CAPITOLO 3

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Mi lancio a pancia all'aria sul lettone e mi stropiccio gli occhi.

Non voglio uscire questa sera, non sono dell'umore. Ma sicuramente non mi farebbe restare a casa e se glielo andassi a chiedere, si arrabbierebbe ancora di più.

Mi alzo svogliata dal letto e cerco un vestito carino tra la poca roba che ho portato da Boston.

Indosso un vestito fin poco giù al ginocchio, color Tiffany, con strati di tulle grigi.

Scarpe nere con un tacco sei e coprispalle grigio.

Mi sistemo i capelli raccogliendoli in una lunga treccia.

La mia immagine riflessa nello specchio, mi ricorda quella di mia madre. Tutti dicono che sono uguale a lei quando era giovane. I lineamenti dolci, il naso importante e il taglio degli occhi incavati disegnano il ritratto di mia madre.

Mi trucco in un modo leggero, solo per dare colorito al viso.
Un po' di eyeliner, qualche spruzzo di un profumo che mi portò mia mamma da un suo viaggio di lavoro e sono pronta.

Prima di scendere passo dalla camera di Tobias.

Busso alla porta "Nanerottolo, sei pronto?", sbircio dentro la sua stanza.

"No."

"Come no?"

"Entra."

Spalanco la porta e, quando entro, lo trovo seduto a terra. Immerso in un mare di vestiti.

"Oh Tobias, cos'hai combinato?", mi porto una mano alla fronte.

"Non sapevo cosa mettere!", dice dispiaciuto.

"Potevi chiedere a me, ero solamente nella stanza di fianco.", gesticolo più del solito.

"Scusa."

Quando combina qualche danno si capisce subito.
Se ne sta in silenzio guardandosi le scarpe, mentre giocherella con le dita.

"Ti trovo io qualcosa da mettere."

"Grazie."

Cerco di raccogliere tra tutti quei vestiti qualcosa che si adatti a questa serata.

Mi accovaccio per raccogliere il giacchino nero e i suoi corrispondenti pantaloni della stessa tinta.

"Ecco. Tieni questi."

"Sicura?"

Alzo un sopracciglio in tutta risposta.

"Ti aiuto a cambiarti?"

"Sì, perfavore."

Messo il giacchino, passo ai pantaloni.

"Ragazzi.", bussa mio padre da fuori "siete pronti? È tardi.", ci avvisa.

"Sì, abbiamo quasi fatto."

"Le scarpe. Mancano le scarpe.", dico guardandolo meglio.

"Quelle vanno bene?", chiede Tobias indicando un paio di mocassini sotto al mobile.

"Sì, perfette."

Le va a prendere e, dopo averle infilate ai piedi, gliele allaccio.

"Bravissimo, dai ora andiamo che è tardi."

Apriamo la porta e ci appare la figura in smoking di nostro padre.

"Quanta eleganza.", affermo squadrandolo da testa a piedi.

"Siete bellissimi."

"Anche tu papá."

"Dai su, tutti a bordo."

Usciamo dalla nuova casa e saliamo in macchina.

Oramai io e Tobias sediamo entrambi dietro da qualche anno, per evitare eventuali litigi a chi spetterebbe il posto davanti. Ma la riposta è ovvia.

"Ci siete?"

"Sì.", rispondiamo in coro.

Dopo circa un quarto d'ora arriviamo al ristorante.

È un ristorante italiano chiamato 'L'arte della cucina'.

L'insegna luminosa blu rappresenta al lato una bandiera italiana, dei colori sgargianti per dare nell'occhio, e qualche dettaglio messo a punto piu in lá.

Entriamo e mio padre si dirige al bancone.

"Buona sera, noi avremo prenotato un tavolo a nome Carter."

Non so quando abbia prenotato qui dato che siamo arrivati in città da poco più di tredici ore.

"Sì. Prego mi segua, tavolo trentadue."

Ci accompagna al tavolo e ci rende tre menù.

"Cosa vuoi tu Tobias?"

"Pizza con le patatine e i wrüstel."

Rido per il suo modo buffo di pronunciare la parola Wrüstel.

"Tu Morgan? Cosa hai scelto?"

"Io penso prenderò la carbonara."

Mio padre cattura l'attenzione del cameriere sventolando la mano a mezz'aria e riusciamo ad ordinare i nostri piatti.

Nel mentre che aspettiamo, papà ci racconta che questa città è piena di segreti e di avvistamenti di cose strane.

Spalanco gli occhi alla parola 'strane'.

Strane? Sono fatte per me.

"In che senso strane?", chiedo incuriosita.

Appoggio i gomiti sul tavolo e stringo le mani in due pugni, appoggiandoci sopra il mento.

"Sono un poliziotto, mica un detective."

So che lo sa. L'hanno chiamato proprio per questo motivo.

"Sarà.", rispondo dubbiosa concentrando la mia attenzione sull'orlo della tovaglia bianca perla.

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Sono sdraiata sotto le lenzuola del mio nuovo letto.

Guardo la luce della notte che entra insinuosa nella mia stanza.

La luna a volte sento che mi parla. Quando piango illumina le mie lacrime, come se volesse asciugarle.

Quando sorrido brilla di più.

Una folata di vento mi provoca brividi ovunque.

"Mamma.", sussurro stringendo il cuscino.

"Non andare, devo parlarti. Ho paura per la nuova scuola, ho paura di non essere accettata. Ti prego, promettimi di non lasciarmi mai sola..."

La pelle d'oca si fa strada su tutto il corpo.

Lei è qui.

"Grazie, buona notte mamma. Ti voglio bene."

Affondo la mia guancia sul cuscino e resto a guardare ancora la luna, prima di addormentarmi.

Un segreto da custodireDove le storie prendono vita. Scoprilo ora