ALL’INFERNO.
Dicono che quando muori tutta la vita ti scorre davanti, come in un film. A me non è successo: mi è caduto qualcosa in testa, e tanti saluti. Mi piacerebbe, averla vista, la mia vita in un film, così adesso saprei perché mi ritrovo, in questo cazzo di posto. E sì, belli, perché sapete, da morto dove sono finito?
All’inferno. Mi sono risvegliato incatenato a testa in giù, nudo, a una roccia (credo sia una stalagmite, giusto?) Va dal basso verso l’alto, dovrebbe proprio essere una stalagmite… ma che ve lo dico a fare? Mica potete venire qua a correggermi, giusto?), con un demone dall’alito fetido che mi punzecchia continuamente con un pungolo elettronico, di quelli che usano per il bestiame. Mi sono svegliato qui, e non so perché, e c’è ‘sto stronzo che mi pungola e se la ride. Io urlo, lo insulto, lui ride e prosegue a pungolarmi. Forse non capisce neanche quello che dico. Boh. Ogni tanto c’è il “cambio della guardia”, arriva un altro a prendere il suo posto, e si scambiano qualche parola. Qualche grugnito. Voi direte che così posso tirare il fiato e riposarmi. No: è peggio di prima! Mi sorbisco tutte le urla e le lamentele degli altri dannati: dai semplici “ah che dolore” e “Oh, come soffro!” , a più articolati “oh, come sono sfortunato!”, “vi prego, non lo faccio più” (e ti credo: te l’hanno spiegato che sei morto?) a più articolate giustificazioni sui loro peccati e sul perché li abbiano commessi. “Se quel giorno non avessi scippato la vecchia, lei non avrebbe picchiato la testa e non sarebbe morta”, “se mio marito non mi avesse trascurata io non gli avrei fatto le corna. Con suo fratello”, “se non avessi schiavizzato tutte quelle ragazze”. Uno una volta è stato fantastico: “Non è colpa mia se non ho trovato lavoro e ho dovuto spacciare per vivere”. Mitico. E c’è pure gente famosa! Tantalo, ad esempio! Quello circondato da frutti che non può cogliere e acqua che non può bere perché quando tende le mani questi si allontanano. E lui geme per la fame e la sete. E continua a tendere le mani e a provare a bere, nonostante che in tutti questi secoli non ci sia riuscito. E chiede a tutti quelli che passano se possono aiutarlo. Quantomeno patetico. Poi c’è la coppia Ugolino-Ruggeri. Il primo, ve lo ricorderete, è quello di Mai Dire Gol. Scherzo, è quello rinchiuso nella torre eccetera. Sì, su questo Dante ci ha azzeccato. L’arcivescovo si lamenta di esser sbranato dal Conte, il quale si lamenta di dover sbranare l’Arcivescovo. Ma cazzo, lui le prende, tu gliele dai, stai messo meglio di tutti noi poveri scellerati, no?
Uno dei pochi motivi di divertimento è nel guardare, quando riesco, il girone dei lussuriosi, su cui però temo di non poter scendere nei dettagli. Vi basti sapere che ci sono due tipe che si devono dare un gran daffare: tale Geltrude e tale Lucrezia. Entrambe hanno avuto a che fare con il mondo religioso, mi sembra di capire. L’unico momento di divertimento, invece e per fortuna, lo regala Sisifo. Prende questo macigno, lo spinge in cima al monte, e una volta arrivato a destinazione, mentre si asciuga il sudore dalla fronte, la roccia rotola giù. E lui ogni volta fa una faccia… indescrivibile. Ma io mi chiedo: quanti anni sono che fai ‘sta cosa del macigno? Ma non lo capisci che non starà su mai? E ogni volta ti viene fuori quella faccia delusa? Ah, che babbeo. Io qualche giorno glielo dico quanto è scemo. Che poi non è che qui ci sia un “giorno”, un “oggi”, un “ieri”. in pratica da quando sono qui, è stato tutto un unico lunghissimo continuo giorno. Quindi perché dico così? Posso dirglielo subito, no?
«Sisifo, sei un imbecille!»
Non so se mi ha capito, ma si gira verso di me.
«Quel masso non resterà mai su, coglione! È inutile che tutte le volte fai quella faccia delusa. Da quanto tempo sei qua? E non l’hai ancora capito?».
Per un attimo tutto l’inferno (o per lo meno la porzione che posso vedere io) si blocca. Silenzio (mi verrebbe da dire “un silenzio d’inferno”, ma non penso sia il caso). Vedo Sisifo che dall’alto della sua montagna, guarda prima me, poi il masso, poi ancora me, poi ancora il masso. Scende e ricomincia a spingerlo. Imbecille. Non ha capito un cazzo. Tutto l’inferno riprende il suo tran tran. Il mio demonietto (in totale sono cinque o sei a darsi il cambio, si assomigliano molto tra loro ma ormai li riconosco) prosegue a pungolarmi, io sono incazzato nero, credo che il castigo peggiore non siano le pungolate né l’alito fetido di ’sti demoni, ma proprio il dover sorbire tutte le lamentele degli altri dannati. In pratica, mentre i diavoli ci torturano, noi ci torturiamo a vicenda. E più la gente si lamenta, più sente il diritto di lamentarsi in un circolo vizioso di dolore, lamentele, pessimismo e fastidio.
Non ce la faccio. Sbotto:
«Basta lamentarvi, coglioni senza dignità!»
Di nuovo, tutti zitti. Pure il mio demonietto di turno si ferma.
«Se siamo qui è perché siamo stati uno figlio di puttana peggio dell’altro, quindi perché lamentarci? Subiamo quanto dobbiamo in silenzio, e basta, no? E che cazzo!».
Il demonietto mi guarda, i dannati mi guardano, i demonietti degli altri dannati mi guardano. Insomma mi guardano tutti. Io fisso il mio demonietto e gli dico:
«Cazzo guardi? Fai il tuo lavoro e non rompere».
Quello fa una smorfia e ricomincia il suo lavoro. Piano piano, tutti i suoi “colleghi” lo seguono. Ma ora l’atmosfera è diversa: ci metto un po’ ad accorgermene, ma non si odono più lamentele, i gemiti di dolore sono più sommessi. Sembra che i dannati non patiscano più, o lo facciano meno. Un demonietto getta la frusta e si allontana dal suo dannato. Un secondo cerca di fermarlo, ma non ce la fa: quello prende e si allontana. Un terzo lo segue, e allora anche il secondo si accoda. Un altro demone, stavolta bello grosso sembra richiamarli all’ordine. Il primo dei tre gli risponde qualcosa. Sento un ruggito, da dove sono non riesco a vedere. Ormai tutti i demonietti torturatori si sono fermati. Alcuni parlottano, altri sembrano in attesa. Arriva una nuova voce, come un ruggito fragoroso. Tutti corrono a riprendere il loro posto e la loro attività. Vuoi vedere che era il gran capo in persona? E rieccoli lì di nuovo a frustare, pungolare, tirare… abbi, vi risparmierò i dettagli più raccapriccianti. Ma ora l’atmosfera è più pacata, più noiosa… forse addirittura triste. Scazzata? Si può dire “scazzata” all’inferno? C’è un cambio di turno, un altro, poi arriva un demone, un po’ più grosso degli altri, suona una tromba (il primo vero suono fastidioso da un bel po’ di tempo in qua), e con una serie di grugniti legge una pergamena (o qualcosa di simile). Un sospiro di delusione da alcuni demonietti, di sollievo da parte di altri e poi… veniamo liberati??? Non ci credo!!! Io vengo slegato dalle mie catene, Tantalo tirato fuori dal suo laghetto (però non gli fanno bere né mangiare nulla, bastardi!), Geltrude e Lucrezia lasciate andare da… no, non volete saperlo per davvero. Ci mettono in fila, e ci indicano una porta. Noi li guardiamo attoniti. Un demone, abbastanza grosso, schiocca una frusta e i primi dannati si avviano verso l’uscita. Io li seguo, ma tutti ci fermiamo, quando udiamo un grido di vittoria: è Sisifo con quel suo stramaledettissimo macigno. Ora è in cima alla montagna, e sta lì. Beato lui.
Dopo un po’ di tempo, siamo tutti fuori da quella grotta che per giorni/anni/secoli (a seconda dei casi) è stata la nostra prigione. Un demone ci urla qualcosa che non capiamo (ma sicuramente non è un saluto), e chiude la porta. Su di essa c’è un insegna: “Per me si va tra la perduta genti”.
Nudi, feriti, affamati (Tantalo soprattutto), senza un soldo e probabilmente senza nemmeno più un parente in vita: un po’ perduti lo siamo ancora, mi dico. Poi però vedo Sisifo, ancora esultante per il suo masso, che riceve i complimenti da Geltrude per i muscoli che gli son venuti. Oh, sapete che vi dico? “Uscimmo a riveder le stelle”: abbiamo tutti una seconda possibilità, quella che molti di noi chiedevano mentre eravamo la sotto: sfruttiamola.
«Signorina Lucrezia, scusi, posso dirle due parole?»