Da piccola sognavo di fare l' architetto, dicevo di voler prendere tante lauree e studiare tutta la vita. Volevo fare l'architetto perché è colui che costruisce, che dal nulla crea qualcosa. Leggevo le storie che raccontavano la nascita degli edifici. Quando guardavo i film ero molto attenta alle strutture, alle case perché mi piaceva molto la sensazione di riconoscimento nel ricordare in quale altro film fossero comparse. Poi ridimensionai il mio sogno e cominciai a sognare di voler fare l'arredatrice d'interni. Ho sempre amato e amo tuttora occuparmi dei dettagli. Non si arreda una casa per riempirla, per avere un divano dal quale guardare un film. Ogni cosa ha un suo posto, due pezzi devono combaciare insieme, i colori devono andare a braccetto, non possono cozzare. Le piante e i fiori vanno in punti strategici, le tende devono filtrare la luce del sole, non devono essere pesanti e devono essere in tono con l'arredamento. L'ordine è una gran cosa, la vista d'insieme in una casa o anche semplicemente in un negozio, ci aiuta a costruirci un'idea: mi piace o no?
Avrei voluto fare anche la psicologa, ma una di quelle brave, che ricorda i nomi di tutte le sue ragazze e di tutti i suoi ragazzi perché era di loro soltanto che avrei voluto occuparmi. Non ci danno molto retta, se siamo compresi in una fascia d'età tra i 13 e i 18, siamo ragazzini in fase adolescenziale, qualsiasi cosa è relativa a questo. Forse un tempo... forse un tempo essere adolescente significava solo questo: essere ragazzini.
Oggi fa paura esserlo perché la nostra realtà attuale fa paura. Ora che sono adulta mi dico che mi farebbe ancora più paura essere adolescente in questa società.
Avrei voluto fare anche l'insegnante di sostegno o tenere gruppi di sostegno.
Sognavo molte cose comunque, finché non ho chiuso i miei sogni in un angusto spazio in fondo alle viscere, ho sognato di essere tante cose, poi ho abbandonato tutto. Non ho voluto frequentare l'università. L'idea di stare ancora tra i banchi, di dare esami davanti a dei professori, i professori stessi.
Ho sviluppato nel tempo un odio e un'ansia verso i professori da far fatica a concepirlo. Avevo il timore ormai dell'ambiente scolastico, di tutto ciò che girava intorno, degli studenti imbecilli e dei professori ancora più imbecilli. Nonostante l'università sia un ambiente diverso, a me l'idea di rivivere quel tipo di situazione faceva venire i brividi. Tuttora entrare in una scuola, come per le votazioni, ad esempio, mi incute soggezione, ansia e mi catapulta indietro, a quando andare a scuola significava avere attacchi di pancia per l'ansia forte.
Mi dispiace molto dover ammettere che per anni ho chiuso tutti i sogni in un cassetto. Ho fatto mille cose, lavorato in tanti Call Center specialmente, ho fatto lavori che mi tenevano dietro le quinte. Nascondermi ha sempre rappresentato una grossa fetta della mia vita, però per due anni non ho fatto nulla, ero nascosta solo nella malattia, vivevo nella malattia, ero la malattia. Vivevo due vite parallele: quella sociale e quella privata. In quella sociale davo un'immagine molto più spensierata, più normale. Avevo qualche amica, avevo Valerio. Uscivo, prendevo caffè e accompagnavo le mie amiche a fare shopping. Dicevano fossi una brava consigliera e non mettevo fretta però per me non compravo mai niente. Non mi piaceva fare shopping in compagnia. Noi ragazze andiamo al bagno insieme e spesso dividiamo anche il camerino, non abbiamo molta privacy tra noi, dobbiamo ammetterlo. L'idea che anche un'amica mi vedesse spogliata e magari non entrare in quel capo preso mi mandava nel panico.
Una mattina avvenne proprio questo. Accompagnai un'amica in un negozio che davvero vendeva pezzi carini. Luisa aveva bisogno di un vestito per la festa di un suo amico e se ne provò tanti. Nel frattempo anche io mi davo un'occhiata in giro, tra i vestiti e i vari capi di una rella notai in vestito carinissimo, dal taglio particolare. Era una lunga blusa leggera dal taglio svasato e blu con una fascia di colore finale marrone, colori questi tra i miei preferiti.
Indecisa sul sì e sul no, se provarlo o meno, alla fine cedetti e mi infilai anche io in un camerino. Mi spogliai senza guardarmi allo specchio e mi infilai il vestito. Con orrore non mi stava. Era così stretto, così soffocante. Guardandomi notai che tutto il mio grasso era in bella vista sotto il tessuto. Sui fianchi si bloccava proprio, il seno schiacciato come il sedere.
Mi guardavo rendendomi conto di quanto fossi ingrassata senza neanche accorgermene.
Vedevo qualcosa di orribile, era assurdo come avessi ridotto il mio corpo che un tempo era stato esile come uno spaghetto. Ora i vestiti mi esplodevano addosso.
Sull'orlo del pianto sussultai quando d'un tratto entrò la mia amica che prontamente mi consigliò una taglia in più.
Guardai la taglia del vestito, avevo preso una M perché era la mia, quella che portavo sempre eppure quel vestito scoppiava.
Mi cambiai in fretta, tornando a casa non pensai ad altro che alla taglia mia che non mi stava più e a come in realtà fosse il mio corpo celatomi dai vestiti larghi e scuri.
Quanto ero ingrassata!
Quanto facevo schifo!
Dieta stretta subito!
Cominciai a misurarmi con il metro da sarta di mia madre, a saltare il pranzo, a comprare mille prodotti dietetici, light e quant'altro ma tutto finiva come al solito, con me che dopo un paio di giorni vissuti ad aria, mi abbuffavo di patatine e abbracciavo il water. Quando la sera chiacchierando al telefono con Valerio, raccontandoci la giornata, mi inventavo tutti i pasti saltati, omettendo le abbuffate, ero una bugiarda.
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Dai disturbi alimentari a te
General FictionVivere con i mostri non è impossibile anzi, forse, gran parte della loro vita scorre insieme a noi. Potremmo non rendercene conto del tempo che passa e per noi è così, smettiamo di contare i giorni quando l'unica cosa che riusciamo a numerare sono l...