3. Addio, beneamata seconda opzione

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                   "C'era talmente tanta roba
nella mia testa
che il mondo fuori lo sentivo appena,
passava come un'ombra"

Da Questa storia, Alessandro Baricco

«Eveleen Esther Esperia Sharpclaw! Sei una sciagurata!» esclama una voce femminile profonda, autorevole, che mi fa raggelare il sangue nelle vene.
   Se fossi Eveleen, avrei seriamente paura di un rimprovero del genere.
   Ezra al mio fianco si volta appena verso di me, con un sorriso tirato che stona visibilmente con la sua solita aria spensierata e gioviale.
   «Ti prego, non saltare a conclusioni affrettate. Quelle due litigano continuamente, ma infondo sono innocue» sospira poi, passandosi per la milionesima volta una mano tra i capelli; deve essere una sorta di tic nervoso.
   Io mi limito ad accennare un sorriso, nel vano tentativo di tranquillizzarlo. A casa non ero abituata ai litigi o alle faide familiari, dato che con i miei genitori avevo un rapporto pressappoco perfetto.
   «Andiamo» sospira dopo qualche istante, afferrando le mie valigie «Ti presento le simpaticone».
   Io, ancora più agitata di quanto non fossi poco fa, mi muovo con lo sguardo basso, sentendo i muscoli tendersi uno ad uno sotto l'infido tocco della tensione.
   L'ambiente che attraversiamo è una sorta di salotto per il tè, arredato con gusto e raffinatezza. I mobili sono tutti in legno scuro e di fattura antica, mentre i pavimenti di marmo sono coperti da preziosi tappeti color porpora. Mi muovo con la massima cautela, temendo di danneggiare qualche fragile soprammobile o di sporcare inavvertitamente le tappezzerie.
   Dopo aver superato una porta in legno scuro e vetro, giungiamo in quello che deve essere il monumentale ingresso della villa, nonché il teatro dello scontro appena avvenuto. In piedi davanti all'immensa e scenografica scalinata in mogano, con i corrimani ricchi di intarsi e volute, sta in piedi una donna.
   Timidamente le lancio un'occhiata da dietro alla spalla di Ezra, giusto in tempo per vederla fare lo stesso con me.
   Indubbiamente da giovane deve essere stata bellissima; nel portamento altero e fiero si leggono un'estrema eleganza, oltre ad un che di aristocratico, che la fanno assomigliare ad una regina.
   Gli occhi azzurro ghiaccio mi osservano con fermezza e curiosità, e sembrano analizzarmi fin nei minimi dettagli. Le labbra ormai sottili e contornate da piccole rughe d'espressione sono strette in una strana smorfia, che la fa apparire molto concentrata.
   Mentre passano i secondi il silenzio continua a saturare l'aria tra di noi, ma nessuno sembra esserne imbarazzato. Perfino Ezra si è fatto da parte e ci osserva a qualche passo di distanza, completamente immobile.
   Cogliendomi alla sprovvista, la donna comincia a farmi qualche passo attorno, come fossi una statua esposta in un qualche prestigioso museo d'arte. Il suo sguardo mi scivola addosso delicatamente, mentre il suo corpo si muove agile, con un incedere che ha un che di ferino. Il busto è eretto sotto la pregiata camicia di seta verde smeraldo e il capo ben sollevato, per niente appesantito dall'ordinato chignon di capelli grigi.
   Dopo aver compiuto un intero giro, la donna si ferma davanti a me e mi porge una mano dalle lunghe dita affusolate, su cui noto un prezioso anello d'oro.
   «Sono molto felice di conoscerti, Elizabeth» dice dopo qualche istante, mentre io mi allungo per ricambiare la stretta di mano «Io sono Evangeline, tua nonna».
   Il suo tono di voce è freddo, distaccato, e non ha nulla della giovialità o dell'affetto che caratterizzano quello di Ezra.
   Sotto i suoi occhi inquisitori deglutisco sonoramente, pensando che il mio nervosismo, in fin dei conti, era fondato.
   Questa donna sembra essere tutto tranne che una mia parente; con il suo fare freddo ed impostato potrebbe essere la governante della casa o una severa istitutrice, ma di certo non la nonna dolce ed amorevole che mi aspettavo di incontrare.
   «Piacere mio» mi limito a dire dopo qualche istante, riconoscendo che sarebbe stato scortese non rispondere in alcun modo.
   La nonna sembra essere parzialmente compiaciuta dalla mia reazione, così si limita a spezzare la nostra stretta di mano e a rivolgersi ad Ezra.
   «Ezra, porta Elizabeth nella sua camera e mostrale il vestito che indosserà questa sera. Dovrà essere pronta tra due ore» sentenzia quasi fosse un ordine, sempre mantenendo quel suo portamento impeccabile.
   «Certamente, nonna» risponde subito Ezra, sorridendole in modo gioioso.
   La donna non ricambia il gesto e si volta, scomparendo nell'ala opposta della casa.
   Non appena quegli occhi glaciali spariscono dalla mia vista, tiro un sospiro di sollievo, sentendomi finalmente libera. Avere la nonna intorno è come essere sottoposti ad un esame: non si possono fare passi falsi e bisogna sempre rimanere attenti.
   «Su di lei non posso farti promesse. La nonna è una donna molto severa e ci metterà un po' ad aprirsi».
   Il ragazzo mi poggia una mano sul braccio e mi rivolge un sorriso un po' sghembo, che gli dà un'aria davvero tenera.
   Io in risposta alzo lo spalle e sospiro appena, sistemandomi il borsone sulla spalla.
   «Forse non le sono piaciuta...» dico abbassando lo sguardo e domandandomi se abbia fatto qualcosa di sbagliato.
   «Al contrario! Le piaci, solo... credo tu le ricordi molto tuo padre. Ha sofferto parecchio per la sua morte, non si sarebbe mai aspettata di perderlo così presto».
   Nel sentire le parole di Ezra, alzo stupita lo sguardo, vedendo anche nei suoi occhi il riflesso di quella tristezza di cui ha appena parlato.
   Non credevo che perfino lui, che non ha mai nemmeno visto mio padre, potesse soffrire a causa della sua morte. Mi domando perché, se tutti volessero davvero così bene a mio padre, lui abbia deciso di troncare tanto brutalmente i rapporti con loro.
   Velocemente scaccio tutti i brutti pensieri dalla testa e faccio un cenno col capo verso la scalinata, come ad incitare Ezra ad andare avanti.
   Pensare a mio padre non contribuisce a migliorare il mio umore, e per ora credo sia meglio cercare di restare il più calma e tranquilla possibile.
   Il ragazzo si riscuote a sua volta e mi conduce su per la sontuosa scalinata di mogano, coperta da un elaborato tappeto dorato, che la fa risplendere in maniera innaturale. Facciamo due rampe di scale, prima di fermarci in un ampio corridoio dal soffitto alto, illuminato da una vetrata che occupa tutta la parete finale.
   Ci sono molte porte bianche, intervallate da imponenti quadri antichi o da tavolini di legno decorati da delicati vasi di fiori.
   Tutto in questa casa sembra essere curato nei minimi particolari, con attenzione ed eleganza estreme.
   Mentre avanziamo, Ezra si ferma per un attimo davanti alla seconda porta sulla destra, lanciandole uno sguardo veloce.
   «Questa è la mia camera, nel caso avessi un'improvvisa voglia di organizzare un pigiama party e cercassi qualcuno da chiamare» ridacchia, per poi riprendere a camminare.
   Sorrido alle sue parole, augurandomi di non avere problemi di insonnia, almeno non questa notte. È un mese che non riesco a dormire in piena tranquillità e spero, con il beneficio della stanchezza dovuta al viaggio e alla festa, di non avere problemi stanotte.
   Dopo qualche passo lo vedo fermarsi davanti ad un'altra porta, da cui sento uscire una struggente musica classica. Le note della melodia si rincorrono a perdifiato l'un l'altra, esprimendo un senso di irrequietezza che mi smuove violentemente fin nelle viscere.
   «È per caso un violino?» domando curiosa, avvicinandomi ancora un po'.
   Ezra abbassa le palpebre in quello che pare un moto di rassegnazione ed annuisce vigorosamente.
   «Questa è la stanza di Eveleen e quello che senti è il suo modo per incanalare lo stress e la rabbia».
   Capendo al volo che la melodia struggente è il risultato del litigio a cui ho da poco assistito, annuisco condiscendente per poi riprendere a seguire Ezra.
   «E, finalmente, questa è la tua!» esclama, arrivato all'ultima porta sulla sinistra.
   Il ragazzo poggia le valigie davanti all'uscio e si fa da parte, cominciando a fare qualche passo verso la sua stanza.
   «Tra due ore tornerò a prenderti, per scendere alla festa. Se hai problemi con il trucco o con il vestito, non chiamarmi!» esclama, prendendomi alla sprovvista e rivolgendomi un veloce segno di saluto.
   Ghigno appena alle parole del ragazzo, per poi spostare lo sguardo sulla vetrata al mio fianco. Siamo sul lato corto dell'edificio e lo scorcio che mi è possibile vedere è quello di un rigoglioso angolo di giardino, nel quale spicca una solitaria panchina di pietra, carezzata dalle fronde di un salice. Nel notarla mi si illuminano gli occhi e mi riprometto di farci un salto non appena ne avrò l'occasione, dato che sembra il luogo perfetto per i miei pomeriggi di letture.
   Quasi con timore stacco gli occhi dalla finestra e li porto sulla maniglia della porta davanti a me, che pare ammiccare beffarda nella mia direzione. Mi do della stupida per essere nervosa persino ad entrare nella mia nuova camera, ma è più forte di me.
  I cambiamenti mi hanno sempre messa in agitazione.
   Dopo aver preso un bel respiro ed essermi riempita i polmoni con il delicato profumo di fiori che satura il corridoio, abbasso la maniglia e apro l'uscio.
   Un piccolo sorriso mi nasce spontaneo sul volto nel constatare che la stanza non è affatto come me l'ero immaginata. Considerando l'aspetto antico ed elegante della magione, mi sarei aspettata una stanza con pesanti tende di broccato, un pomposo baldacchino e magari persino una toeletta con tanto di specchio dorato.
   Fortunatamente, però, non c'è nulla di tutto questo.
   La camera è molto semplice, tanto da risultare quasi asettica. Il pavimento è in marmo bianco come quello del corridoio, e le pareti, che sembrano essere state verniciate da poco, sono anch'esse di un bianco accecante. Sulla sinistra c'è il grande letto matrimoniale dalle linee moderne, con il telaio di legno scuro, e sulla destra quello che pare una sorta di salottino, con due divanetti bianchi, una poltroncina e un tavolino basso di vetro. Di fronte a me si apre un'immensa portafinestra che dà sul balcone, parzialmente nascosta da eteree tende di stoffa bianca.
   Timidamente sorpasso la soglia, sentendomi come se mi stessi gettando da una scogliera. Lentamente mi trascino dietro le valigie e mi chiudo la porta alle spalle, cominciando a notare molti altri particolari che ad un primo impatto mi erano sfuggiti.
   Alla sinistra della porta c'è una spaziosa libreria di legno scuro, anch'essa dalle linee rigide e moderne, completamente vuota, mentre sulla destra un ampio armadio bianco incassato nella parete.
   Con occhio curioso, dopo aver abbandonato le valigie sulla soglia, mi avvicino alla scrivania ad angolo vicino alla libreria e osservo i pochi oggetti posti sopra di essa: un blocco per gli appunti, un portamatite e una lampada da tavolo nera.
   Mentre la luce dorata del tramonto comincia a farsi strada nella camera, mi volto a dare un'ultima occhiata d'insieme all'ambiente e mi sorprendo, per l'ennesima volta, nel pensare che lo adoro.
   Non ho la più pallida idea di come abbiano fatto ad intuirlo, ma questo stile è quello che più si adatta a me e che più mi fa sentire a mio agio.
   La cosa che preferisco, però, e a cui lancio un veloce sguardo sorridente, è la gigantesca e scarna libreria che non aspetta altro che essere riempita con tutti i miei libri.
   Con ancora un poco di titubanza, mi siedo a gambe incrociate sul copriletto bianco candido e penso che, in fin dei conti, la giornata non è andata troppo male per ora. Se eliminiamo la prima terribile parte del viaggio, l'incontro con quel Christopher e quello con la nonna, devo ammettere che Wyth Island ha superato ogni mia più rosea aspettativa.
   In un gesto naturale abbasso lo sguardo sull'orologio che ho al polso, e sento il cuore precipitare fin giù nello stomaco; tra meno di due ore la nonna mi vuole vestita e profumata, pronta per la festa a cui non ho alcuna voglia di partecipare.
   Con uno sbuffo mi lascio ricadere sui cuscini alle mie spalle, prendendo ad osservare il soffitto con sguardo assente, pregando che il tempo rallenti fino a fermarsi del tutto.

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