«Il pensiero della morte ci inganna, perché ci fa dimenticare di vivere!» – Luc De Vauvenargues.
Potrei abituarmi a stare con lei: dopo tutto, mi ha fatto sopportare quello che mi è capitato. Grazie a lei, imparai a vedere più in là della piccolezza umana: e il nostro egoismo è inutile, proprio perché non siamo nulla di fronte all'universo.
Eppure sprechiamo la nostra intera esistenza, cercando di renderci importanti per qualcuno, o agli occhi di tutti gli altri, per apparire migliori di loro. Tutto inutile. Alla fine, di fronte alla morte, siamo e saremo sempre tutti uguali. Non siamo altro che una effimera routine, agli occhi della morte stessa.
A diciotto anni, non si dovrebbe pensare come sarebbe lasciare questa vita: si dovrebbe solo viverla, la vita: ma una sfavorevole sequenza di situazioni, mi ha portato a saperne molto di più dei miei coetanei.Tutti pensiamo, prima o poi, alla nostra morte. Arriva sempre quell'istante in cui ci balena nella mente il tarlo dell'incertezza umana: e se fosse oggi il mio ultimo giorno? Tutti ad una certa età lo pensiamo. Tutti, nessuno escluso. Anche se io mi trovavo a dover fare i conti, con questo pensiero. Molto prima di quanto avessi previsto.
Eccomi qua. Mi descriverei come il classico sfigatello dei fumetti, quello che cerca di esistere e mostrarsi, ma senza mai veramente apparire nelle vignette. Avete presente quei tizi inutili, disegnati velocemente e incollati sullo sfondo delle vignette? Si, proprio quelli che fanno da contorno alle gesta del vero eroe e posizionati soltanto perché devono esserci, perché devono fare numero, folla, apparenza: ecco, io sono uno di quelli sullo sfondo. Non sono io il protagonista con un metaforico megafono, a cui tutti danno attenzione e gloria... in attesa della sua prossima avventura. Credo che se fossi un fumetto, non mi leggerei. O sorvolerei sulle mie origini, tenendole per ultime.
Certi segreti si sa, a volte rendono meglio, se mai confidati.
Eppure, il pensiero della morte non mi aveva mai davvero spaventato. Neanche quando, la sua sinistra figura, iniziò ad aleggiarmi intorno, e ormai sapevo che per me, era finita.L'ottimismo, mi era del tutto inutile.
Ma quel che detestavo di più erano medici e preti, che ciclicamente entravano nella mia stanza per consolarmi. Magra consolazione, quella di raccontarmi favolette smielate, finali tristi, illustrandomi con paroloni quanto fosse bella ed effimera la vita, quanto fosse preziosa e difficile da preservare. Parlavano solo loro. Linguaggio aulico, corpo rilassato. Non avevano nemmeno una ruga. Non un fattore di stress. Anche le infermiere, tutte perfette. Nemmeno un capello fuori posto. Il tutto, mi sembrava fin troppo irreale, per essere un ospedale. Ero fin troppo tranquillo, per quello che avevo e chiunque, dell'ospedale, con cui cercavo d'avere un dialogo sull'argomento, mi dicevano che era tutto normale e che andava tutto bene. Erano proprio dei politici, nell'assicurarti che loro erano lì per te e al tuo servizio, ma eri tu che li pagavi per fargli tentare di mantenerti in vita. Loro, alla fine del sermone medico o biblico, prendevano il largo da te, con la coscienza pulita e il corpo rilassato. La beatitudine dal senso di colpa: beato chi ha rimorsi, perché tanto la colpa non sarà mai la sua. Alla fine, dopo il sermone medico o biblico, se ne andavano, con l'animo leggero e la mente serena perché tanto non toccava a loro restare nel letto e rischiare di morire da un momento all'altro. In un certo senso, ero io il loro confessore, a cui potevano scaricare la loro falsa speranza e ipocrisia benevola. Tanto, ero io quello che aspettava la morte senza poter fare nulla anzi peggio, sapendo di non poter fare nulla.Tutto iniziò dieci anni fa.
Avevo solo otto anni, dunque.
Mi stavo esercitando nel tuffo dell'angelo, una delle mosse finali del celebre Harley Race, wrestler che ammiravo in modo quasi maniacale. Comunque, tentai la famosa mossa, lanciandomi dal letto a soppalco della mia camera. Erano quasi due metri. D'altezza. Ma non mi venne in mente che ci sarebbero voluti due materassi: il peso, o la gravità, che avrei esercitato, nel mio schiantarmi a terra, la morbidezza del materasso non avrebbe, per nulla, retto. Infatti urtai violentemente. Con: testa, naso e fronte. Contro il pavimento. Per qualche secondo, non sentii nulla, se non un soffocato ronzio nelle orecchie. Poi, nulla, e persi conoscenza.
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The Chronicles of a Hero - 7 Tears
ActionSequel di "The Chronicles of a Hero - Atlas". Dopo gli eventi di Atlas, Foulieur si ritrova a indagare su una serie di casi misteriosi che sembrano ricondurre a una sua vecchia conoscenza. Riuscirà a scendere ancora più in profondità nel torbido del...