Il mio socio non voleva lavorare, invecea me stava a cuore lo stipendio. Era unafonte annosa di battibecchi tra noi.«Uno di noi due non è ricco di suo,sai?» sbottai guardandolo in cagnesco.«A meno che tu non voglia provvedere ame durante la mia vecchiaia, ti consigliocaldamente di metterti d'impegno aevadere le pratiche prima di venerdì. Tiho dato un elenco di cose da fare lungoun chilometro.»Alex Kennedy avrebbe potutoottenere qualsiasi cosa grazie al suofascino, e ne era perfettamenteconsapevole perciò se ne approfittava.«Eddai, Elise, è mercoledì! ÈTrombaday!»«Allora vai a trombare la tuascrivania per una volta, e mentre seichino sul piano del tavolo firma quelledannate cartelle a tempo mentre muovi ilbacino» replicai, severa.«Sissignora» mi disse Alex con unsorrisetto impudente, rimanendostravaccato sulla poltroncina davantialla mia scrivania.Alzai gli occhi al cielo e sbuffai,rifiutandomi di cedere al suoirresistibile carisma. «Non guardarmicosì, che con me non attacca» lo avvisai.«Invece sì.»«No, io sono immune al tuo fascino»insistetti, mettendogli un fascicolo sottoil naso e porgendogli una penna.«Uffa, perché solo con te nonfunziona? Con tutto il resto del mondomi basta sbattere le ciglia per vedereimmediatamente a terra le mutande dichiunque!»Sollevai un sopracciglio. «Io nonsono chiunque.»Alex si alzò in piedi e cominciò acamminare avanti e indietro davanti ame. «Lavorare mi annoia e mi fainnervosire. Non facciamo altro dastamattina! Usciamo a mangiarequalcosa, dai. Offro io.»«Non rifiuterei mai un pranzo gratis,però prima dobbiamo sistemare tuttequelle pratiche dei clienti.» Sollevai lemani mentre Alex faceva una smorfiainorridita come se avessi invocatoSatana. «Lo so, lo so, le carte sono il tuoincubo. Però purtroppo sei tu a doverfirmare le autorizzazioni, altrimenti nonandrà avanti neanche un ordine.»Alex sospirò sconsolato. «'Fanculo,e io che credevo che mettermi in propriomi servisse ad avere più tempo libero.»«Firma queste cazzo di carte invecedi continuare a lamentarti!» sbottai,esasperata, agitando una cartellina.«Appena avrai finito potrai anche fareuna pausa pranzo di dieci ore. Anzi,accetterò il tuo invito e verrò a mangiarecon te. Però, ti supplico, occupati diqueste pratiche così non dovremosopportare una serie di telefonate digente arrabbiata perché le transazioni sisono bloccate. Come glielo spieghi cheeri troppo impegnato a fare il cretino permettere una banale firmetta su un foglio,in modo che tutti fossero felici econtenti?»Alex cercò di blandirmirivolgendomi un sorriso assassino esbattendo le ciglia, con l'unico risultatodi farmi infuriare ancora di più.Si sentì bussare alla porta e un attimodopo si affacciò sulla soglia Olivia, lamoglie di Alex. Ci girammo entrambi aguardarla e lei rise nel vedere la miafaccia aggrondata.«Ti sta dando il tormento di nuovo,questo mascalzone?» mi chiese.«Veramente sto cercando d'invitarlaa pranzo» precisò lui, avvicinandosi aOlivia per salutarla con un bacio. «Io misforzo di essere gentile e vengo trattatomale...» si lagnò.«Pranzo? Ormai è quasi l'ora del tè!»«Abbiamo lavorato sodo tutto ilgiorno e si è fatto tardi» le spiegò Alex.«Abbiamo è una parola grossa»precisai, rivolgendomi a Olivia. «Io holavorato, e tuo marito ha cazzeggiato.»Olivia mi lanciò un'occhiatacomplice per farmi capire che sapevaperfettamente cosa significasse avere ache fare con un tipo come Alex. Lui laraggiunse muovendosi sinuosamente inuna specie di balletto sexy ma Olivia lotenne a bada mettendogli una mano sulbusto; tuttavia quando Alex si proteseper darle un bacio sul collo, lei nonriuscì a resistere e si abbandonò al suoabbraccio con una risatina prima ditrovare la forza di respingerlo.«Ti ho mandato il link dell'albumonline in cui ci sono le immagini per ilcalendario. Ho contrassegnato quelleche secondo me sono venute meglio, mafammi sapere se ce ne sono altre che tipiacciono di più» mi disse Olivia.All'università avevo cominciato aposare per un amico che studiavafotografia e aveva bisogno di unsoggetto per il progetto da presentare afine corso. Le foto non eranoeccezionali; il mio amico non avevamolto talento, ma avevo scoperto invecedi averne io come modella. Altri suoicolleghi mi avevano chiesto di posareper loro e alla fine mi ero ritrovata conun book piuttosto consistente. Siccomenon mi tiravo indietro davanti a nulla,parecchie immagini erano piuttostospinte, come le avrebbe definite miamadre. Per me posare nuda non èpornografia, ma presumo che il confinetra il lecito e l'illecito dipendasoprattutto dal punto di vistadell'osservatore.Qualche anno addietro, quando eroancora una neofita nel mondo delsadomaso, avevo partecipato a unincontro organizzato da un gruppo didominatrici e dagli uomini che eranoloro succubi. L'evento si era tenuto inuna galleria d'arte in cui esponeva lesue opere il fotografo Scott Church, checercava modelli disposti a posare peruna serie di ritratti a tema sul mondoBDSM. Io avevo accettato senza esitaree da allora avevo collaborato con lui indiverse occasioni per foto di varianatura, da quelle più soft in biancheriaintima provocante a ritratti decisamentetrasgressivi. Ero contenta di lavorarecon Scott, non per il compensononostante a volte si guadagnasse bene,ma perché avevo scoperto che mipiaceva farmi fotografare. Per certiversi fare da modella mi dava potere,come i miei incontri con Esteban, perquanto potesse sembrare il contrario,perché era il fotografo a decidere tutto.In realtà, però, mi sembrava di avere ilcontrollo proprio perché davo aqualcuno quello che voleva prendere dame e farlo suo.Avevo conosciuto Olivia a unseminario di fotografia di Scott, a cuipartecipavo come modella. Poco dopole era stato offerto di lavorare a unprogetto per un calendario per conto diun'associazione benefica di Harrisburge io avevo accettato di posare per lei;benché non fosse il genere di serviziofotografico a cui ero abituata, avevoacconsentito perché era per una buonacausa. Le foto di Olivia erano piaciutecosì tanto che era il terzo anno di filache partecipavamo insieme.«Foto?» esclamò Alex girandointorno alla mia scrivania e sporgendosiverso lo schermo del computer perguardare da sopra la mia spalla,nonostante non avessi ancora apertoneanche l'e-mail di sua moglie. «Possovederle?»«Presumo di sì, visto che non misembri intenzionato a lavorare» risposimentre cliccavo sul link.Alex si chinò verso lo schermo perscrutare la fila d'immagini in miniatura.«Mi piace questa» indicò.L'allargai. «Anche a me.»Olivia si sporse per guardare qualeavessimo scelto. «Ci avrei scommesso»sorrise compiaciuta.Avevamo ricreato insieme uno deifamosi ritratti di Vargas, un pittore eillustratore peruviano noto soprattuttoper avere immortalato belle ragazze inpose provocanti da pin up. Nellamaliziosa foto di Olivia, ero di profilodavanti a una mela appesa che cercavodi prendere con i denti mentre avevo lemani legate dietro la schiena. Indossavole calze con il reggicalze e unagonnellina in stile Anni Cinquanta.«È un po' troppo sexy per uncalendario di beneficenza, ma èdivertente» dissi.Alex mi guardò. «È terribilmenteerotica!»«Hai ragione, mio piccolopervertito» scherzò Olivia,esaminandola con occhio critico. «Peròha ragione anche Elise. Questa foto ètroppo provocante. Quelle che hosegnato sono più adatte. Guardale concalma, Elise, poi fammi sapere. Oradevo scappare, ho un serviziofotografico con due neonati e la madremi ha avvertita che devo riprenderlimentre dormono altrimenti saràimpossibile fotografarli.»Mi fece un cenno di saluto, diede unrapido bacio al marito e uscì mentreAlex passava in rassegna le altre foto.Erano tutte variazioni sul tema della pinup, ma più castigate della prima. Sifermò a contemplare una mia foto in cuiridevo con gli occhi semichiusi e la testapiegata all'indietro. Si vedevachiaramente che mi stavo divertendonello studio fotografico di Olivia. Ineffetti avevo passato una bella giornatacon lei.«Potresti fare la modella a tempopieno» osservò Alex. «Perché passi legiornate immersa nei numeri a fareanalisi dati per me?»«Perché non ho solo un bel faccinoma anche un cervello?» risposisbattendo le ciglia con fare ingenuo ecivettuolo. «Perché ho bisogno di unostipendio fisso per mantenermi e pagarele bollette? Tu che dici?» lo incalzai.«Ah, come sei prosaica! Non si vivedi solo pane.»Alzai gli occhi al cielo. «Parli benetu, che sei ricco sfondato.»Alex scosse la testa con aria didisapprovazione e continuò a esaminaregli scatti. «Dico sul serio, so benissimoche mia moglie è un genio dellafotografia, ma tu sei fantastica davantiall'obiettivo. Guarda!»Girai lo sguardo verso la foto chem'indicava Alex. Effettivamente avevaragione, non potevo negarlo. Secondome la falsa modestia era un peccatopeggiore della vanità e non potevo farealtro che ammettere la verità: ero carina.Ero sempre stata bella, sarebbe statoipocrita fingere che non fosse così.«Non mi piace essere consideratasolo per il mio aspetto fisico, Alex»sentenziai.Lui fece un passo indietro mentre mivoltavo a guardarlo. Era il tipo chescherzava su tutto, ma stavolta avevaun'espressione serissima. «Sì, hairagione, mi dispiace.»«Non devi scusarti.» Scrollai lespalle e mi girai verso lo schermo delcomputer. «Mi piace farmi fotografare esoprattutto da Olivia. Mi gratifica chequello che abbiamo fatto abbia unoscopo utile. Non so come dire... è comese lo nobilitasse.»«Inoltre, se ci pensi, se non avessiconosciuto Olivia al seminario di Scottnon ti avrebbe presentato me, e io nonavrei mai potuto convincerti che la miavita non ha alcun senso senza di te»dichiarò Alex lanciandomi un'occhiataintensa, da seduttore. «Perciò, vedi?Sono stato fortunato.»In realtà la fortuna era stata mia.Qualche anno prima Alex aveva avviatoun'attività di pianificazione finanziaria,soprattutto come consulented'investimenti. Aveva le conoscenzegiuste e l'intuito per gli affari che glipermettevano di procurare ottimi profittiai suoi clienti. Mi aveva proposto didiventare sua socia; il mio lavorosarebbe stato quello di occuparmi dellequestioni che lui considerava noiose...praticamente tutto ciò che non eraindividuare gli investimenti piùredditizi. Gestivo il portafoglio clienti,l'archivio, la contabilità, mi occupavodi documenti, moduli, pratiche varie, eanche se c'erano giorni in cui lavorarecon Alex mi sfiniva, non l'avreiscambiato con nessun altro impiego.Prima di assumermi la responsabilità dimettere in riga il mio socio chesgusciava come un'anguilla ubriaca,annaspavo con l'acqua alla gola alleRisorse Umane della Smith, Brown &Kavanagh; lì, ogni giorno in cui andavoin ufficio mi sembrava di entrare nelbraccio della morte.«È stato un segno del destinoconoscerti proprio quando cercavi difare pena al prossimo lagnandoti delfatto che avresti voluto metterti inproprio ma sarebbe stato troppoimpegnativo, al di sopra delle tue forze.Lo ricordo, sai?» replicai.«Non facevo la lagna, esponevo soloi miei legittimi dubbi» mi corresse Alex.«Ti lamentavi, poche balle» insistettisorridendo e spostandomi di scatto perschivare il suo pugno al braccio. Inverità, nonostante fosse un fannullone inufficio e cercasse di rifilarmi tutte leincombenze noiose, era un vero geniodella finanza. Ci sapeva fare con iclienti, ed era innegabile che in manosua i soldi si moltiplicavano come permagia.Si chinò di nuovo sopra la mia spallae indicò la mia foto con la mela.«Questa è veramente arrapante, Elise.»Detto da un altro uomo in un altroufficio sarebbe stato un motivosufficiente per denunciarlo per molestiesessuali sul luogo di lavoro. Invece milimitai a spostare lo sguardodall'immagine ad Alex, sollevando unsopracciglio. «Ti piace vedere unadonna con le mani legate e qualcosa digrosso in bocca, eh?»«E a chi non piace?» rise lui.Io e Alex non ci scambiavamoconfidenze dettagliate riguardo allanostra vita sessuale. Eravamo diventatiamici, vedendoci tutti i giorni, ma cisono certe cose che non si rivelano inufficio, specialmente se il proprio socioè sposato. Non avevo idea se Alexavesse visto le altre mie foto che miaveva fatto Scott. Io e Alex eravamoamici su Facebook. Tempo addietroavevo postato sul mio profilo alcunefotografie, ma ora evitavo di pubblicareimmagini private perché tra gli amiciavevo anche i miei familiari. Mia madreaveva già avuto parecchie difficoltà adaccettare il fatto che mi facessi ritrarrein biancheria intima; le sarebbe preso uncolpo se mi avesse visto in tutina divinile nero con la frusta in mano e unuomo ai miei piedi, tenuto al guinzaglioe con un mio tacco in mezzo allaschiena. Non ero imbarazzata da quelgenere di pose né me ne vergognavo;non era un segreto, ma non andavoneanche in giro presentandomi comeElise la dominatrice.Risi per il commento di Alex maprecisai: «Molti uomini preferirebberoessere al mio posto, te l'assicuro».«Ah, contenti loro! Il sesso è belloperché è vario» commentò lui con unsorriso irresistibile.Ero certa che, quando non erasentimentalmente impegnato, avessesedotto parecchie donne con il suosorriso. Non era solo bellissimo, con unviso che rappresentava la perfezioneestetica; quello che lo rendevaaffascinante al punto da far perdere latesta a chiunque avesse a che fare conlui era il modo in cui guardava il suointerlocutore, come se fosse veramenteattento a ciò che diceva e, per lui, inquel momento non esistesse nessun altroal mondo.«Anche tu potresti fare il modello,sai?» osservai improvvisamente. «Misorprende che Olivia non ti chieda diposare per lei.»Gli occhi di Alex furono attraversatida un lampo e le sue belle labbras'incurvarono verso l'alto in un accennodi sorriso enigmatico. «Mi sono fattofotografare da lei» sussurrò come se mistesse confidando un segreto piccante.Emisi un mugugno d'assenso e non glichiesi nulla di più al riguardo. La suaespressione era più che eloquente.«Senti, bello, che ne diresti di fare unoscarabocchio su queste carte, cosìappena avrai firmato tutto andiamo apranzare e poi potrai tornartene a casapresto per fare una sorpresa alla tuastupenda mogliettina e scattare qualchebella foto insieme?» gli proposi.Alex sorrise contento. «Brava, questosì che si chiama parlare! Per premio tioffro un sushi, che ne dici?»«Fantastico, però ora firma qua»risposi in tono incolore, spingendo unapila di cartelline verso di lui.Un quarto d'ora dopo uscimmodall'ufficio. Mentre ci dirigevamo versoil vicino ristorante giapponese, loprendevo in giro sul fatto che fosseriuscito a dedicarsi a quelle che luichiamava le scartof ie senza che glisanguinasse la mano.Il ristorante era sempre pieno all'oradi pranzo perché vi si riversavano gliimpiegati degli uffici del centro.Fortunatamente il fatto che fossimoarrivati tanto tardi ci permise di trovareposto senza difficoltà. Ci sedemmo a untavolo d'angolo nella saletta sul retro,più intima e tranquilla, e ordinammosubito tè verde e zuppa di miso. Immersiil cucchiaio di porcellana nella ciotola,mescolando i pezzettini di scalogno perfarli affiorare alla superficie del brodotorbido, poi vi soffiai sopra,accorgendomi improvvisamente cheavevo una fame da lupi.Mentre mangiavamo, parlammo dellanostra serie televisiva preferita,Supernatural. I protagonisti erano duefratelli che andavano a caccia di demoniin un'Impala nera, una vettura ormaimitica per i fan. Alex la seguiva damolto più tempo di me per cui ogni tantomi minacciava di rivelarmi deglispoiler, o faceva delle battute che nonriuscivo a capire. A volte discutevamosu quale dei due fratelli preferissimo,Dean o Sam, o quale avremmo volutoessere. Alex sceglieva sempre Dean, ilmaggiore, per cui mi relegavainvariabilmente nel ruolo del minore,Sam, nonostante protestassi chesomigliava a lui perché aveva lo stessociuffo scompigliato sulla fronte. Alexobiettava che io ero intelligente e bravaal computer, perciò il ruolo di Samsarebbe stato perfetto per me.Anche stavolta ci accapigliammoperché entrambi c'identificavamo conSean, e Alex riuscì a cambiareargomento quando il cameriere servì ilsalmone piccante che avevamo ordinatoda dividerci. Alex ne mise qualchepezzo nel piatto poi spinse il vassoioverso di me.«Com'è andato l'appuntamentovenerdì?» mi chiese disinvolto, agitandole bacchette nella mia direzione.Ebbi un attimo d'esitazione. Nontenevo segreti i miei incontri conEsteban, anche perché ogni secondovenerdì del mese andavo via primadall'ufficio perché avevo quello chedefinivo genericamente come unimpegno. Non ne avevo mai precisata lanatura e Alex non mi aveva mai postodomande al riguardo, ma ora, agiudicare dal suo tono e dal suo sguardoammiccante, mi era chiaro che avessecapito che non andavo da unfisioterapista una volta al mese.«È stato molto produttivo, grazie»risposi, sibillina.Alex attese, con un sorriso che glialeggiava sulle labbra. Poi, accortosiche non ero intenzionata ad approfondirel'argomento, scosse la testa, divertito.«Qual è il tuo segreto, Elise?»Gli rivolsi un'occhiata fintamenteingenua. «Non ne ho.»«Andiamo, tutti hanno una storiainconfessata nel proprio passato. Qual èla tua?»«Se te lo dicessi, non sarebbe più unsegreto, non ti pare?»Alex sogghignò. «Dai, so che haivoglia di spifferarmi tutto...» insistette,allusivo.Di colpo fui tentata di raccontargli lamia storia, come diceva lui. Sentivocrescere in me il bisogno improvviso diaprirmi con qualcuno, chissà perché.Non avevo parlato con nessunodell'amante con cui m'incontravo unavolta al mese ormai da un anno e mezzo.Persino Alicia, la mia migliore amica,non sapeva niente di Esteban. Da dueanni si era trasferita in Texas, per cui erastato più facile tenerla all'oscuro. Senon mi ero confidata con lei, checonoscevo sin dalle elementari,certamente non l'avrei fatto con Alex.Per fortuna la suoneria del cellularevenne in mio soccorso e m'impedì dirispondere. Era mio nipote William.«Ciao, come va? Ti serve qualcosa?»«Puoi venire a prendermi al corso?»Presi un pezzo di sushi e lo intinsinella salsa di soia mescolata al wasabi.«A che ora termina?»«Di solito alle sei e mezza ma ilrabbino aveva un appuntamento perciòabbiamo finito prima. Ho mandato dueSMS a mamma, ma non mi ha risposto.»William esitò, poi aggiunse: «Ho inviatoun messaggio a papà ma era in riunionee mi ha detto di chiamare te».«Magari tua madre è bloccata neltraffico ed è in ritardo» azzardai,masticando il boccone. «Dalle qualcheminuto.»Ci fu un altro breve silenzio, poiWilliam insistette sottovoce: «Puoivenire a prendermi, per favore, zia?».Non mi chiamava zia da qualchetempo. Ormai aveva quasi tredici anni eaveva preso l'abitudine di rivolgersi ame chiamandomi Elise, neanche ziaElise. Un po' m'immalinconiva, ma nonpotevo farci niente; tutti i bambinicrescono e diventano ragazzi, èinevitabile.«Ma certo. Finisco di pranzare esono da te fra un quarto d'ora, va bene?Se tua madre dovesse arrivare prima dime, avvertimi.» Lo salutai e guardaiAlex con rammarico. «Mio nipote è alcorso per il Bar Mitzvah e devo andareda lui perché non riesce a rintracciaresua madre. La sinagoga è qui vicino. Tidispiace se faccio un salto aprenderlo?»Alex scrollò le spalle. «Certo.Abbiamo finito in ufficio?»«Io sì» risposi in tono allusivo. Luisorrise, per nulla mortificato. «E anchetu, presumo» sospirai. «Grazie delpranzo, ci vediamo domani.»Impiegai dieci minuti a tornare alparcheggio davanti all'ufficio e altridieci ad arrivare alla sinagoga, perchébeccai tutti i semafori rossi lungo iltragitto. Vidi subito William, seduto suuna panchina davanti all'ingresso echino sul cellulare. Portava ancora intesta la kippah che dovevano avere intesta tutti i maschi all'interno dellasinagoga.Quando mi fermai nella piazzolasemicircolare antistante l'edificio, alzòla testa e smise di digitare sul cellulare.Aveva un'espressione cupa e turbata, eme ne dispiacque, pur noncomprendendone il motivo.«Ciao» gli dissi dal finestrino dopoaverlo abbassato. «Ti serve ancora unpassaggio o tua madre sta arrivando?»«Vengo con te.» Salì in macchinaposando lo zainetto davanti ai piedi eallacciò la cintura di sicurezza senza chedovessi ricordarglielo.Adoravo mio nipote. Lo guardai edebbi uno strano flashback di quando erapiccolo; mi sembrava di sentire ancoral'odore dolce dei suoi capelli sottili dineonato.Mio fratello e Susan si erano sposatia vent'anni perché lei era rimastaincinta, un anno prima che finissimo tuttiil college. Durante gli ultimi quattromesi della gravidanza e il primo anno divita di William avevo vissuto con loro,per risparmiare sull'affitto e aiutarli atenere il bambino in modo che potesserolaurearsi. Avevo cambiato i pannolini aWilliam e gli avevo dato il biberon dinotte, l'avevo cullato e accudito. Adessomi avrebbe ammazzato se mi fossiprotesa verso di lui per annusargli icapelli, e di sicuro non sarebbe statotenero come quando pesava cinque chilie lo tenevo in braccio come unbambolotto. Perciò mi limitai asorridergli poi m'immisi in carreggiata.«Tua madre non si è fatta sentire?»«Mi ha mandato un messaggio perdirmi che per lei andava bene se miavessi riaccompagnato a casa tu.»Abbassò lo sguardo sul cellulare chevibrava. «È lei. Dice che ha fatto tardi ayoga e ti ringrazia per essere venuta aprendermi.»«È un piacere.»Non c'era ancora molto trafficoanche se di lì a mezz'ora le stradesarebbero state intasate di pendolari cheimboccavano tutti insieme l'autostrada,creando i soliti ingorghi dell'ora dipunta. Era una bella giornata di fineaprile e l'aria profumava dellapromessa dell'estate vicina, dopo uninterminabile e rigido inverno.«Ehi, ti andrebbe un gelato?»esclamai d'impulso.William mi guardò sconcertato.«Adesso? Prima di cena?»«Perché no? Cosa c'è di meglio comeaperitivo di un bel gelatone?» Gli feciun sorriso complice, che lui ricambiò.Invece di svoltare a destra verso ilponte, per riportarlo a casa, continuaidritto e attraversai la città per dirigermiverso la nostra gelateria preferita. Ognianno pensavo che avrebbe chiuso ibattenti, sbaragliata dalla concorrenzadelle yogurterie e delle grosse catene digelaterie industriali, invece finora laLucky Rabbit era ancora in affari. Forseera il nome a portarle bene, Il conigliofortunato.Io e il mio gemello Evan avevamolavorato entrambi nella gelateria diLancaster da ragazzi durante l'estate, eavevamo servito migliaia di coni,coppette e hamburger perché era ancheuna paninoteca. L'insegna era sbiadita eil terreno era dissestato nel parcheggio,ma l'inverno in Pennsylvania era sempreimpietoso con le strade.Entrai nel piazzale coperto di ghiaia,schivando il più possibile le buche, eparcheggiai vicino a un tavolo di legnoda esterni. Ordinammo affogato alcioccolato e anche anelli di cipollafritti; non era neanche lontanamente unascelta salutare, ma il compito di una ziache si rispetti è quello di viziare ilproprio nipote in barba a tutti i precettidi educazione alimentare.«Allora, come va?» gli chiesimettendomi in bocca un anello dicipolla.William si strinse nelle spalle eaffondò il cucchiaio nel suo affogato.«Bene, suppongo. Il passo della Torahche devo leggere è lungo un chilometro,però.»«Dai, hai ancora tempo. Mancano tremesi, no?»Il suo Bar Mitzvah si sarebbe tenuto afine luglio, durante il fine settimana delsuo compleanno, quindi avrebbe passatoun brutto inizio estate, impegnato con ilcatechismo e la partecipazione allaliturgia.William scrollò nuovamente le spallee riprese a mangiare. Restammo insilenzio per qualche minuto dopo quelloscambio di battute, e anche in seguito ildialogo fu stentato. William divorò lamaggior parte degli anelli di cipolla,tutto il suo gelato e quasi metà del mio,perché non ero riuscita a finirlo dopoessermi ingozzata di sushi. Parlammo unpo' dell'anno scolastico che stava perfinire, del suo nuovo videogioco, delsuo migliore amico, Nhat, che forse sisarebbe trasferito in un'altra scuola.Notando che William indugiava,restio a finire le ultime cucchiaiate digelato che mangiava lentamente, glichiesi se avesse qualche problema.«Non voglio andare a casa» ammiseinfine.«Come mai?» Raccolsi le cose dabuttare e lo guardai con la codadell'occhio mentre mi alzavo per andareal bidone della spazzatura.Un'altra scrollata di spalle; ormaistava diventando la sua rispostastandard. «Così.»«C'è qualcosa che non va a casa?»gli domandai tornando a sedermi.«No.»Era chiaramente una bugia, ma nonvolevo insistere. Fisicamente Williamsomigliava a sua madre, ma di carattereera identico al padre. Mio fratello erasempre stato un tipo riservato, etempestarlo di domande eraperfettamente inutile se non aveva vogliadi confidarsi.«Devi tornare a casa, domani c'èscuola. Fra poco tornerà tuo padre dallavoro, e sicuramente tua madre si staràchiedendo che fine tu abbia fatto.»«Scommetto di no.»Esitai davanti a quell'affermazione,ma alla fine decisi di non approfondirel'argomento. «Su, andiamo. Magari puoipassare il fine settimana da me, che nedici? Ultimamente non sei più venuto.»«Non posso, devo andare insinagoga» replicò William, imbronciato.Per quanto volessi bene a mio nipote,non mi sarei mai offerta diaccompagnarlo alla liturgia di Shabbatche durava tre ore il sabato. Da tantonon ero più praticante, nonostante miamadre non mancasse di manifestare lasua disapprovazione. Forse anche la suaossessione per la mia partecipazionealla vita religiosa aveva contribuito almio allontanamento, quasi volessi darleun dispiacere di proposito usando lafede come arma.«E se sabato sera venissi a prendertidopo la funzione religiosa e andassimoal cinema?» gli proposi.«Devo chiedere il permesso amamma» disse William, dubbioso.«Ci parlo io, a me non dirà di no» lorassicurai, resistendo alla voglia discompigliargli affettuosamente i capelli.«Allora siamo d'accordo?»Finalmente William mi rivolse unsorriso stentato che mi rincuoròleggermente. Risalimmo in macchina elo accompagnai a casa. Poco prima diarrivare, dissi con finta noncuranza:«Sai, non devi essere in ansia per il BarMitzvah. Nessuno pretende che tu leggasenza errori. Il rabbino e i gabbaim tiaiuteranno in caso tu ne abbia bisogno.Non è come memorizzare una parte darecitare a teatro. Non è fondamentaleche tu sia perfetto».William scosse la testa. «Mamma hadetto che si aspetta che io faccia del miomeglio.»«Del tuo meglio, appunto» sottolineaispegnendo il motore. «Non significa laperfezione.»Lo accompagnai in casa, sia perassicurarmi che non fosse solo prima dilasciarlo, sia per parlare con miofratello se fosse già rientrato. Evan nonc'era, ma Susan doveva essere rincasatapoco prima di noi, perché mentreentravamo in soggiorno stava scendendole scale con i capelli avvolti in unasciugamano. Mi rivolse appena unosguardo e, senza perdere tempo, ordinòsubito a William di andare a posare lozainetto in camera e apparecchiare latavola per la cena.«Grazie di essere andata a prenderlo.Seguo un nuovo corso di yoga e lelezioni iniziano più tardi» mi dissedistrattamente.«Non c'è problema.»Aspettai che dicesse qualcosa, mamia cognata non aggiunse altro. Eroabituata a essere ignorata da lei; noneravamo mai state intime, e non avevomai capito esattamente perché, ma ormainon me ne curavo più da anni. Laosservai, e notai il mascara sbavato euna traccia sbiadita di rossetto.Indossava una maglietta larga e ileggings, ma anche dei begli orecchinilunghi d'argento abbinati a un grossobraccialetto, cosa che mi parve strana,perché immaginavo che fosse fastidiosofare yoga con addosso dei gioielliingombranti.«Mi ha fatto piacere» continuai, vistoche lei non apriva bocca. «La sinagoga èvicina al mio ufficio. Andrei a prendereWilliam volentieri se dovesse servire.Oppure lui potrebbe venire a piedi dame e insieme...»«A piedi?» m'interruppe Susan,scuotendo la testa. Con il miosuggerimento ero finalmente riuscita ascuoterla e ad attirare la sua attenzione.«Al centro di Harrisburg? Non haneanche tredici anni! Vuoi che vengaaggredito e scippato?»Evitai di farle notare che dallasinagoga al mio ufficio c'era unadistanza di meno di un chilometro emezzo di strade ampie del centro e chele avrebbe percorse in pieno giorno.Non era esattamente come aggirarsi neivicoli di una periferia malfamata alledue di notte.«Dicevo solo che, se serve, potreiandare a prenderlo, tutto qui» tagliaicorto.«Grazie.» Susan mi fissò negli occhima per un solo istante, poi distolsesubito lo sguardo. «In effetti mi farebbecomodo. Come ti dicevo, il nuovo corsodi yoga è più tardi e...»«Okay.»Ci fu un altro lungo silenzio caricod'imbarazzo tra noi. Avrei potuto tentaredi dire qualcosa per allentare la tensionema, francamente, avevo deciso già datempo che non avevo fatto niente di malea mia cognata e che, se aveva deiproblemi con me, dipendeva da lei e nonda me. Tuttavia, visto che Evan non erain casa, era l'unica con cui poter parlaredi William.«Ho invitato William a stare da mequesto weekend. Posso prenderlo allasinagoga sabato e riportarlo domenica.»«Domenica mattina ha catechismo.»«Ce lo accompagno io» dissi,conciliante. «Così tu ed Evan avrete unaseratina tutta per voi e al mattino alzarvitardi.»Susan sbottò in una risata aspra esarcastica che non riuscì a trattenere, poimi guardò negli occhi per un secondo.«Certo, va benissimo. Gli preparerò lozaino. Grazie, Elise.»«E di che? A me fa piacere quandoviene a casa mia.»Un altro lungo silenzio mi spinseinfine ad andare. Salutai William ad altavoce, ma non mi sentì. Appena varcai lasoglia, Susan chiuse la porta con ungesto tanto secco da farmi capire che eracontenta che finalmente mi fossi tolta daipiedi.Alcuni ci vogliono bene e altri ciodiano, così stanno le cose, e nonpossiamo farci niente. Però ci sonoanche quelli che ci sopportano perbuona creanza e per mantenere la pace;se tutti al mondo ci comportassimo così,con tolleranza ed educazione, avremmomolti meno problemi e disgrazie.
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Elisir
RomansaElise sa cosa vuole a letto, e fa sempre in modo di ottenerlo. Da tempo ormai placa la sua sete di dominio con una serie di uomini ben felici di sottomettersi e inchinarsi davanti a lei.Ma la soddisfazione sessuale è ben altra cosa rispetto all'amor...