopraffare dal volume troppo alto accovacciandomi a terra inerme, chiusi gli occhi spaventata. Stavo piangendo così forte da dimenticare di respirare, le ginocchia erano al petto, le mani unite su di esse. Mi sentì stanca, il mio corpo collassò e persi i sensi.

Quando ripresi il controllo del mio organismo, aprì lentamente le palpebre mettendo a fuoco l'immagine dinanzi a me che si fece sempre più vivida. Era un ambiente spoglio, ricoperto di bianco e mi mise così tanta malinconia... dopo qualche attimo, un urlo di gioia invase la stanza, e io sobbalzai spaventata, guardandomi intorno, ma non c'era nessuno. Poi, mi accorsi di una vetrata, posta alla mia destra. Lì c'era mia zia Alexandra, che aveva le mani dinanzi alla bocca. Volevo consolarla come era mio solito fare, ma sapevo che non era nelle mie possibilità. Un medico fece la sua comparsa nella stanza con un gran sorriso sollevato. 

<<Signorina Albert... c'è l'ha fatta. Siamo così fieri di lei e della sua forza, piccola leonessa>>, quel nome, quelle parole... le usava spesso mio padre per ringraziarmi. Ma lui, come faceva a conoscerle?

<<La ringrazio. Ha usato parole che...>>, iniziai a dire. Ma venni interrotta da lui che continuò la mia frase.

<<Diceva suo padre? Lo so bene questo. Mi chiamo Daniel, spesso ho guarito e motivato suo padre. Era una persona così genuina... mi manca molto>>, mi rivelò guardandomi sconsolato.

<<Anche a me, signore. Mi creda...>>, mormorai sul punto di piangere.

<<Sono felice che non lo abbia dimenticato>>.

<<Come potrei dimenticare la persona che mi ha messo al mondo? Colui che ci è sempre stato, anche quando era in fin di vita. Mi ripeteva che ero una leonessa fino al suo ultimo respiro... l'amore che provo per lui è semplicemente incondizionato>>, lo ricordai con un sorriso riconoscente.

<<Torniamo a noi, devo comunicarle una cosa per niente facile>>, prese un gran sospiro prima di continuare <<lei ha subìto un trauma cranico. Il suo cervello funziona perfettamente, ma abbiamo qualche dubbio a riguardo del suo fisico, con qualche terapia però riprenderà tutte le funzioni di una persona normale. Potrebbe aver dimenticato qualcuno, però>>, mi comunicò controllando il fascicolo che aveva in mano.

<<Da quanto tempo stavo dormendo?>>, chiesi dubbiosa.

<<Un mese>>, rispose prima di raggiungere la porta.

<<Daniel>>, lo chiamai. L'uomo si girò di qualche grado verso di me <<può far entrare mia zia?>>, mi sorrise e annuì, facendola entrare. 

Lei entrò e con gran forza, mi avvolse tra le sue braccia, mi riempì di baci sulla guancia, felicissima di vedermi. Piangeva dalla troppa felicità, così mi ritrovai ad asciugarle gli occhi, dicendole che non l'avrei lasciata per nulla al mondo. Mentre mi stava raccontando della sua relazione con il signor Frank con particolare entusiasmo, un ragazzo fece la sua comparsa nella stanza. Era un bel tipo senza ombra di dubbio, aveva un ciuffo biondo, un bel visetto che mi ricordava il signor Frank, e due braccia completamente tatuate. Zia chiamò il tipo <<Justin!>>, e io lo guardai turbata <<forse, vorrai parlare con Jessica. Vi lascio soli>>, ci informò prima di andarsene.

Non sapevo come comportarmi, per cui gli sorrisi come una stupida perché dovevo ammetterlo, era davvero bello! <<Salve>>, lo salutai timidamente.

<<Oh, Jess... sono così felice che tu sia sveglia. Sto andando in riabilitazione per smettere con la droga, tutto questo grazie a te. Sto anche iniziando a lavorare! Una casa discografica ha deciso di darmi un contratto, e sto rinascendo>>, mi spiegò guardandomi con gli occhi che brillavano.

<<A me fa immensamente piacere per te, Justin>>, dissi cercando di non sembrare smemorata. Ma lo ero!

<<Cosa ti sta succedendo?>>, chiese d'un tratto guardandomi dritto negli occhi preoccupato.

<<Io... io non so chi sei. Non ti conosco>>, confessai in imbarazzo toccandomi i capelli che, stranamente, profumavano di lavanda.

Il suo sguardo divenne spento, la sua espressione cupa e vagamente arrabbiata, appoggiai una mano sulla sua spalla iniziando ad accarezzarla <<non ti ricordi di me>>, sussurrò con un tono indecifrabile. 

<<Se sono stata capace di farti cambiare la vita, allora lo sarai stato anche tu... Juss>>, dissi cercando di tirarlo su di morale. Il suo capo si alzò di scatto, e mi guardò con stupore.

<<Ripetilo>>, chiese.

<<Che ti ho cambiato la vita?>>, domandai confusa.

<<No. L'ultima parola>>.

<<Juss... ho detto Juss. Non conosco il motivo, mi è venuto spontaneo chiamarti così. Perché? E' una cosa così orribile?>>, cercai di spiegare alzando le spalle.

<<Per niente, Jess. Per niente>>.

Mi sorrise, iniziò ad accarezzarmi la guancia destra e sentì dei brividi percorrermi la schiena, come se si fosse risvegliato qualcosa. Le sue braccia avvolsero il mio corpicino, facendomi sentire stranamente a casa.

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