Lettera a te, mamma.

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Ciao mamma.
Beh ti starai chiedendo perché ti scrivo, visto che l'unica volta che l'ho fatto è stato quando ero piccola.
Ti scrivo perché non trovo il coraggio per parlartene e vedere il tuo volto sereno scomparire facendo spazio alla delusione e alla tristezza.
Non sono codarda, non voglio fare l'esibizionista, voglio solo che tu sappia di tutto ciò.
Tutto quello che ti sto per raccontare è iniziato nel 2015, quando nel periodo natalizio è venuta a mancare mia nonna.
Ora ti chiederai perché non mi ricordo la data precisa.
Beh, perché quel momento lo voglio cancellare dalla mia mente e non ricordarmi neanche il giorno preciso, che cosa facevo in quel momento, che cosa ho detto. Anche se tutto questo da dimenticare è difficile.
So solo che quel momento provavo confusione e pensavo addirittura che tu stessi scherzando.
Il primo natale passato senza lei, non andare più la domenica a pranzare da lei, non potere più andare a dormire da lei, non andare più al mercato con lei, non sentire più i suoi rimproveri dolci e le sue coccole e non potere più chiamare il suo numero per parlare, anche di cavolate.
Tutto ciò mi faceva sentire persa, si, persa perché quella era una parte della mia vita.
Certe volte digitavo il suo numero sulla tastiera, ma esitavo sempre a chiamarla perché non sapevo più che fare. Anche se lei non c'era più, mi sembrava di essere d'intralcio.
Non so nemmeno io perché.
Da lì, tutto mi è caduto addosso.
Ero solo in quinta elementare, ma ero più matura dei miei coetanei.
Cercavo di non piangere.
Perché per me piangere è come lacelare il mio orgoglio.
Così invece che sfogarmi con le persone a cui volevo bene, restavo zitta, anche per intere ore.
A pensare a che cosa andasse storto in me.
Non so perché, avrei potuto confidarmi con la mia migliore amica, piangere insieme a te, distrarmi facendo ciò che mi rendeva felice, ma invece no, io preferivo stare per i fatti miei e pensare che tanto a nessuno sarebbe fregato delle mie lamentele.
Per essere una bambina di appena 10 anni ero già troppo triste, ma nessuno se ne era accorto.
Passavano i mesi e a scuola nessuno capiva niente, nemmeno le mia cosiddette amiche.
Venivo presa in giro dalla quarta elementare, ed era per questo che ero chiusa in me.
Tu lo sapevi benissimo che ero vittima di bullismo, ma non hai mai detto niente. Non ti do la colpa, non mi arrabbio per questo, non ti odio, ma voglio solo sapere perché.
Passavano i mesi e venivo esclusa sempre da tutto e tutti, solo due persone sono rimaste al mio fianco.
Non andavo più bene a scuola, avevo degli attacchi di ira.
Si, degli attacchi di ira...forse per tutto quello che ho tenuto dentro.
Quasi alla fine della quinta, una bulla mi aveva insultato e io l'ho presa per i capelli e sbattuta per terra.
Lei continuava a dirmi cattiverie, ma io volevo solo continuare a farle del male.
Non volevo fermarmi. Doveva capire cosa si provava.
Questo non te l'ho mai detto...
Era finita la scuola e io ero pronta per andare alle medie.
Mi avevate iscritto in una scuola privata e cattolica.
Pensando che lí la gente, l'insegnamento che si dava e l'educazione fosse diversa.
Ma pochi mesi dopo aver iniziato la scuola e aver trovato delle amicizie, una ragazza che doveva essere la mia migliore amica, mi bullizzava insieme ad altre 5 persone. Lei era gelosa, ma sinceramente non so nemmeno il perché.
Ora tu penserai che tanto cosa saranno 5 persone su 200 che ti fanno del male.
Beh, ti abbattono. Se non sei forte.
Arrivata a dicembre, dopo quattro mesi di bullismo e di cattiverie senza un preciso senso, sono crollata.
Ero venuta a sapere che papà ti aveva tradito.
Anche in quel momento ero confusa e come quando mancò la nonna, pensai che steste scherzando.
Ma non era così, era tutto vero.
Mi volevo vendicare di tutto e tutti.
Ma ad un certo punto mi incominciai a fare delle domande:
Che cosa ci faccio io qua?
A che cosa servo io?
A chi importa di me?
Se me ne andassi dispiacerebbe a qualcuno?
Se io non ci fossi sarebbe andato tutto meglio?
Senza pensare mi laceravo da sola tutti i giorni con queste domande, intanto che venivo presa in giro e insultata.
Senza pensare che tu mi amavi più della tua vita.
Stavo andando piano piano in frantumi.
Non pensavo ad altro che: alle parole che mi venivano urlate, ai problemi in famiglia, alle morti dei miei cari, alle persone che avevo perso, a che cosa servivo io, perché ero ancora in vita, alla mia dignità che scompariva pian piano e su che cosa non andasse bene di me.
Tutto questo mi portò ad una cosa.
Una cosa che avevo sempre schifato, ad una cosa che trovavo inutile e che trovavo spaventosa per l'uomo:
l'autolesionismo.
Si, cara mamma.
Tua figlia, la ragazzina timida, gentile, graziosa si infliggeva dei tagli sulle braccia e sulle gambe.
Avevo incominciato un giorno che ero in casa da sola, ero triste e depressa.
Non sapevo più il senso che avesse la mia vita.
Non sapevo più chi mi volesse al proprio fianco.
Mi sentivo inutile, mostruosa, brutta, antipatica e incapace di capire gli esseri umani.
Mi tagliavo con un pezzo di una lametta del temperino o con la punta del compasso.
Mi sentivo libera, ma nello stesso tempo piangevo e urlavo "perché esisto?"
Credo che la tua reazione sia quella che mi aspettavo.
Lo sapevo.
Avrai sicuramente una faccia delusa e sconvolta.
Per non vedere questa reazione ho pensato di parlartene, ma sono crollata a piangere.
Tutte le lacrime che ho versato erano di dolore.
Per tutto ciò che mi avevano fatto.
Per tutto ciò che avevo passato.
Per tutto ciò che mi dicevano.
Per tutto ciò che mi sono tenuta dentro.
Volevo farmi trasferire in un'altra scuola.
Ero felice.
Ero sollevata.
Ero al settimo cielo.
Ma questa felicità finí dopo poco.
Ti eri già dimenticata il mio problema.
Eri occupata.
Ma io non volevo più l'aiuto di nessuno.
Ormai mi ero chiusa in me stessa.
Nel mio mondo triste.
Nella mia mente giravano sempre le stesse domande, ma da un po' sapevo anche le risposte.
Volevo morire.
Volevo scomparire da questo mondo.
Volevo solo essere felice.
Volevo solo essere accettata.
Pensai che era il momento di lasciare questo posto e rivedere i miei cari lassù.
Avevo pensato di buttarmi giù dal terrazzo o di impiccarmi.
Non importava come, ma solo morire era importante.
Per far si che non fossi più stata un peso, non essere più d'intralcio, di troppo.
Per far si che la gente fosse più felice.
Intanto mi tagliavo, in attesa che qualcuno mi salvasse. Perché io speravo.
Speravo che qualcuno se ne fosse accorto, ma nessuno. No, nessuno.
Per la depressione mi tagliavo, tagliavo profondamente le braccia.
Cercavo di nascondere i tagli e di coprire il mio corpo che faceva schifo a tutti.
Ero in ansia.
Un altro sentimento negativo si aggiungeva al mio mondo triste.
Non ne potevo più. Di nessuno.
Nemmeno di te.
Si, te. La donna che mi ha donato la vita.
Perché pensavo che tu fossi così sensibile da accorgerti che stavo male, ma no.
Non hai voluto capirlo forse...
Ho cercato ancora conforto in amici, ma pochi hanno capito.
Quei pochi mi hanno aiutato.
Ma ormai non serviva a diminuire la mia depressione.
Non avevo smesso e non ho smesso, perché si, sono ancora un autolesionista.
Però mi sono riuscita a rialzare.
Dalla mia depressione, piano piano.
Ora, mamma.
Sono ancora in piedi.
Ma sto in piedi a fatica.
Credo che ci voglia tempo per riavere tutto ciò che ho perso e ho distrutto.
Perdonami mamma.
Perdonami perché se tu mai lo verrai a sapere io tu avrò deluso come non mai.
Non aspetto che provi pena o dispiacere, ma ti prego, non lasciarmi da sola. Non dire che va tutto bene.
Magari arrabbiati perché non te l'ho detto, ma no, non urlarmi contro, non offendermi e non picchiarmi.
Perché crollerei subito.
Ancora scusa mamma.
Ho capito solo da poco l'importanza della vita.
A presto.
-Isabella

Questo è per la prima donna della mia vita, mia mamma.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora