Maddalena
Pranzai con un panino appena scesa dalla stazione. Alessandro giurò di non avere fame e mi comprò tutto quello che credeva mi servisse, -acqua, bibite gassate, gomme- compreso il superfluo, come una sciarpa dal motivo militare che mi avvolse attorno al collo. Lui aveva già la sua, e aveva anche la felpa, i pantaloni e gli stivali abbinati, e non gli sembrava equo che io non indossassi nulla che richiamasse la giornata successiva dell'Alzabandiera di dicembre.
Quando trovammo un albergo che faceva al caso nostro, capì che avrebbe dovuto spendere i soldi più oculatamente e che non avrebbe potuto sganciare mance al personale come era solito fare quando viaggiava con i genitori. Temeva che i soldi non sarebbero bastati se si fosse abbandonato a spese inutili. Mi meravigliava sentirlo esprimersi in discorsi simili, lui che proveniva da una famiglia ben più che agiata, piuttosto ricchissima, e sotto l'apparente indifferenza, sapevo che anche lui ne restava turbato, ma sosteneva che avrebbe dovuto abituarsi.
L'hotel restava incanalato in una delle viuzze storte e strette del centro storico di Modena, a pochi passi dal Duomo e dal Palazzo Ducale in cui aveva sede l'Accademia. Entrare in una camera che avremmo dovuto condividere fu uno spettacolo che mi turbò. Era ben illuminata, con una finestra che dava su una casa medievale color salmone, due lettini bianchi e una piccola scrivania in legno.
I problemi approdarono quando sua madre lo chiamò mentre lasciava cadere il suo borsone a terra. Con ogni affettività ibernata, disse che si erano accorti della sua assenza solamente perché Edoardo chiamava il suo nome senza ricevere risposta. Il bambino era stato un coro di lamenti tutta la sera. <<Siete voi che lo fate sentir solo>> rispose Alessandro. Non ci fu una scena di disperazione convulsa come era successo con mia madre. Gli Altieri erano categorici e radicali, e si limitarono a sfornargli il presagio della punizione che doveva attenderlo. Suo padre aveva già giurato di portarlo da uno psicologo quando fosse tornato a Roma.
<<Mi dispiace di averti coinvolta in questo guaio>> mi disse quella sera. <<I miei genitori mi credono pazzo.>>
<<Forse lo sei.>>
<<Sì?>>
<<Ma sei anche un piacevole originale. Non ti capiscono perché non hanno voluto conoscerti.>>
<<Ho solo le idee chiare. Non sono originale>> replicò. Si sfilò la maglia, rimase per qualche momento a petto nudo. Sembrava non sentire il freddo che scorticava la pelle. <<E tu che cosa vuoi fare?>>
<<Da grande?>>
<<Non sei già grande?>>
<<Beh, io non lo so. Qualcosa farò. Potrei anche pitturare le panchine di tutta Roma.>>
Rise e si infilò sotto le coperte. Vidi il profilo della sua mascella forte da Adone. Era talmente alto che le dita dei piedi sbucavano fuori dalle lenzuola. Rimase per un istante a fissare il soffitto, poi si voltò su un fianco, verso di me. Aveva le spalle larghe, in grado di parare un colpo mortale. Immaginai fosse merito della scherma.
<<Non ti spogli?>>
<<Rimango vestita>> dissi.
<<Dormirai male. E poi non ti guardo, se non vuoi. Non mi chiamo Riccardo.>>
Mi sentii subito il cuore pesante e gli occhi lustri. Mi chiesi che cosa stesse facendo Riccardo in quel momento, se ci pensasse assieme, vagando per Roma con una bottiglia di birra tra le mani, con la testa che girava, non riconoscendo sul marciapiede la sua auto. Forse era in compagnia, come mi aveva promesso avrebbe fatto.
Mi diressi in bagno e lì mi spogliai. Non avevo portato con me un pigiama, ma una veste da camera leggera, di quelle che mia madre credeva servissero per le urgenze, come per gli occasionali ricoveri in ospedale. D'un tratto guardai lo specchio rotondo e appannato sopra il lavabo in ceramica e fu come se la cogliessi la sua presenza nell'aria, proprio dietro di me, appoggiata agli stipiti della porta, con la voce apprensiva che mi ordinava di trangugiare la pillola di antidepressivi.
Aprii la porta con uno scatto.
<<Io non sono depressa, Alessandro.>>
<<Cosa?>>
<<So che hai sentito la conversazione, stamattina in treno. Il mio cellulare non copre bene le voci.>>
Lui sospirò e si alzò a sedere, il lenzuolo che gli scivolava giù dalle spalle.
<<Hai frainteso. Mia madre è fatta così: non sa esprimersi bene. È lei che prende antidepressivi. Lo fa da quando è morto Simone. Però sa che si è legata troppo a quelle pillole e non vuole esserne troppo dipendente, anche se lo psichiatra gliele ha prescritte.>> Presi fiato. <<Quindi mi chiede di portargliele via. Altrimenti lei ne prende sempre una dose doppia.>>
<<Va bene>> disse lui, conciso.
<<Va davvero bene?>>
<<Certo.>> Fece un cenno del capo verso il mio letto. <<Ora dormi.>>
Ci provai, a dormire. Nel buio della stanza, riluceva superba la luce del lampione agganciato alla vecchia casa color salmone. La veglia non mi abbandonò neppure per un istante, quella notte.
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Alle sette e mezza della mattina successiva eravamo già davanti all'Accademia, primi fra tutti gli spettatori, dietro un nastro bianco che ci teneva confinati vicino ai portici di una serie di palazzi rossastri che incorniciavano Piazza Roma, tutta allestita. Avevamo camminato per Largo San Giorgio a passo serrato, e chi era già in piedi ci aveva guardato con stupore: abituati come eravamo a Roma, ogni città ci sembrava pericolosa come una foresta fitta.
Alessandro diceva che voleva guardare il Palazzo Ducale, quando ancora non c'era nessuno. Arsa dal sole, la sua facciata barocca era maestosa e principesca. Oltre la porta centrale aperta si scorgeva il cortile d'onore.
Camminava avanti e indietro, con le braccia congiunte dietro la schiena, soldatesco. Se avesse avuto appeso al fianco il suo fioretto, sarebbe stato elegante. In realtà, il suo fisico prorompente emanava, questa volta differentemente dalle precedenti, impeto. Il completo quasi sportivo a motivi militari che indossava lo rendeva semplice e forte. Intanto, io stringevo al collo la sciarpa che mi aveva regalato e ne aspiravo l'odore.
La cerimonia iniziò sotto un cielo striato di blu e con molti meno spettatori rispetto a quelli che Alessandro si era immaginato. Guardava quelle settanta persone presenti –non di più- con profondo dissenso. Disse che i modenesi dovevano averci preso l'abitudine.
Si articolò una lieve marcia scandita dai suoni di alcuni tamburi. Sotto i portici, si susseguirono scambi di parole frenetici, poi la gazzarra si acquietò quando venne annunciata l'entrata del Reggimento Allievi. Alessandro mi venne a quel punto vicino, in attesa, le labbra piene dischiuse. Maculato di tensione, il suo profilo era rigido, il suo corpo immobile. Si aggrappava a quella visione come ad una zattera.
I soldati –uomini e donne- entrarono dalla porta centrale del Palazzo Ducale, con lo stesso armonico e regolato incedere, lo stesso numero di passi, la stessa velocità, lo stesso cadenzato oscillare del braccio, dritto, lungo il fianco. Venne prima una fila di undici soldati, impettiti, -alcuni armati- che andarono a posizionarsi accanto alla bandiera italiana e europea sotto un grande monumento statuario nella piazza. Poi seguirono tre reparti, compattati come uno stormo di sparvieri in fila, che si disposero ordinatamente l'uno dopo l'altro dirimpetto alle due bandiere. Indossavano una giubba scura con doppia abbottonatura dorata, i risvolti ampi delle maniche rossi, pantaloni celesti, un copricapo simile ad una scodella nera con uno stemma dorato e guanti bianchi. Erano in molti, ma in realtà non se ne vedeva quasi nessuno. Immaginavo che Alessandro dovesse essere nato per apparire e avrebbe dovuto occupare un posto in prima fila.
Agli ordini lanciati a gran voce, tutti si spostavano di un passo, sbattevano il piede a terra, ricongiungevano le gambe o giravano la testa, in un moto uniforme.
Mi chiesi se in quell'inquietante ma meraviglioso pullulare di uomini, ci fossero giovani facinorosi addestrati però all'arte del comando e dell'obbedienza o se, tra compagni, si consumassero liti caparbie durante le notti. Mio padre mi aveva sempre detto che il servizio militare non era semplice, per lui non lo era stato. Una volta avevano insultato sua sorella e il diverbio si era concluso con del sangue.
Venne gridato Alzabandiera! e partì l'Inno di Mameli. Alcuni soldati portarono la mano aperta, le dita unite, alla fronte, lo sguardo alto, con fermezza e fierezza. Anche Alessandro lo fece: si segnò anche lui, come ci si segna in chiesa accanto all'acquasantiera. Ero abbastanza vicina per notare lo sguardo curioso di un soldato che si posò su di lui. Si guardarono. Ebbi come l'impressione che si conoscessero da sempre, che non si rivedessero da molto tempo, e che ora si riconoscessero. Cantarono, osservandosi occasionalmente, come due fratelli di anima.
Mentre le sue labbra si muovevano, il corpo di Alessandro era come disabitato. Aleggiavano attorno di lui una nervosa frustrazione e un'imperante volontà, che si facevano guerra fra di loro, e io avvertivo il suo disagio come se fosse una stoffa bollente che mi pizzicava. Aveva l'aria di un uomo già esperto e consumato, ma in realtà un timore lo scuoteva e lo faceva tremare tutto, a volte: il suo futuro incerto e in balìa di un timone che non era il suo non lo rassicurava.
<<Ti dovrai tagliare i capelli quando entrerai?>> gli domandai.
Lui sorrise. <<Sì. Non possono essere folti. A te piacciono così?>>
<<Sì.>>
Ci fu una pausa.
<<Quando ti arruolerai, penserai un po' a noi?>>
<<Certo che lo farò. Perché?>>
<<Perché chi va non ritorna mai, neppure con il pensiero.>>
<<Io ritornerò.>>
Gli volli credere. Poi, quando smise di tremare lui, iniziai a tremare io. Il Reggimento Allievi era fermo e divenne protagonista di una visione che mi turbò, uno spettacolo che non capii, ma che mi offese:I soldati sono tutti neri, scuri anche in viso. L'aria è carica di una caligine e di una lanugine bianca. Sembrano angeli macchiati, peccatori. Si muovono ai comandi, con le braccia e con le gambe. Una voce, dalla terza fila si leva più in ritardo delle altre, spenta e flebile. Ne distinguo la sagoma. L'uomo non è nero come gli altri: attorno a lui si propaga un vortice di luce rossa e verde.
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Che ne dite di questa coppia? A me piacciono tanto! Alessandro è un vero galantuomo *-*
Tengo molto a questo capitolo, a livello personale, all'atmosfera che ho tentato di ricreare. Spero che sia piaciuto anche a voi! Fatemi sapere nei commenti!
Grazie mille a tutti!
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I cinque nomi di Roma
General FictionLa storia tratteggia le vite di cinque amici che vivono a Roma, un sottofondo pulsante e onnipresente, che annebbia agli occhi altrui le personalità di Maddalena, adolescente sensitiva dotata di poteri di chiaroveggenza, innamorata del bell'Alessand...