L'ULTIMA SPIAGGIA

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ATTENZIONE: spoiler per chi non ha ancora letto Gelo.


"Ma che piccola storia ignobile

mi tocca raccontare ..."

F. Guccini.








La sabbia è fredda.

Il telo verde con cui mi hanno coperto non riesce a riscaldarmi: sarà perché ho perso troppo sangue o, forse, perché sono morta.

Ieri sera Lui non è riuscito a fermarsi: i lividi non gli sono bastati, non gli sono bastate le suppliche.

Ha preteso il mio sangue.

Ha voluto la mia vita.

Avevo tutto: un marito che mi amava, un figlio adorante, una figlia splendida.

E una vita, forse un po' noiosa, ma piacevole.

Eppure, un malaugurato giorno, ho barattato le mie certezze con l'inferno.

Perché?

Me lo sono domandato molte volte. Ho trovato mille giustificazioni ma nessuna, vera ragione.

-.-.-.-.-.-.-.-

Il primo giorno di primavera fuggii a Milano.

Accompagnati i bambini a scuola, non avevo nessuna voglia di andare in ditta a parlare di tavoli e sedie.

Desideravo sentire la città scorrermi nelle vene, levarmi l'aria stantia di provincia dai pori della pelle.

Mi abbandonai al piacere di camminare in un quartiere ignoto a chi non possiede Milano, percorrendo le vie che mio padre amava rivelarmi quando passeggiavamo insieme, fingendo di perderci in quella metropoli stampata a ragnatela sulle cartine topografiche.

Vecchie ville costeggiavano strade poco trafficate; i viali lontani rimandavano gli echi del traffico.

Un bar antico si affacciava su una piccola piazzetta, sconosciuta ai turisti e ai pendolari dello shopping. Il suo caffè profumava di nebbia anche in piena estate.

Entrai per ritrovare l'aroma della mia adolescenza, i sogni di una ragazza un po' viziata, alla quale era stato insegnato che le cose belle vanno ricercate dentro stanze fumose, dietro angoli sconosciuti di sentieri impervi.

Mio padre amava la bellezza e mi aveva spinta a cercarla, ad apprezzarla e amarla in ogni sua forma.

Le mie abili mani gli avevano regalato la speranza di una figlia artista.

Il mio matrimonio, con un industriale della Brianza, aveva gelato le sue ambizioni.

"Le tue mani dovrebbero dipingere sogni, invece schizzano armadi e comodini. Non hai bisogno di lavorare e, grazie al cielo, hai una dote preziosa. Potresti vivere a Parigi, a New York, ovunque... e ti vai a rinchiudere in un buco di culo pieno di pregiudizi e ottusità."

La mia ribellione era stata pacifica: ai venti di libertà avevo preferito l'adorazione che leggevo negli occhi di mio marito.

Per lui ero io l'opera d'arte perfetta. Mi aveva messo su un piedistallo e non passava giorno che non mi dimostrasse la sua dedizione, con i suoi modi discreti e delicati, quasi fossi di porcellana.

Troppo delicati, troppo discreti.

Entrai nel bar e mi sedetti a un tavolino accanto alla vetrina, in modo da poter osservare il giardino dirimpetto.

Senza bisogno di ordinare Oreste, il proprietario, mi portò un caffè e un piattino con tre dei miei biscotti preferiti.

"Ciao, mia cara. Come sta Leo?"

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 02, 2018 ⏰

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