L'importante non è quanto aspetti, ma chi aspetti

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~L'importante non è quanto aspetti, ma chi aspetti~

~L'importante non è quanto aspetti, ma chi aspetti~

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La testa tra le mani. Il battito a mille. La consapevolezza del nulla più assoluto.

Valerie continua a pensare di essere capitata in un enorme vortice e non riesce in nessun modo ad evitare di essere risucchiata sempre di più. È come sei lei fosse il polo positivo della calamita e il fondo di questa voragine quello negativo: si attirano inesorabilmente.

I medici non si sbilanciano, dicono che lui sta meglio ma è ancora in coma. D'altronde, in neanche un giorno non può succedere tutto. I miglioramenti arrivano di solito dopo uno o due giorni, ma si può ancora pensare che nella sera ci sia un cambiamento delle sue condizioni. È, come direbbe un comune mortale, stazionario.

Lei, nonostante tutto, continua a sperare. Dentro di sé, anche se quasi invisibile, la speranza c'è ancora, non se n'è andata come hanno invece fatto la certezza e la sicurezza. È perché ha già perso la speranza una volta e l'ha ritrovata solo grazie a Dorian. E ora che rischia di perdere lui, deve fare di tutto per non smarrirla di nuovo e infossarsi ancora di più nel buco nero che l'ha inghiottita.

La sedia blu del corridoio è ormai diventata la sua migliore amica, la macchinetta del caffè invece è il suo panorama preferito. Pensa di dover essere davvero messa male per avere come amici una sedia e una macchina, ma se sono le uniche cose a cui riesce a prestare attenzione senza deprimersi, allora se le fa andare bene per forza.

Fissa la tendina verde di fronte a sé, non riuscendo a mettere bene a fuoco cosa c'è oltre. Lo sa perfettamente, ma non lo vuole ammettere a sé stessa, non può e non riesce a credere che Dorian stia rischiando la vita.

Si sente in un certo senso colpevole, perché è lei che lui stava seguendo quando è avvenuto l'incidente. È stata lei a correre imprudentemente in mezzo a un ponte facendosi prendere troppo dalla felicità. È state lei a indurre Dorian a seguirla in quella pazza corsa, e sente che non riuscirà mai a perdonarselo.

Dorian's POV

È mentre sto ancora cadendo che sento improvvisamente qualcosa di duro impattare con la mia schiena. È liscio, senza sporgenze, come il marmo. Mi giro e vedendo la sabbia mi rendo conto che sono sul fondo del mare. Il problema è che non sto risalendo in superficie, normalmente dovrei essere morto per restare qui. Riesco a respirare sott'acqua! Non ha assolutamente senso. Perché dovrei essere un anfibio? Sono un uomo, e gli uomini non sono anfibi.

Decido che la mia visita nel fondo dell'oceano è finita e cerco di spingermi verso l'alto. Ma qui la gravità sembra funzionare come sulla terraferma, perciò torno sempre verso il basso come se non avessi fatto niente. È molto strano che si possa tranquillamente passeggiare sul fondo dell'oceano e comincio a pensare che sia tutto sbagliato e che sia io ad avere qualche problema al posto del mare. Cammino un po' per vedere cosa posso fare, se trovo qualcosa con cui mi possa tirare su.

A un tratto scorgo una di quelle scalette da piscina appoggiata a una parete. In acqua? Cosa ci fa una parete di cemento nell'oceano? In più con una scala a pioli in acciaio inox attaccata. Bah. Lo scoprirò dopo, ora penso a salire.

Metto il piede sul primo gradino, e mi costa una fatica immensa farlo. Il secondo va già meglio, così come il terzo, il quarto e quelli successivi. Al quindicesimo salgo come si fa normalmente con le scale, non mi sento più attrarre dal suolo come prima.

Al contrario di poco fa, ora continuo a salire, su, fino all'infinito. Tutta la strada che prima ho percorso cadendo, ora che mi sono alzato in piedi la devo fare in salita, come accade normalmente nella vita. La mia direzione, ora, è la liberà. Vado verso la salvezza. O meglio, verso la sicurezza di sapere cosa mi sta capitando.

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